Ogni momento storico ha un simbolo, ogni grande crisi trova un elemento grafico che la rappresenti: nel Paese che affronta il Coronavirus questo è certamente la mascherina. Basta affacciarsi dal balcone o uscire in strada per le attività essenziali come la spesa, e si trovano cittadini muniti dello strumento entrato ormai nella vita quotidiana, che sia a norma o meno, come avviene nella maggioranza dei casi. Perché le mascherine in Italia oggi non si trovano: c'è una questione di carenza strutturale a livello centrale, che si riflette a cascata sui territori e sulle realtà locali. Funziona così: la Protezione civile nazionale si occupa del reperimento delle mascherine, che poi distribuisce agli enti locali e alle Regioni, seguendo una scala di priorità. In cima ci sono gli operatori sanitari, naturalmente, dopo che – fino a due settimane fa – perfino in alcuni ospedali lavoravano senza mascherina.

Il problema poi ricade direttamente su tutto il mondo del lavoro. I racconti dalle fabbriche, in questo periodo, parlano spesso della difficoltà a trovare le dovute protezioni. Lo ha detto il Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza alla Perugina, Mirko Passeri: “L'azienda ha deciso di acquistare mascherine a norma, ma non riesce a reperirle”. Qui, come in molte altre realtà, si è stabilito un accordo ulteriore tra azienda e sindacati: in caso di un movimento che non permetta il rispetto delle distanze, e in assenza di mascherine, quella determinata produzione si interrompe (leggi tutto). Un resoconto simile arriva da Luca Damiani, Rsu della Tim per tutta la Lombardia, spiegando i rischi dei tecnici che intervengono a casa dei clienti senza precauzioni: “Sappiamo bene che le mascherine sono difficilmente reperibili, e che la priorità è fornirle ai lavoratori della sanità” (leggi tutto).

Insomma le mascherine non si trovano, oppure non sono abbastanza. Così alcune aziende italiane hanno scelto di riconvertire la produzione e iniziare a fabbricarle: tra queste c'è Automobili Lamborghini, che ha dedicato una piccola parte dell'attività a Sant'Agata Bolognese proprio alle mascherine chirurgiche e visiere protettive mediche, attraverso l'uso delle stampanti 3D. Nel dettaglio, Lamborghini ha effettuato una conversione temporanea garantendo la sicurezza dei lavoratori: l'attività riguarda il reparto produttivo di selleria e occupa venti addetti. L'obiettivo è realizzare mille mascherine al giorno da destinare all'Ospedale S. Orsola Malpighi, insieme alla produzione quotidiana di duecento visiere protettive mediche. Commenta così Michele Nicolai, Rsl e delegato Fiom nello stabilimento: “I rappresentanti per la sicurezza, insieme a tutta la Rsu, hanno accolto con favore l'iniziativa e si sono adoperati attivamente affinché si potesse iniziare a produrre in piena sicurezza”.

Ancora più sintomatico è il caso della Gvs, azienda chimica a Bologna che produce filtri di sicurezza e ora si dedica intensamente alle mascherine. “La scelta arriva da lontano, quando il contagio si è manifestato già in Cina”, spiega Roberto Guarinoni, segretario generale della Filctem Bologna a Rassegna Sindacale. “La Gvs già faceva alcune mascherine e stava riflettendo sui nuovi prodotti. Ha quindi deciso di investire su cinque linee per la produzione di mascherine FFP3 (le più avanzate, ndr), ovvero quelle che riescono effettivamente a fermare il virus”. Due settimane fa i primi impianti sono partiti: “L'azienda ha chiesto l'introduzione di un terzo turno – prosegue -, con gli impianti che gradualmente andranno a ciclo continuo. Sono previsti tra i 60 e i 120 lavoratori in più, Gvs ha chiesto a noi di reperire la manodopera. A quel punto abbiamo indicato circa 70 turnisti che già lavoravano nel settore, attualmente disoccupati o con contratti a termine non rinnovati. Mentre aprirà le linee l'azienda farà le assunzioni”. A pieno regime lo scopo è arrivare a far uscire dallo stabilimento 600.000 mascherine al mese, da consegnare alla Protezione civile. La Gvs aveva 260 occupati, con il reparto mascherine supererà i 300: è l'esempio di come si può creare lavoro attraverso una produzione essenziale.

Ma l'obiettivo nel territorio bolognese è ancora più ambizioso. Spiega Guarinoni: “Stiamo tentando di riconvertire alle mascherine alcune aziende dell'abbigliamento, che oggi sono ferme e accedono alla cassa integrazione. Il piano è utilizzare l'università di Bologna come certificatore della qualità del prodotto: i siti andranno a produrre mascherine chirurgiche ma non usa e getta, che possono essere riutilizzate sterilizzandole, insomma uno strumento pensato per tutti i cittadini. Insieme a queste si faranno altri dispositivi di protezione come i camici”. A ripartire saranno soprattutto medie e piccole imprese, quelle più in difficoltà nella crisi attuale, che in breve tempo possono garantire una capacità produttiva importante.