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La giustizia ambientale è parte della giustizia sociale

La giustizia ambientale è parte della giustizia sociale
Stefano Iucci
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Tavola rotonda alla kermesse leccese organizzata dalla Cgil. Fracassi: "In Italia manca ancora consapevolezza dell'importanza di questo tema". Barca: "Gli interventi per favorire la transizione energetica non devono colpire le categorie più deboli"

All’indomani della grande mobilitazione dei giovani in tutto il mondo per l’ambiente (si parla di 2 milioni di ragazzi e ragazze scesi in piazza), a Lecce – nel corso delle Giornate del lavoro della Cgil – si è discusso di "Strumenti di sostegno per nuove politiche di sviluppo sostenibile". Alla tavola rotonda che si è svolta nelll'ex convento dei Teatini  hanno partecipato Stefano Ciafani, presidente di Legambiente, Matias Cravero di Friday for Future, Fabrizio Barca, economista, Gianna Fracassi, vice segretaria generale Cgil. L’incontro è stato moderato da Gianni Del Vecchio, condirettore di "Huffington Post".

La discussione è stata anticipata da un flash-mob di giovani che hanno ricordato a tutti i presenti che sul cambiamento climatico non c’è più tempo da perdere. E il confronto è iniziato proprio con le parole di Matias Cravero, rappresentante di Fridays fo Future. “Ascoltateci – si è rivolto a un uditorio ideale, oltre che alla platea – altrimenti la nostra generazione non avrà un futuro, un futuro che abbiamo svenduto a poche persone che hanno accumulato fortune inimmaginabili distruggendo l’ambiente”. Basta perdere tempo: “Servono interventi per evitare di arrivare a quella soglia di non ritorno, oltre la quale non sarà più possibile tornare indietro. Se si supereranno i famosi 2 gradi di innalzamento delle temperature, le conseguenze sarebbero catastrofiche, ci sarò meno acqua, meno cibo e solo chi potrà permetterselo potrà salvarsi”.

“Per questo – ha aggiunto – deve attivarsi tutta la società civile per chiedere un cambiamento reale e radicale delle politiche di sviluppo. La nostra non è una battaglia generazionale, vogliamo unire studenti, lavoratori e pensionati nella lotta per il clima”. E ancora: “la soluzione non è chiudere tutte le fabbriche cosicché a pagare siano i lavoratori, ma servono politiche di giusta transizione tra modelli produttivi legati al fossile a quelli legati alle fonti alternative. Per questo investimenti in infrastrutture come gasdotti e metanodotti (a partire dal Tap in Puglia) sono sbagliati”.

Il tema della giusta transizione è stato anche al centro degli altri interventi. Stefano Ciafani, presidente di Legambiente (dopo aver ricordato l’importanza del fatto che la Cgil partecipi al dibattito sulla sostenibilità), ha sottolineato che oggi “gli strumenti per intervenire ci sono, le soluzioni tecnologiche anche, ma vanno azionate le leve giuste. Non bisogna cioè ripetere gli errori di Macron, che si è ritrovato i gillet gialli in piazza”. Se è giusto spostare i sussidi dai produttori ambientalmente dannosi, a quelli rispettosi dell’ambiente (e nel decreto ambiente del ministro Costa si parla di 18 miliardi), bisogna però fare in modo “che non vengano colpite le bollette energetiche dei più bisognosi o di categorie produttive in difficoltà come quella degli agricoltori”.

Fondamentale, per Ciafani, per raggiungere questi risultati, parlare e confrontarsi con tutti, mentre il governo non lo ha fatto né con la Cgil “ma neanche con noi, a parte una chiacchierata informale”. Tra un mese, ha poi ricordato Ciafani, ci sarà l’atto fondamentale della legge di bilancio: “che dovrà dare gambe economiche a quello che si è scritto nel decreto. Dunque: con quale gradualità si spostano i sussidi? Quali interessi e ‘portafogli’ si andranno a toccare? Sarebbe sbagliato colpire gli agricoltori, più giusto le grandi aziende energetiche che hanno fatto palate di soldi in questi anni”. Ciafani ha poi riconosciuto l’importanza del fatto che “la Cgil riconosca che la sostenibilità sia uno dei pilastri su cui costruire il futuro del mondo del lavoro”.

