Meno di una settimana fa un operaio di 67 anni, dipendente di una cooperativa che lavora per il Comune di Pozzonovo (Padova), moriva per un malore improvviso mentre con un furgone stava raccogliendo i cartelli stradali di un cantiere. Le cause del malore non sono state ancora accertate, ma è probabile che le alte temperature abbiano contribuito a provocare il collasso. Il 28 giugno i lavoratori della Padana Tubi di Guastalla si sono fermati per il troppo caldo: hanno scioperato per un’ora dopo che le richieste di arrivare a un accordo di riduzione oraria nel periodo estivo, con particolare riferimento a queste giornate dove i picchi di temperatura rendono gli stabilimenti produttivi invivibili, non hanno prodotto alcun esito perché l’azienda non voleva accollarsi la spesa per almeno una parte della riduzione oraria.

Ancora: a Milano gli operai della Bonetti Acciai hanno deciso di scioperare per due ore a fine turno il 25 e il 26 luglio: nei reparti produttivi dei due siti di Lainate e Cantalupo nelle giornate da “allarme caldo” il termometro raggiunge gradazioni insostenibili, tali da mettere a rischio la salute e la sicurezza dei lavoratori visto che, quando si lavora il ferro, alla temperatura esterna si somma quella prodotta dai macchinari e la situazione diventa davvero insopportabile.

Lavorare in condizioni climatiche estreme rende meno attenti; il fisico risponde con minor prontezza

Ogni estate, purtroppo, le cronache si riempiono di queste notizie ed è presumibile che, con il cambiamento climatico che avanza inesorabilmente, esse tenderanno ad aumentare. Ed è un problema perché, se è vero che i casi fatali non sono fortunatamente così frequenti, è anche vero quello che ormai gli studiosi hanno accertato: lavorare in condizioni climatiche estreme rende meno attenti; il fisico risponde con minor prontezza e dunque si può essere maggiormente esposti a rischi che, in altre condizioni, sarebbero sotto controllo. Insomma: tanti infortuni anche fatali potrebbero essere, se non prodotti direttamente, certamente resi possibili anche a causa delle alte temperature. Il tema dunque è complesso e gli interventi possibili si muovono in due direzioni: la prima riguarda il rispetto delle norme e l’altra la contrattazione. Per il sindacato contrattare l’organizzazione del lavoro – come vedremo – permette di prendere adeguate contromisure che tengano sotto controllo il fattore climatico.

Le norme e la contrattazione
“In Europa – spiega Sebastiano Calleri, responsabile salute e sicurezza per la Cgil nazionale – non esiste una direttiva quadro né alcuna raccomandazione che individui ad esempio una temperatura massima alla quale bisogna smettere di lavorare. Sembra paradossale, ma non lo è: ogni lavoratore è diverso dagli altri e quindi è difficile identificare una temperatura rischiosa uguale per tutti. Naturalmente ci sono delle norme che le aziende devono rispettare e bene ha fatto la Ces nel 2018 a prendere posizione molto chiaramente sul tema, invitando la Commissione a fare dei passi per risolvere questo problema, tanto più urgente proprio perché siamo in una fase di cambiamento climatico”.

Ogni lavoratore è diverso dagli altri e quindi è difficile identificare una temperatura rischiosa uguale per tutti

