“La corsa della tecnologia è stata di una frenesia inedita, molto meno quella relativa a un progetto per il suo governo”. Così Alessio Gramolati nella sua relazione alla presentazione del manuale Contrattare l'innovazione digitale, edito da Ediesse e curato proprio da Gramolati e Gaetano Sateriale. L'incontro si è svolto oggi (18 aprile) nella sede della confederazione a corso d'Italia. “Il pensiero politico in questi anni – ha spiegato – si è nutrito di un determinismo passivo: erano tanti coloro che prevedevano un mondo mitigato nei suoi squilibri dal semplice avvento delle tecnologie, come tanti ne esaltavano i rischi e le finalità apocalittiche”.

A mancare è stato un “pensiero lungo”, secondo il sindacalista, un “progetto alto” al servizio dell'uomo e in sintonia con l'ambiente. “Il governo delle ricadute dell'innovazione sulle nostre vite deve fare i conti con la potenza economica dei suoi detentori – a suo avviso –, come dimostrano i tentativi messi in atto per regolare aspetti etici e redistributivi in ambito sociale, fiscale, di privacy, di proprietà intellettuale”. Il mondo odierno “sta ridefinendo i propri assetti geoeconomici, con una forza che non si vedeva dalla fine dei conflitti mondiali. Eppure il dibattito politico italiano sembra non voler decidere quale modello vogliamo dare al Paese. Che futuro vogliamo?”, si è chiesto Gramolati.

La certezza è che davanti ai cambiamenti non si può restare indifferenti. “Difficile trovare un buon motivo per essere semplici spettatori, in una fase storica in cui le spese per armamenti raggiungono livelli impressionanti, sovranismi e nazionalismi riaffiorano nelle più solide democrazie, tornano i dazi doganali”. Tutti problemi che “non possiamo pensare di eludere”, a suo avviso, perché la realtà presenta il conto: “I dazi e la Brexit stanno frenando la crescita mondiale e un Paese come il nostro, portato all'export e al turismo, ne risentirà più di altri”. Per tutte queste ragioni “occorre rilanciare la sfida del futuro, sottraendolo ai nuovi untori di paure”. Negli anni della crisi l'Italia è stata particolarmente colpita: “Abbiamo perso un quarto della capacità produttiva, posti di lavoro e investimenti. I recenti dati Istat sulla produttività rivelano quanto sia stata miope una politica per recuperare competitività centrata sulla riduzione dei diritti e dei redditi da lavoro”.

Adesso la priorità è rilanciare la crescita e lo sviluppo, ovvero “rimettere in moto un processo che da troppo tempo si è bloccato”. Qui si inserisce il discorso sul governo dell'innovazione. “Il provvedimento di Industria 4.0 del ministro Calenda ha fatto un passo nella direzione giusta, ma da solo non basta – secondo Gramolati –: nessun provvedimento è sufficiente se ci occupiamo troppo delle tecnologie e poco delle politiche di sostegno sociale. Oppure, al contrario, se aspettiamo che l’innovazione avvenga da sola o la ostacoliamo per paura”. Occorre quindi costruire “un ambiente favorevole” per i cambiamenti: “Non è semplice, ma è imprescindibile. Nel passaggio attuale il rapporto tra uomo e macchina, tra umanità e scienza, fra tecnologia e lavoro è profondamente cambiato. Senza un progetto, senza un governo di questo processo si rischia di compromettere la coesione sociale, a partire dal tema dell'occupazione”.

Alessio Gramolati ha ricordato il percorso dell'ufficio Industria 4.0 della Cgil, che con il libro compie un nuovo passo: “Il testo è un ulteriore utensile nella cassetta degli attrezzi e testimonia concretamente la vitalità del progetto. Non viene calato dall'alto, ma nasce da una lunga azione di tessitura e condivisione. Si tratta di un lavoro collettivo che nel tempo è passato dall'analisi alla proposta, e poi alla sperimentazione delle pratiche necessarie per promuovere e non subire l'innovazione”. Un impegno che è “il tratto distintivo di un sindacato riformista“, chiamato a rispondere alle domande delle persone, nei luoghi di lavoro e nei territori, ad affrontare le nuove forme come i riders e i lavoratori delle piattaforme.

