Stamattina la sveglia ha suonato come sempre prima delle 6. Nina ha preparato la colazione per il marito e le figlie adolescenti, ha riordinato casa, ha collegato alla rete il portatile fornito dall'azienda, si e preparata un tè e qualche minuto prima delle 9 era già loggata sul sistema, pronta a iniziare la sua giornata lavorativa. Nina da anni lavora per il call center Fastweb di Bari e fino a pochi giorni fa usciva di casa entro le 7.20 per accompagnare le sue ragazze a scuola, appena in tempo per strisciare il badge e indossare la cuffietta.

L'azienda, già il 4 marzo scorso, non appena ufficializzata l'ordinanza di chiusura delle scuole, ha inviato a tutti i dipendenti una mail per informarli che tutte le sedi sarebbero state chiuse. Gli operatori sono stati posti in permesso a carico dell'azienda e si è fornito un pc a chi non ne fosse già in possesso. “C'è stata una gestione molto attenta nei nostri confronti – spiega Nina –, a tutela soprattutto di quei lavoratori che si sono trovati dall’oggi al domani con i bimbi a casa”.

Oggi tutto ha funzionato bene nonostante non l'avessimo ancora sperimentato. Quando ho acceso il computer, mi sono seduta e ho iniziato a dare supporto ai miei colleghi. Oggi eravamo meno, visto che non tutti erano operativi. Abbiamo utilizzato Skype per chat e videochat. E, nonostante fosse un giorno speciale, abbiamo parlato esclusivamente di lavoro. Non mi sono alzata per le pause o per prendere un caffè, come faccio con i colleghi in ufficio”.

Lo smart working lo abbiamo tanto desiderato. L'azienda da sempre si mostra propensa al suo utilizzo e sarà oggetto di trattativa per il prossimo contratto integrativo. Ora però siamo di fronte alla prospettiva di un periodo non breve in questa situazione e lavorare cinque giorni su cinque da casa può diventare alienante: manca l'interazione sociale, il sentirsi parte di un gruppo. Mentre le mie figlie erano in un'altra stanza, io ero sola col mio schermo. Non mi sono mossa da lì se non quando mi sono resa conto che era ora di pranzo. Anche se in quel frangente è stato confortevole mettere in tavola un piatto caldo. Alle 15, quando ho finito, in realtà erano le 15.20, è stato bello essere già a casa, non dover prendere la macchina, affrontare il traffico. Quindi mi sentivo molto più rilassata”.

Nina prosegue nel suo racconto: “Nel pomeriggio, mentre le mie figlie studiavano, ho stirato e preparato la cena. Rispetto alla routine, quando a quest'ora sono stanca e nervosa dopo essermi alzata alle 5.30, mi sento più distesa. Lo smart working ha pregi e difetti. Tutti i giorni è difficilmente sostenibile, però uno o due giorni a settimana possono rendere il lavoro più piacevole e conciliare i tempi di vita. Al termine di questa esperienza, culturalmente sarà cambiato qualcosa, e di certo sarà un diritto che i lavoratori riusciranno a esigere più facilmente”.

Rispetto al Covid-19 – spiega la lavoratrice – ci viene chiesto di fare la nostra parte per sconfiggerlo. Dobbiamo rimanere a casa per evitare il più possibile nuovi contagi che rischiano di far collassare il sistema sanitario. Naturalmente ci sentiamo anche fortunati perché in questo momento le contraddizioni sono tante: ci sono donne e uomini che garantiscono il funzionamento del Paese a rischio della loro stessa salute. Mio marito per esempio è un rappresentante delle forze dell'ordine quindi sappiamo cosa voglia dire. Le mie figlie vorrebbero tanto tornare a scuola perché a loro manca il rapporto con gli amici. Hanno interrotto tutte le attività come palestra, corsi, tutto. Insieme seguiamo il flusso di notizie e io cerco di spiegare loro come la situazione non sia da sottovalutare”.