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Come far sì dunque che la transizione a un modello di sviluppo sostenibile non lasci sul campo morti e feriti del vecchio sistema produttivo? Ha provato a rispondere Gianna Fracassi, vice segretaria generale della Cgil, che è partita da una constatazione: “Come sindacato siamo davanti a un bivio: provare a governare e prevenire gli effetti di questi cambiamenti nel mondo del lavoro, oppure subirli. Io credo che un’organizzazione come la nostra debba cercare di anticipare i cambiamenti in atto e a governarli, provando a mettere in campo tutte le soluzioni possibili per difendere il lavoro, crearne di nuovo e trasformarlo”. In questo senso la sindacalista ha ricordato la proposta della Cgil: un reddito di garanzia e continuità per chi perde il lavoro, che non sia un semplice ammortizzatore sociale, ma che offra percorsi di formazione e riqualificazione; e poi naturalmente investimenti in innovazione e ricerca per l’innovazione della produzione stessa.

Fracassi, commentando l’annuncio della Merkel di massicci investimenti per la riconversione produttiva, ha sottolineato che in gioco c’è un grande tema economico oltre che ambientale: “La Germania ha capito che se non affronta subito questi nodi, presto sarà fuori mercato, perché i grandi player globali come Cina, India e Stati Uniti stanno indirizzando tante risorse in questo ambito. La Cina, che inquina tantissimo, è anche quella che negli ultimi anni ha investito di più su questo versante”.

Rispetto a questo, “in Italia – rimarca con amarezza – un percorso non è stato neanche iniziato. Il decreto clima è timido e per fare la riconversione industriale bisogna mettere in campo tante risorse per gli investimenti. Il primo appuntamento allora è quello della legge di bilancio”. Nel nostro paese però “sembra mancare la consapevolezza di doversi muovere in questa direzione e la prima cosa da fare sarebbe partire da qui”. La Cgil, comunque, “in questa battaglia vuole esserci”.

“La giustizia ambientale è parte della giustizia sociale”: un concetto pregnante, questo, con cui Fabrizio Barca ha iniziato il suo intervento. Cosa fare perché l’ambientalismo non venga percepito come una “cosa per radical chic e che danneggia i più poveri”? La risposta è semplice: “Dobbiamo farci carico del fatto che ogni intervento che tutela la libertà di domani migliori le condizioni sociali delle persone più vulnerabili già da oggi”. Alcune cose sono molto semplici: “In Italia c’è un bonus per la riconversione energetica delle case – ha detto l’economista –, ma è una misura di natura fiscale, dunque gli incapienti non possono utilizzarla. Ecco, un provvedimento come questo va cambiato già da domani, perché svantaggia i più deboli, a cominciare dal Sud”.

Poi ci sono norme incomprensibili: “Alcune Regioni del Nord proibiscono la combustione di legna, ma se applichi questa norma a una coppia di giovani che magari è l’unica che è rimasta a vivere in un borgo spopolato e la obblighi ad andare in città a comprare il pellet, vuol dire veramente che non si è capito nulla”.

Come si esce da queste difficoltà? Come si prendono le decisioni giuste? Anche per Barca è fondamentale parlare con tutti gli attori a cominciare dai sindacati: “non solo per trattare ma per acquisire conoscenza e trasferire competenze. Poiché nei cambiamenti le tensioni sono inevitabili, è proprio con la partecipazione e la negoziazione che quelle tensioni escono allo scoperto per arrivare poi al giusto compromesso in cui ognuno rinuncia a qualcosa”. Insomma: “Pensare che si possano fare decreti sul clima senza discutere col paese è un errore clamoroso. Non possiamo regalare alla destra – che è contro tutto questo – la rabbia della gente”.