Il risultato di oggi “è un punto di arrivo ma anche di partenza”, ha concluso Gramolati, che “si evolverà in forma digitale, diventando una app dedicata a tutti i componenti dell'assemblea generale della Cgil, con l'obiettivo di favorire il confronto sulla contrattazione della digitalizzazione”.

“Le innovazioni vanno governate. Oggi l'innovazione industriale riguarda servizi, prodotti e tecnologie che possono diventare oggetti di consumo per chiunque. L'innovazione va pensata come mezzo, non come fine in sé”. Lo ha detto Gaetano Sateriale, nel suo intervento. “Io penso – ha aggiunto – che i processi si possano governare adeguatamente dal lato della domanda. Proprio da qui bisogna ripartire: siamo in Italia, un Paese in cui la domanda è ferma da molti anni. La mano invisibile di Adam Smith non ha mai funzionato. Al contrario, ripartire dalla domanda significa ripartire dai bisogni delle persone, del territorio, dal welfare e dalla creazione di benessere”.

Governando l'innovazione si possono creare nuovi mercati, aumentare la produttività e ridurre le diseguaglianze. “Questo significa governare il processo: se non lo facciamo, i benefici dell'innovazione possono essere rilevanti per le imprese collocate su mercati esteri, ma tutti gli altri sono destinati a restare indietro. Le diseguaglianze non sono solo di natura economica, nel nostro Paese la somma dei dualismi è gigantesca: Nord e Sud, dentro i territori, tra centro e periferie”. A questo si aggiungono altri problemi, secondo Sateriale, come le aree colpite dal terremoto: “Non è vero che mancano le risorse, i fondi ci sono ma non si riesce a mettersi d'accordo per gestirli. In tal senso l'autonomia differenziata non farà che peggiorare la situazione”.

Da affrontare il tema delle competenze multiple: “Non si riesce a prendere una decisione perché c'è sempre qualcuno che si oppone ed esercita un diritto di veto – a suo avviso –. Ogni volta che c'è un problema si chiede la nomina di un commissario, perché chi è in carica non riesce a decidere davvero”. Insomma, c'è un punto “di cui tutti devono rendersi conto”: “Sono necessarie politiche programmatiche di medio e lungo periodo. La politica invece va in senso contrario: continua a lavorare su traguardi brevi, prima erano quinquennali e guardavano alle elezioni, ora sono quasi quotidiani, fatti di tweet per migliorare il proprio consenso”.

Come affrontare questa complessità? Così Sateriale: “Occorre ripartire dal basso: non si può credere che un giorno un governo ci chiami per darci ragione, non è mai accaduto negli ultimi decenni. La soluzione più plausibile è mettere insieme le nostre forze partendo dai territori e dai bisogni delle persone: da una parte ci sarà il problema del dissesto, da un'altra quello degli anziani, andiamo a vedere tutti i singoli nodi. Iniziamo dai piccoli Comuni, poi passiamo a quelli medi, alle città e arriviamo alle Regioni. Alla fine si arriverà al governo nazionale e all'Europa”. Sono percorsi “che il sindacato può promuovere, stimolare, ma devono essere raccolti da tutti gli attori sociali sul territorio”.

Nel corso del dibattito hanno poi preso la parola la responsabile ufficio Lavoro 4.0 della Cgil Cinzia Maiolini e la coordinatrice della piattaforma Idea Diffusa Chiara Mancini. A seguire, nella programmata tavola rotonda, sono intervenuti Mimmo Carrieri, professore dell’Università La Sapienza di Roma, Rosa Fioravante, ricercatrice e teaching assistant Luiss, e Maurizio Stirpe, vicepresidente Confindustria.

