“Il governo non ha mostrato fino a oggi alcuna attenzione alle persone in pensione e agli anziani, nonostante queste rappresentino una fetta piuttosto consistente della popolazione italiana. Anche per questo credo che a piazza San Giovanni saremo in tanti”. Ivan Pedretti, segretario generale dello Spi Cgil, riassume in questi termini a Rassegna Sindacale le (tante) ragioni che sono alla base della manifestazione nazionale di protesta (“Dateci retta, abbiamo 16 milioni di buoni motivi”) indetta dalla sua organizzazione, assieme a Fnp Cisl e Uilp Uil, per sabato 1° giugno a Roma. Un appuntamento importante, che si inserisce nel più ampio percorso di mobilitazione deciso da Cgil, Cisl e Uil a sostegno della loro piattaforma unitaria e inaugurato lo scorso 9 febbraio con la manifestazione nazionale #FuturoalLavoro (anche quella a Roma e sempre in piazza San Giovanni).

Rassegna Pedretti, il documento rivendicativo dei sindacati pensionati è molto denso e articolato. Quattro i punti cardine: rivalutazione degli assegni e meccanismi di recupero dell’inflazione più efficaci; difesa e rilancio del Servizio sanitario nazionale; riduzione della pressione fiscale; tutele, servizi e sostegni per le persone non autosufficienti. Partiamo da quest’ultimo capitolo della vostra piattaforma: perché, secondo te, il tema della non autosufficienza – che dovrebbe rappresentare una priorità assoluta, riguardando qualcosa come tre milioni di italiani – non si riesce ancora ad affrontarlo nel nostro Paese in modo serio e adeguato?

Pedretti Non c’è dubbio: si tratta di un tema che stenta a emergere. Eppure è una questione che ogni famiglia si trova o si troverà prima o poi ad affrontare, tanto più in una società che – come la nostra – tende a invecchiare. In Italia abbiamo bisogno, come in altri Paesi, di una legge che noi non esitiamo a definire “di civiltà”: una legge che provi a dare un aiuto concreto a persone che a un certo punto della loro vita si sono imbattute con il problema della non autosufficienza. E del resto assistiamo anche a fatti clamorosi: una famiglia monoreddito con una persona in disabilità entra in uno stato di povertà. Per quanto ci riguarda, raccoglieremo nei prossimi mesi migliaia di firme per incardinare una proposta di legge in Parlamento e chiederemo a tutte le forze politiche di rispondere a questa nostra sollecitazione con grande responsabilità, perché in un Paese che invecchia è normale che aumentino le cronicità, così come è giusto rispondere a questo tipo di problemi con misure di giustizia e uguaglianza.

Rassegna Ma perché la politica non se ne occupa?

Pedretti Non è vero che non se ne occupa, preferisce ricorrere a misure tampone: è più facile dare un assegno di accompagnamento, quando invece ci sarebbe un grande bisogno di interventi qualificati, dell'assistente sociale, di un infermiere, di una badante professionale. È uno specchietto per le allodole di natura esclusivamente finanziaria, in realtà si lascia la gestione del problema alle famiglie. Negli ultimi tempi poi assistiamo a situazioni che stanno degenerando. Si moltiplicano le cosiddette case-famiglia gestite in privato, che trattano gli anziani in misura dequalificata, a volte usando addirittura la violenza. Come se ciò non bastasse, abbiamo case di riposo dove c'è scarsità di personale o dove convivono fino a quattro forme contrattuali per le stesse mansioni, con diritti e tutele diverse, di conseguenza con i servizi offerti che variano sensibilmente da una realtà all’altra. C'è un grande lavoro da fare intorno alla questione della non autosufficienza, ma credo che non ci sia la volontà da parte della politica di affrontarla in modo appropriato.

Rassegna Diritto alle cure e a invecchiare bene. Da cavallo di battaglia delle organizzazioni sindacali dei pensionati, la richiesta del rilancio del sistema sanitario pubblico, al pari del sostegno alla non autosufficienza, ha gradualmente assunto i contorni dell’emergenza nazionale.

