La situazione dell’ex Ilva, lo sciopero dell’industria a Napoli, a sostegno della Whirlpool, la crisi della Jabil di Caserta, il governo e la politica industriale. Questi, gli argomenti affrontati da Francesca Re David, segretario generale Fiom, nel corso di un’intervista a RadioArticolo1.

“A proposito dell’ex Ilva, la novità è l’avvicendamento dell’amministratore delegato, avvenuto nelle ultime settimane, che, come sempre accade, sottintende un cambio di strategia. Sono mesi che chiediamo al governo di convocare il tavolo sul piano aziendale, in base all’accordo che abbiamo firmato il 6 settembre 2018, che contempla la verifica del piano industriale e di quello ambientale. Per ora, c’è solo tanta cassa integrazione, senza alcun confronto. Oltretutto, l’esecutivo ha deciso di stralciare un articolo del decreto che in sostanza concede l’immunità alla nuova proprietà per quanto riguarda l’inquinamento ambientale prodotto in precedenza. Si tratta di una violazione del contratto stipulato fra governo e azienda, perché restringe il perimetro dell’immunità penale a carico dei nuovi proprietari su un impianto che, peraltro, è ancora sotto sequestro e in amministrazione straordinaria. Governo, Regione ed enti locali non possono cambiare le norme in corso d’opera, anche perché l’azienda in questione non si è ancora capito cosa intenda fare veramente. Un po’ quello che è successo con la Whirlpool a Napoli, dove l’intesa sottoscritta con la multinazionale americana si è rivelata carta straccia”, ha spiegato la dirigente sindacale.       

 

Alla base di tutto, c’è un problema di politica industriale gigantesco: abbiamo tantissime crisi aperte e siamo in balìa delle multinazionali, che in realtà decidono loro cosa fare e non fare, variando le proprie strategie in senso geopolitico, condizionate dai dazi, ma anche dalle scelte di conquista dei mercati. Ciò accade da una ventina d’anni, e sempre più spesso gli accordi raggiunti non valgono nulla, malgrado i vincoli e i sostegni ricevuti da governo ed enti locali. Le multinazionali non hanno mai in obbligo di rispondere a nessuno e poi mancano le scelte e gli indirizzi da parte delle istituzioni. Siamo l’unico paese europeo dove non ci sono tavoli di settore in cui appunto le politiche industriali siano collegate a scelte precise, come vincoli per tutti, e non abbiamo presenze importanti nell’assetto proprietario dello Stato, cosa che, al contrario, caratterizza l’industria automobilistica francese. In pratica, siamo nella condizione che gli altri decidono per noi. Tornando alla siderurgia e a Taranto, che, va ricordato, nasce da investimenti pubblici e poi passa ai privati, rischiamo davvero di perdere ruolo e ricchezza dal punto di vista industriale, anche perché con l’acciaio si alimentano una serie di produzioni, a partire da elettrodomestici e auto”, ha sostenuto la sindacalista.  

Il 31 ottobre si terrà lo sciopero dell’industria nella provincia di Napoli, sotto forma di solidarietà con i lavoratori della Whirlpool, ma non solo, perché purtroppo il deserto industriale in Campania si va estendendo, come dimostra la crisi della Jabil e dell’industria elettronica a Caserta. Nel caso Whirlpool, la situazione è ancora più paradossale, perché l’accordo è stato disatteso con la dichiarazione di chiusura dello stabilimento pochi mesi dopo, e forse l’azienda non ha detto tutta la verità sul sito di Napoli, al momento della firma. Continua a ripetere incredibilmente che ci sono problemi di mercato, ma anche questo, ammesso sia vero - avendo avuto quel prodotto, le lavatrici di alta gamma, il più 2% di vendite in Europa - lo sapeva anche quattro mesi fa, all’atto dell’accordo al Mise. È chiaro che la scelta di chiudere Napoli è collegata ai mercati asiatici, al trasferimento appunto di produzioni collegato all’apertura di mercati. Ma resta il fatto che l’atteggiamento della multinazionale è di una protervia che sfiora il limite della sopportazione da parte dei lavoratori. Noi pensiamo che l’accordo vada rispettato e che Whirlpool non può chiudere e andarsene senza neanche spiegarci il perché”, ha aggiunto la leader Fiom.

Al fondo, quella che manca è un’idea di politica industriale, e noi siamo sempre più convinti che ci vogliano strumenti per riprendere in mano la situazione, oltre che un’idea di settori strategici da difendere e tutelare, a partire da quello che c’è, perché le aziende chiudono, i posti di lavoro si perdono e ciò che chiude quasi sempre non riapre. Dotarsi di strumenti, vuol dire sapere come si vuole costruire, anche una transizione ecologica dell’economia e dell’industria, che va guidata, salvaguardando sia l’occupazione che l’indirizzo, con tavoli negoziali alla presenza del sindacato, perché, come abbiamo visto, le imprese da sole fanno i loro interessi. E quindi ci vogliono strumenti finanziari, con l’idea di un intervento pubblico in asset strategici e nelle proprietà - strutturale o anche temporaneo -, per rimettere in piedi le aziende e risollevarle, che faccia anche da volano all’intervento privato in una logica di programmazione”, ha concluso Re David.