Le conclusioni dell'iniziativa sono state affidate al segretario generale della Cgil, Maurizio Landini. “Oggi non c'è solo una discussione di come funziona l'impresa, ma il tema è che sta cambiando anche la concezione stessa del prodotto – ha esordito –: si apre cioè un dibattito sulla sostenibilità di ciò che viene immesso sul mercato. Il governo dei cambiamenti, inevitabilmente, deve porsi il problema di nuove relazioni sindacali e una nuova rappresentanza contrattuale. Questo compito spetta ai sindacati e alle imprese”.

È necessario gestire l'innovazione, al contrario di ciò che si è fatto con la globalizzazione. “Quella non è stata governata – ha detto Landini –, è prevalso un pensiero che vedeva la contrattazione come vincolo inaccettabile verso la globalizzazione. Il risultato è stato un livello di precarietà nel lavoro senza precedenti. L'esigenza di nuova flessibilità si è tradotta in nuova precarietà, occorre ricomporre questo punto se vogliamo governare la tecnologia: in altre parole, non si può chiedere a un lavoratore di valorizzare la sua intelligenza restando con un contratto precario”. La qualità dei prodotti e quella dell'impiego “devono tornare a camminare di pari passo”.

In presenza di un cambiamento profondo, poi, “va ripensata anche la partecipazione attiva del lavoro nella vita delle imprese, avendo come base la qualità e la stabilità del lavoro. A differenza di altre fasi e rivoluzioni industriali, adesso c'è una trasversalità totale: non ci sono ambiti dell'economia che restano esclusi, riguarda tutti, il privato e il pubblico, la logistica e i centri commerciali, il lavoro povero e quello ricco. Ecco l'elemento di novità di fondo, un cambiamento che investe tutti. Risulta evidente il ruolo essenziale della formazione. Non basta più studiare fino a 18 anni e poi laurearsi: il diritto alla formazione deve diventare strutturale nell'arco di tutta la vita lavorativa”. Il lavoro va rivisto anche in termini di orari, secondo Landini: “Bisogna porre un problema di riduzione del tempo di lavoro complessivo, ma serve anche definire cosa compone questo tempo: per esempio si può decidere che su quaranta ore settimanali quattro vanno dedicate alla formazione, l'addetto va pagato per formarsi”.

Un mutamento di questa natura “non si può certamente lasciare al mercato e al confronto tra le parti”, ha detto il segretario. “Non giriamoci intorno: c'è un problema di ritardo degli investimenti e questi si possono recuperare solo attraverso l'intervento pubblico. C'è necessità di una politica economica e sociale diversa. Negli ultimi dieci anni in Italia abbiamo avuto un calo del 30% di investimenti pubblici, circa 100 miliardi di euro, così un governo delle diseguaglianze non è pensabile”. Le leggi non hanno aiutato: “La legislazione non solo ha reso più precario il lavoro, ma ha anche favorito il sistema dei subappalti e delle finte cooperative”.

Landini ha ribadito l'esigenza di arrivare a una legge sulla rappresentanza. “Ci sono 800 contratti pirata, e anche dentro i contratti firmati da noi c'è il dumping: occorre ridurre il numero dei contratti. Ma c'è di più: tutti coloro che operano in uno stesso posto di lavoro devono avere le stesse tutele previste dal contratto”. Il segretario generale ha concluso parlando di un “ritorno alle origini” dell'azione sindacale: “Occupiamoci di come lavorano le persone, com'è organizzato l'impiego, capiamo come funziona. Noi dobbiamo essere i soggetti che partecipano alla fase di progettazione portando il punto di vista del lavoro. Assumersi le responsabilità significa anche avere l'ambizione di conoscere a fondo i lavoratori e dire alle imprese cosa è meglio per tutti”.