“Buongiorno, abbiamo bisogno del vostro aiuto”. Comincia così la lettera, anonima, di un marittimo imbarcato sulla nave da crociera Costa Victoria. Racconta che “l’’equipaggio è molto preoccupato, in quanto nonostante tutto quello che stava succedendo i Il 7 marzo, a Dubai, Costa crociera ha continuato a imbarcare passeggeri, provenienti anche da tutte le aree europee che già risultavano colpite significativamente dal Covid-19”. Attualmente a bordo ci sono circa 1400 persone di cui 700 passeggeri. “Stessa cosa era accaduta per la Costa Mediterranea – si legge nella lettera - poi con l’intervento delle Jene sono stati costretti a sbarcare i passeggeri, così come hanno fatto per le altre navi eccetto che per la nostra”. La situazione a bordo della nave sembra fuori controllo: “Molte persone vanno in giro tossendo pesantemente, per questo noi non abbiamo nessuna certezza sul fatto che possiamo essere stati infettati, oppure no. Non sono stati distribuiti dispositivi di protezione personali. Solo ieri hanno iniziato il controllo della temperatura corporea esclusivamente all’equipaggio. Si sono sospesi gli spettacoli per evitare la vicinanza delle persone, ma poi si invitano tutti al teatro per dare informazioni, ovvero dirgli che non ci sono informazioni certe. Si continuano ad ammassare persone ai ristoranti”.

Ieri il natante è entrato nel Mediterraneo dal canale di Suez. Domani saranno 14 giorni di navigazione ininterrotta. “Molti porti ci hanno sbattuto le porte in faccia - scrive il lavoratore marittimo - togliendoci letteralmente la terra sotto i piedi. La compagnia ha deciso di concludere comunque la crociera così come previsto, ovvero arrivare il 28 marzo a Venezia, nonostante noi avessimo già manifestato più volte il nostro dissenso rispetto a questa destinazione. Ci sembra assurdo portare 1400 persone in un’area pesantemente colpita dal virus. Se accadesse qualcosa, se risultassimo contagiati, andremmo ad aggravare una situazione sanitaria già compromessa dall’attuale emergenza. Dobbiamo andare necessariamente in un porto del sud, ci devono sottoporci tutti al tampone”.

L’obiettivo è uno solo: “Non vogliamo esporre nessuno a eventuali rischi. Dobbiamo essere certi di ritornare a casa dai nostri cari con la certezza di non essere diventati veicoli di trasporto del virus”. Il lavoro a bordo è faticoso: “Negli ultimi anni noi marittimi siamo stati abbandonati da tutti, neanche la tragedia del Concordia è servita a scoperchiare l’indicibile. Orari di lavoro fuori da qualsiasi regola. 12-13-14 e più ore di lavoro al giorno. Tutti i giorni, anche per sei-sette mesi. In queste condizioni ci sono ragazzi che guadagnano 400 dollari al mese, i nuovi schiavi, ammassati in cabine anguste. Ogni tanto qualcuno si toglie la vita e tutti tacciono”.

Molti di loro mancano da casa da molti mesi. “Le nostre famiglie patiscono la solitudine forzata, sopportano sacrifici enormi. Manchiamo ai compleanni ai natali, le pasque e in tutte quelle occasioni in cui la presenza di un marito di un padre di un figlio, si rende necessaria, noi non ci siamo. Spesso non arriviamo in tempo al capezzale dei nostri cari, lasciandoci una peso enorme da sopportare. Le nostre mogli sono un esempio di eroine moderne, compagne instancabili, donne straordinarie, madri amorevoli che lottano sole, tutti i giorni, per crescere i nostri figli”. La lettera si conclude con una richiesta: “Aiutateci a farci ottenere il test del tampone per tutti, non vogliamo mettere a repentaglio la vita di nessuno. Aiutateci a tornare a casa”.