Hanno protestato oggi i 140 lavoratori delle aziende confiscate del gruppo Aiello a Palermo. La Fillea ha indetto un sit-in davanti alla Prefettura, in via Cavour, per dare risposte e tutela ai lavoratori, che da tre anni, dalla data del licenziamento da parte dell'Agenzia nazionale per i beni confiscati, attendono il pagamento dei loro stipendi, del Tfr e degli oneri contributivi e previdenziali.

Una delegazione sindacale è stata ricevuta a fine mattinata negli uffici da un funzionario della Prefettura. “Al prefetto -  dichiara il segretario generale della Fillea Cgil Palermo Piero Ceraulo - chiediamo di aprire un tavolo con l'Agenzia per trovare immediatamente una soluzione, al di là del percorso già avviato con la vendita dei beni mobili e immobili. La nostra richiesta è di anticipare le somme e, via via che si procede con la vendita, recuperare lo stanziamento. Il debito ammonta a un milione 300 mila euro. Ai lavoratori è stato versato finora solo un acconto del 15 per cento”.  

“Da circa un anno – aggiunge Ceraulo - le interlocuzioni con l'Agenzia si sono interrotte. I lavoratori, che non hanno strumenti di tutela e molti nemmeno l'età per essere reimpiegati al lavoro, attendono una risposta. In più, c'è la difficoltà che non possiamo intervenire sul piano legale. Più volte come Cgil, anche a livello nazionale, abbiamo ribadito che la maggior parte delle aziende sotto confisca o  sequestro non riesce a garantire un  futuro ai lavoratori. Bisogna creare un sistema di tutele per consentire ai lavoratori di trovare   un'occupazione o avere garanzie economiche”.

Altissimo il malcontento tra gli edili dell'ex gruppo Aiello di Bagheria, che hanno raccontato la loro drammatica condizione. Al loro fianco, la Fillea e la rappresentante legale, avvocato Rosaria Pollarà. “Da tre anni aspettiamo le mensilità, il Tfr e le competenze finali che spettano a un lavoratore – dice un operaio dell'ex Ati Group -. Non è comprensibile che lo Stato ci tratti così. Abbiamo chiesto prestiti ai nostri fratelli, genitori, cugini e ora li dobbiamo restituire. Le somme ci servono per pagare i debiti contratti in questi tre anni. Lo Stato ha spostato il debito da noi ai nostri familiari”.

“Ci avevano detto – aggiunge un operaio della ex Emar - che la vendita era a buon punto. Perché ci hanno dato solo il 15 per cento? C'è chi aspetta mille euro ma c'è anche chi attende dai 20 ai 40 mila euro. Ci sentiamo presi in giro. Ci hanno proposto perfino una transazione per erogare solo la metà delle somme. Ma dove  siamo, al mercatino? La legge non dovrebbe consentire queste cose. “L'Agenzia nelle sue casse ha le disponibilità. Perché non anticipano le somme e poi le recuperano con la vendita dei beni?”.

“Sono soldi lavorati, aspetto i miei soldi – continua un operaio ex Ediltecnica -. Vogliamo essere tutelati. Siamo in una situazione delicata, pieni di debiti, sotto minaccia di sfratti, non possiamo mandare i bambini a scuola. È questo lo Stato che ci deve proteggere?”.