"Con il presidio di oggi vogliamo ribadire la nostra vicinanza e sostegno a tutte le lavoratrici e lavoratori di Banca Carige. Siamo assolutamente consapevoli della complessità della vicenda e dei delicati risvolti sistemici connessi alla sua risoluzione". Così il segretario generale della Fisac Cgil nazionale Giuliano Calcagni, presentando il sit-in che si tiene oggi (venerdì 3 maggio) a Genova, in piazza De Ferrari, a partire dalle ore 14.30. La mobilitazione è stata organizzata "per protestare contro il taglio paventato di mille posti di lavoro e la chiusura di 100 sportelli" resa nota con la presentazione ai sindacati, lo scorso 28 febbraio, del nuovo piano industriale, "funzionale - denunciano le organizzazioni dei lavoratori - a un vero e proprio stravolgimento dell’istituto, che sarebbe dedicato unicamente alla gestione dei patrimoni, con conseguenze espulsioni di tanti lavoratori". Per evitare questa deriva, i sindacati chiedono che a intervenire sia direttamente il governo.

"Non assumiamo pregiudiziali rispetto alle possibilità oggi sul tavolo, tuttavia ribadiamo con forza la nostra contrarietà verso qualsiasi operazione di macelleria sociale, e verso ogni decisione che determini impatti negativi sugli assetti occupazionali e sulla mobilità territoriale", continua Calcagni, ribadendo come "gli strumenti legislativi e contrattuali oggi disponibili possano portare a una positiva definizione della vicenda". Per il segretario generale della Fisac Cgil nazionale "occorre lavorare perché si definisca una soluzione che possa riconsegnare Banca Carige al territorio e alle lavoratrici e ai lavoratori in condizioni di sostenibilità per il territorio stesso, per i lavoratori tutti e per il Paese".

A complicare la situazione si sono registrate anche “interferenze” esterne. Lo scorso 30 aprile, Il Messaggero riferiva di un accordo fra il probabile nuovo azionariato e i sindacati che avrebbe comportato tagli delle retribuzioni del 20 per cento, dimezzamento del numero delle filiali ed esuberi per 1.800-2.000 lavoratori, praticamente la metà degli attuali occupati.

Ipotesi seccamente smentite dalle organizzazioni dei lavoratori, come “prive di qualunque fondamento e distanti anni luce dalle posizioni del sindacato”. Le diverse sigle presenti in Banca Carige, si legge in una nota della Fisac di Genova, “non hanno concordato nulla con nessuno, né hanno mai concesso aperture verso alcuna soluzione negoziale. Ad oggi non c’è mai stato nessun incontro sul piano industriale né su quello presentatoci a febbraio (ed evidentemente scritto sulle nuvole), né tantomeno su sue ipotetiche versioni future”. Proprio per questo, i sindacati invitano con ancora maggior forza i lavoratori e la cittadinanza a partecipare al presidio “per far sentire la propria voce e arginare nel suo intento chi vuole perseguire i propri interessi considerando come fastidi le regole esistenti e, ancor più grave, le lavoratrici e i lavoratori”.

“Siamo sempre stati disponibili a discutere seriamente del futuro del Gruppo Carige – scrive la Fisac –, a partire da quello di chi, in tutta Italia, vi opera ogni giorno, mettendoci impegno e professionalità, a differenza di molti di coloro che si sono susseguiti in diversi ruoli apicali dell’istituto, producendo di fatto le attuali disastrose condizioni”.

Il tempo a disposizione tuttavia comincia a ridursi. Tra un mese scade, infatti, il termine ultimo fissato dalla Bce per delineare una soluzione che arrivi da investitori privati. Tuttavia “allo stato di difficoltà in cui si trova l’azienda – si legge in un comunicato di Fabi, First Cisl, Fisac Cgil, Uilca e Unisin insieme con i coordinamenti sindacali del Gruppo – nulla emerge circa le reali intenzioni di tutti i soggetti in causa, compreso un preoccupante silenzio da parte dell’attuale primo azionista della banca. È stato passato il segno e, anche per evitare che si creino pericolosi precedenti nella categoria, chiediamo con forza l’intervento del governo e delle istituzioni per la salvaguardia dei posti di lavoro e del benessere sociale”.

Per i sindacati “il paventato ingresso nel capitale del gruppo del fondo statunitense BlackRock, a quanto sembra il solo soggetto ad essere rimasto interessato alle sorti della banca, non può essere considerato una buona notizia, se questo comporta, come sembra, esuberi di duemila lavoratori, lo smembramento della rete commerciale e le esternalizzazioni di un gran numero di attività”.

Queste strategie aziendali produrrebbero una “inaccettabile macelleria sociale” e non garantirebbero “la messa in sicurezza e il rilancio dell’istituto ma evidenzierebbero una neanche troppo nascosta intenzione di accaparrarsi soltanto il buono rimasto”.

Un progetto di questo tipo, che ha come obiettivo esclusivamente la valorizzazione della gestione dei patrimoni, continua il comunicato, “utile solo a qualche soggetto per incrementare nel breve periodo il proprio capitale, mette a rischio il futuro delle lavoratrici e dei lavoratori e trascura il ruolo della banca quale riferimento indispensabile per l’economia dei territori. Non è in nessun modo accettabile che il salvataggio del Gruppo possa essere effettuato con l’ennesimo sacrificio delle lavoratrici e dei lavoratori”. Insomma, sono tanti i motivi per stare in piazza oggi.

(aggiornamento ore 14.45)