L’incontro di oggi (giovedì 11 luglio) era programmato già da tempo. Ma l’annuncio-shock dell’ennesima riorganizzazione (sarebbe la terza negli ultimi otto anni) di Deutsche Bank, con l’avvio di 18 mila licenziamenti, pari a un quinto dell’intero personale mondiale, lo ha trasformato in un primo confronto tra società e sindacati sul piano. I lavoratori italiani del colosso bancario tedesco sono 3 mila, suddivisi in circa 200 filiali (presenti per lo più in Lombardia, Toscana, Lazio e Campania). Secondo l’amministratore delegato Christian Sewing, gli esuberi dovuti alla “reinvenzione” (questo il termine che ha usato) della banca di Francoforte saranno concentrati soprattutto in Asia, Stati Uniti e Gran Bretagna, ma anche l’Europa continentale, e di conseguenza l’Italia, potrebbero essere colpite.

“La crisi di Deutsche Bank va avanti da tempo”, spiega il segretario nazionale della Fisac Cgil Claudio Cornelli: “Dal 2011 abbiamo sottoscritto già tre piani di ristrutturazione. L’ultimo, denominato ‘Strategy 2020’, è stato firmato nel maggio 2018 e prevedeva l’uscita di 220 lavoratori mediante incentivi all'esodo e accompagnamenti alla pensione, realizzati attraverso l’adesione al Fondo di solidarietà interbancario”. Cornelli rivela anche “la vera preoccupazione, più che i licenziamenti, è che Deutsche Bank venga venduta. I tedeschi hanno la necessità di avere liquidità: cedere le filiali, mantenendo il settore private con tutti i clienti più ricchi, potrebbe per loro essere una possibilità da scegliere”.

La ristrutturazione di Deutsche Bank è stata annunciata sabato 7 luglio, a conclusione della riunione del consiglio di sorveglianza, che ha certificato una perdita netta di 2,8 miliardi nel secondo trimestre. Per quest’anno il bilancio si chiuderà dunque in perdita, per tornare in pareggio nel 2020 e restituire dividendi agli azionisti nel 2022. Il piano, la cui conclusione è prevista nel 2022, prevede il ritorno alla centralità del corporate banking (affiancato dalle attività di private banking, asset management e investment banking) e dall'uscita dal mercato secondario del global equity e dalle attività azionarie di trading. I costi saranno ridotti di 6 miliardi, allo scopo di scendere a 17 miliardi nel 2022. Verrà, inoltre, creata una capital release unit (in sostanza una “bad bank”), dove verranno trasferiti 74 miliardi di euro di attività ponderate per il rischio (rwa) e 288 miliardi di esposizioni, che ne dovrà gestire la dismissione. Da qui al 2022 i costi di ristrutturazione ammonteranno a 7,4 miliardi.