Quindi, seppure manchi un indirizzo generale, ci sono indicazioni precise che vanno rispettate. In Italia le aziende, come stabilisce il Testo unico sulla salute e sicurezza (il Dlgs 81/08), devono fare una corretta valutazione dei rischi, e tra questi certamente ci sono quelli derivanti da stress climatici. “Perché ovviamente – riprende il sindacalista – non è la stessa cosa lavorare in un ufficio, in una fabbrica o in mezzo a una strada quando ci sono quaranta gradi. Solo che proteggere i lavoratori da questo tipo di rischi significa spendere un po’ di soldi e non tutte le aziende lo fanno”. Sul sito dell’Inail si possono leggere nel dettaglio alcune misure che i datori di lavoro dovrebbero assumere. Spesso sono indicazioni di semplice buon senso, non sempre però seguite. Tra queste, garantire la disponibilità di acqua nei luoghi di lavoro e anche di bevande idrosaline; predisporre luoghi freschi dove effettuare delle pause; dotare i dipendenti di abiti leggeri traspiranti, di cotone, di colore chiaro e cappelli a larga tesa; attrezzare gli spazi interni con l’aria condizionata. Non solo. L’Inps (nel messaggio 1856/17) ha chiaramente indicato che se la temperatura (anche percepita) sale sopra i 35 gradi, le aziende possono far ricorso alla cassa integrazione; tuttavia non sempre questa possibilità viene utilizzata e gli interventi sono quasi sempre piuttosto arbitrari: “Troppe valutazioni discrezionali nei mesi estivi” si legge in un comunicato di qualche settimana fa di Cgil, Cisl e Uil di Siracusa che proprio per questo chiedono “un tavolo permanente con Inps, Confindustria e sindacati che adotti strumenti e criteri validi per tutti”.

È importante che tutti i lavoratori abbiano sempre maggior consapevolezza dei rischi a cui in certe situazioni sono esposti

Ma forse l’aspetto più interessante è quello che riguarda l’organizzazione del lavoro su cui una contrattazione ben condotta può fare molto. Sempre secondo l’Inail, si dovrebbe pensare, laddove possibile, a variare l’orario di lavoro per sfruttare le ore meno calde, ruotare i turni tra i lavoratori, programmare l’attività in modo che si lavori il più possibile in zone meno esposte al calore, evitare di rimanere isolati, permettendo così un reciproco controllo. “Il sindacato – conferma Calleri – su questi aspetti deve fare un lavoro minuzioso e certosino all’interno dei territori. Le organizzazioni dei lavoratori possono e devono contrattare l’organizzazione del lavoro e dei turni”. Fondamentale dunque il ruolo delle Rsu e degli Rls, ma, aggiunge il dirigente della Cgil, “è importante che tutti i lavoratori abbiano sempre maggior consapevolezza dei rischi a cui in certe situazioni sono esposti: se non ci si protegge dal calore eccessivo, il pericolo di incidenti o malattie professionali aumenta in modo esponenziale. E quindi deve essere ribadito che non può essere possibile alcuno scambio tra incolumità e lavoro, cosa che purtroppo negli ultimi tempi, con la crisi e la diminuzione per via legislativa dei diritti dei lavoratori, non è sempre facile”.

Chi rischia di più
“Vorremmo che si parlasse di cosa significa lavorare a temperature elevate nei cantieri per i lavori stradali, mentre si stende l’asfalto, mentre si isola un tetto, mentre si esegue un getto di calcestruzzo, mentre si monta un ponteggio. Ci piacerebbe che si parlasse qualche volta dei lavoratori edili e delle loro condizioni”. Questo l’appello accorato di Marco Carletti, segretario generale della Fillea di Firenze. Proprio a Firenze nel 2016 la morte di un giovane operaio edile spinse la Asl Toscana Centro a emanare delle linee guida per affrontare i rischi dovuti alle alte temperature, ma il problema come spesso capita in Italia sono anche i controlli: “A Firenze nei cantieri stradali, sull’A1, sulla Fi-Pi-Li, nei cantieri per la stesura dell’asfalto, sono stati predisposti idonei luoghi freschi, quali zone ombreggiate od ombrelloni di cantiere? – attacca il sindacalista –. Sono state organizzate le soste di 10 minuti ogni ora? Sono previsti turni di rotazione per gli esposti al rischio? I lavoratori edili di Firenze dispongono di acqua fresca con aggiunta di sali minerali? Chi effettua i controlli nei cantieri sulla corretta applicazione delle linee di indirizzo? Ci piacerebbe che tutti gli organismi di controllo e ispettivi in queste ore fossero impegnati a evitare che i lavoratori dei cantieri edili possano sentirsi male a causa delle alte temperature”.