Pedretti Intanto, rileviamo che sul tema della sanità il sistema di finanziamento nazionale negli ultimi anni ha registrato un continuo e progressivo calo. Noi dovremmo avere almeno 4 miliardi di investimento sul servizio universale, perché ci sono realtà territoriali in cui il sistema sanitario si è fortemente indebolito. Per cui c'è bisogno, come direbbe la nostra Costituzione, di una garanzia del diritto alla salute della persona, a prescindere dal luogo di nascita, sia esso il Trentino o la Calabria. C'è bisogno di riconsiderare il sistema sanitario come universale e magari spendere meno risorse per defiscalizzare quello privato. Ci sono i ticket, i superticket, ci sono file interminabili di persone nelle liste d'attesa. Senza contare le tante situazioni complicate di persone con redditi bassi che ormai non si curano più, perché il costo del nostro servizio pubblico sta diventando troppo pesante, creando un danno enorme, oltre che ai singoli individui, all’intera società, essendo il tema del diritto alla salute e dell’equità del sistema sanitario uno dei più importanti indicatori di evoluzione e di benessere di un Paese.

Rassegna Non pensi che un diritto come quello alla salute per tutti i cittadini, sancito dalla Costituzione, rischia di essere messo in discussione se dovesse andare in porto il progetto di autonomia differenziata sostenuto dalle giunte regionali di Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna?

Pedretti È evidente, siamo di fronte a una proposta da parte di alcune Regioni, pienamente acquisita dal governo, che rischia di peggiorare il quadro di difficoltà già in atto: una sorta di tutela della salute delle persone differenziata da un punto all’altro del Paese. Ovviamente i territori più deboli pagheranno il prezzo più alto, con tutto il Sud che rischia di essere risucchiato dentro questa dinamica. Per non parlare di cosa potrebbe succedere se l'autonomia differenziata intervenisse anche sull’istruzione dei giovani, oppure su un differente trattamento dei diritti dei lavoratori tra un territorio e l'altro. Una sorta di “nuove gabbie salariali” un po' più larghe rispetto al passato. Anche da questo punto di vista, siamo fortemente preoccupati. Non siamo pregiudizialmente contro il regionalismo, siamo per avere una garanzia di tutela dei diritti fondamentali della persona in misura universale. Su questo punto non intendiamo arretrare nemmeno di un millimetro.

Rassegna Naturalmente, sia sul versante della non autosufficienza che su quello della sanità, la battaglia dei sindacati dei pensionati riguarda tutti, non solo gli anziani…

Pedretti Certo, interessa tutti i cittadini. Poi, ovviamente, viviamo in una società invecchiata e si sa che chi è vecchio ha qualche problema in più. La verità è che abbiamo sempre più bisogno di rimodulare il sistema in virtù dei cambiamenti sociali che sono avvenuti in questo Paese. Cambiamenti che, a volte, dovremmo anche imparare a considerare come positivi. Se io faccio invecchiare bene le persone, se non le faccio stare male, le aiuto a vivere meglio, aiuto lo Stato a risparmiare in welfare e in protezione sociale. Se invece non do alcuna risposta e impoverisco i redditi da pensione e da lavoro, alla fine quelle persone staranno male e costeranno di più. Ma non solo. Se attrezzo meglio il sistema dei servizi in virtù dei cambiamenti sociali, creo più qualificazione professionale, do attività nuove ai dipendenti pubblici, do loro uno spazio negoziale e contrattuale migliore. Lo stesso discorso vale per la tecnologia: se investo su questo versante, aiuto lo sviluppo del Paese. Se in sanità ci sono macchinari nuovi, avanzati, la tutela e la protezione della persona migliorano. Se si promuovono investimenti nelle case domotiche, si aiutano le persone anziane a vivere meglio e, allo stesso tempo, si fanno lavorare i giovani sull'innovazione.

Rassegna Veniamo al tema forse più sentito dagli uomini e dalle donne che sabato 1° giugno affolleranno piazza San Giovani, quello della mancata rivalutazione delle pensioni.