È durissimo lavorare a temperature elevate nei cantieri per i lavori stradali, mentre si stende l’asfalto, mentre si isola un tetto

Massimo Mustacchio, fiorentino, lavora nei cantieri edili da 35 anni; ha iniziato dalla gavetta e ora alla Rosi Leopoldo gestisce un cantiere nel quale lavorano 60 operai. “Della mia azienda non posso che parlar bene – racconta –. Abbiamo a disposizione tutto ciò che ci serve per affrontare temperature così alte, a partire dai sali minerali e dai gazebo per ripararci; l’attenzione diretta della proprietà è sempre molto alta. Purtroppo non è sempre così: quando sono in giro e vedo come si lavora in altri cantieri, mi accorgo che spesso siamo molto lontani da standard accettabili di sicurezza. In questi giorni ci sono 37 gradi, e vi assicuro che stendere asfalto con queste temperature è davvero dura, è molto facile essere soggetti a malori”. Anche per Mustacchio, però, i dispostivi non sempre bastano: “In situazioni estreme bisognerebbe agire anche sull’organizzazione del lavoro, per esempio allungare la pausa pranzo e finire più tardi. In fondo questi picchi si registrano solo in poche settimane l’anno”.

Tra i settori esposti agli stress da calore, oltre naturalmente all’agricoltura (tutti ricorderanno quattro anni fa la terribile vicenda di Paola Clemente, uccisa da fatica bestiale e caldo torrido nelle campagne pugliesi), c’è, forse meno prevedibilmente, quello dei trasporti. Qui i fattori di rischio, più che all’organizzazione del lavoro, sono legati all’obsolescenza delle macchine, come sa bene chi a Roma, ad esempio, è costretto a viaggiare su mezzi spesso privi di aria condizionata e addirittura con i finestrini bloccati. È il caso, anche, della Ferrovia del Sud-Est nel Salento: “Paghiamo lo scotto – ricorda Giuseppe Guagliano, segretario generale della Filt di Lecce – di mancati investimenti e scarsa accuratezza nella gestione degli anni passati. Mentre per il trasporto su gomma il 70 per cento è stato fatto, per quanto riguarda la parte ferroviaria la situazione è molto difficile. Oltre a problemi di ordine generale – i mezzi non possono procedere a più di 50 chilometri orari perché, essendo vetustissimi, mancano di sistemi adeguati di sicurezza –, nonostante gli sforzi sovraumani fatti in officina, l’aria condizionata puntualmente salta. Le condizioni di lavoro di capotreni e macchinisti ne risentono pesantemente, così come quelle dei viaggiatori che si spostano con queste temperature”.

Condurre un treno in una situazione di stress da calore mette a rischio la sicurezza dei passeggeri

Inutile aggiungere che anche in questo caso condurre un treno in una situazione di stress da calore mette a rischio la sicurezza non solo dei lavoratori ma anche dei passeggeri: le soglie di attenzione e concentrazione dei macchinisti in queste condizioni sono infatti messe a dura prova. “L’azienda – sottolinea il sindacalista – qualcosa sta facendo, sono in arrivo sette Atr 220, ma non basta: andrebbe sostituito tutto il parco macchine”. Naturalmente, problemi possono sopraggiungere anche in altre stagioni, con temperatura troppo basse: “Questo inverno una mattina si registravano 4 gradi – riprende Guagnano –. Senza riscaldamento, i macchinisti si sono rifiutati di partire e i treni sono stati soppressi. Insomma, bisogna investire sui mezzi”. Anche perché nei trasporti per quanto riguarda l’organizzazione del lavoro c’è poco da fare: non si tratta di cantieri e gli orari di viaggio certo non si possono cambiare.

Personalizzare la prevenzione
Quello che risulta chiaro, in questo pur minimo scandaglio, è che se un problema oggettivo esiste le soluzioni da adottare devono per forza di cose essere articolate e riguardano l’uso di dispositivi di protezione individuali, gli investimenti nelle macchine e l’organizzazione del lavoro. Anche la ricerca, in aggiunta, può dare una mano. Marco Morabito lavora all’Istituto per la BioEconomia (Ibe) del Cnr. Il ricercatore collabora al Progetto Horizon 2020 Heat-Shield che vede la partecipazione di ben 20 paesi europei e che in Italia coinvolge – oltre al Cnr – l’Università di Firenze e il dipartimento di prevenzione dell’azienda Asl Toscana centro. Il progetto si divide in due parti. Nella prima si individuano delle linee di indirizzo per il datore di lavoro e per i lavoratori: misure, cioè, che andrebbero prese per evitare i rischi da stress da alto calore o freddo estremo a tutela della salute dei lavoratori e anche della produttività, perché se si lavora in cattive condizioni a esserne danneggiata è ovviamente anche l’azienda. La parte più innovativa, però, è la seconda: la sperimentazione di un approccio che personalizza i fattori di rischio quando si è esposti a temperature estreme e dunque cerca di individuare soluzioni e risposte adeguate allo specifico lavoratore. Si può fare un esempio banale: si dice che quando fa molto caldo è bene assumere sali minerali, ma è chiaro che se il soggetto in questione soffre di patologie cardio-vascolari questo approccio non va più bene.

Grazie a una piattaforma innovativa è possibile personalizzare i fattori di rischio

“Partiamo innanzitutto da un dato – spiega Morabito –. Con uno studio realizzato insieme all’Inail e poi pubblicato sull'American Journal of Industrial Medicine abbiamo dimostrato non solo che esiste una correlazione tra alte temperature e aumento degli infortuni sul lavoro, ma che, in maniera apparentemente sorprendente, questo rapporto è evidente soprattutto nei soggetti di età inferiore ai 25 anni”. Il motivo, spiega Morabito, non è, come si potrebbe pensare, che i giovani sono meno formati, ma piuttosto che “sentendosi sani e forti tendono a sottovalutare i rischi e a prestare meno attenzione alle misure di prevenzione. Da non sottovalutare anche il fatto che, per gli stessi motivi, vengono loro affidati lavori più pesanti e intensi. Questo aspetto è molto interessante, perché generalmente gli effetti del caldo vengono misurati piuttosto sulla popolazione anziana”.

Ma il cuore del progetto è sicuramente la piattaforma web. Il suo funzionamento è semplice: “Il singolo lavoratore accede alla pagina e, in fase di registrazione, fornisce tutta una serie di informazioni utili a personalizzare il suo grado di rischio in caso di temperature estreme. Dunque: peso, altezza, livello di attività fisica che svolge durante il lavoro, l’ambiente di lavoro, se lavora all’aperto o al chiuso, patologie. Il sistema a questo punto elabora i dati, offre una soglia specifica di criticità per quel singolo lavoratore, al di sopra della quale, ovviamente, bisognerà prendere delle precauzioni e dà anche delle indicazioni sulle misure da attuare”. Il sistema è previsionale: calcola cioè i gradi di rischio in base al luogo in cui si lavora, utilizzando previsioni meteorologiche probabilistiche (finora sono registrate 1.800 località in tutta Europa) personalizzate fino a 45 giorni.

“Questo aspetto – sottolinea il ricercatore – è molto importante. Permette una migliore pianificazione e organizzazione delle attività lavorative. La piattaforma dovrebbe servire da supporto non solo al singolo lavoratore, ma anche all’azienda e al medico competente che possono sapere quali lavoratori sono più o meno in pericolo in certe condizioni rispetto ad altri e prendere le necessarie misure organizzative, magari concedendo loro in determinati periodi dell’anno più pause o adibendoli a mansioni più leggere”. E così si torna a uno dei temi cruciali da cui siamo partiti: quello dell’organizzazione del lavoro e il ruolo che in questo, con le sue Rsu e i suoi Rls, può svolgere un sindacato presente e forte nelle aziende.

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