Pedretti Beh, intanto c'è un problema di principio. Lo dico pensando a un governo che ci spiega ogni giorno che ha fatto un contratto con i cittadini e che è fortemente intenzionato a rispettarlo. Bene, se è così, anche i pensionati italiani ne hanno stipulato uno con lo Stato, ma tutte le volte, quale che sia il governo alla guida del Paese, c'è qualcuno che quel contratto lo disattende, perché blocca la rivalutazione. Un’assurdità. Non si può pensare, come ormai si fa da anni, di usare i pensionati come dei bancomat per finanziare il debito pubblico. Almeno fossero state usate quelle risorse per costruire la pensione di garanzia per i giovani, oppure il lavoro di cura per le donne. Macché. Questo governo ha fatto qualcosa di più e di peggio rispetto a quelli che lo hanno preceduto: ha usato i soldi dei pensionati, bloccando la rivalutazione, per pagare la possibilità a una fascia di lavoratori di andare in pensione con quota 100 e a un’altra fascia di cittadini di avere il reddito di cittadinanza. Tutto questo spostando le risorse da soggetti deboli della società ad altri soggetti deboli. Un danno anche culturale. Del resto, non c’è da stupirsi: quello in carica è un governo che ha dato ampie prove della sua capacità di creare odio, malessere e divisione sociale.

Rassegna Sono in grado i sindacati di quantificare la perdita economica causata dalla mancata rivalutazione delle pensioni?

Pedretti Abbiamo reso noti i nostri conti al riguardo proprio nei giorni scorsi. Se si prende a riferimento il periodo 2012-2019, possiamo indicare per un assegno lordo di 1.500 euro al mese una perdita economica pari a 7.200 euro. Naturalmente la cifra cresce sensibilmente, fino ad arrivare a 20 mila euro in meno, per chi ha un assegno lordo mensile di 3.500 euro. Tagli reiterati nel tempo, a cui vanno aggiunti, purtroppo, quelli decisi dall’attuale esecutivo, il quale – attraverso il nuovo meccanismo di rivalutazione in vigore dal mese di aprile – sottrarrà agli anziani una somma pari a 3,5 miliardi nei prossimi tre anni. Insomma, quale che sia il governo, per fare cassa il metodo più gettonato è sempre lo stesso: mettere le mani in tasca ai pensionati.

Rassegna Spi, Fnp e Uilp saranno in piazza il 1° giugno anche per un altro motivo: i pensionati italiani sono quelli che in Europa pagano più tasse di tutti…

Pedretti È vero, da noi la pressione fiscale sui redditi da pensione è maggiore anche di quella applicata al lavoro dipendente, per effetto delle minori detrazioni. Una situazione che andrebbe al più presto sanata. Per farlo servono investimenti di qualche miliardo: risorse che, non ci stancheremo mai di ripeterlo, si devono assolutamente trovare. La si chiami patrimoniale, la si chiami tassa sulla ricchezza. L’importante è riportare il Paese al rispetto di un principio fondamentale: chi più ha, più paga.

Rassegna Incuriosisce, nella piattaforma messa a punto dai sindacati dei pensionati, la presenza della richiesta di maggiori investimenti nella domotica. Un eccessivo salto in avanti?

Pedretti Niente affatto, anzi. Il fatto è che noi vorremmo che le persone anziane a un certo punto della loro vita non subissero l'isolamento sociale. Pensiamo a grandi città come Roma o Milano, ai loro quartieri periferici. Migliaia di persone non escono più dalle case perché non ci sono gli ascensori, oppure vivono realtà di fortissimo disagio perché non riescono ad abbassare una tapparella. Se noi lavorassimo per investire nel benessere della vita degli anziani anche nelle loro abitazioni, spenderemmo di meno in welfare, perché non sarebbero costretti ad andare nelle case di riposo e potrebbero svolgere le loro attività anche in presenza di menomazioni. Di qui la nostra richiesta di una politica di investimento sull'innovazione, non solo per le case, ma anche per i servizi pubblici alla persona: noi pensiamo che la domotica, così come la robotica, aiuti la persona – in primis la persona anziana – a vivere meglio.