Le differenze di genere continuano a pesare su occupazione e retribuzioni. Lo conferma il Rapporto 2018 AlmaLaurea sulla condizione occupazionale dei laureati, che registra ancora una volta significative e persistenti disuguaglianze. Tra i laureati magistrali biennali, a cinque anni dal conseguimento del titolo, le differenze di genere si confermano significative e pari a 6,4 punti percentuali in termini occupazionali: il tasso di occupazione è pari all’84,6% per le donne e al 91,0% per gli uomini. A un lustro dal conseguimento del titolo, i contratti alle dipendenze a tempo indeterminato sono una prerogativa tutta maschile: riguardano il 60,3% degli uomini e il 50,1% delle donne. “È naturale che queste differenze siano legate anche alle diverse scelte professionali maturate da uomini e donne”, spiegano i ricercatori AlmaLaurea: “Queste ultime, infatti, tendono più frequentemente ad inserirsi nel pubblico impiego e nel mondo dell’insegnamento, notoriamente in difficoltà nel garantire, almeno nel breve periodo, una rapida stabilizzazione contrattuale”.

Le differenze di genere si confermano anche sul piano delle retribuzioni. Tra i laureati magistrali biennali, che hanno iniziato l’attuale attività dopo la laurea e lavorano a tempo pieno, emerge che il differenziale, a cinque anni, è pari al 18,3% a favore dei maschi: 1.675 euro netti mensili rispetto ai 1.416 euro delle donne. “Se è vero che questo risultato è influenzato da diversi fattori, è altrettanto vero che, a parità di ogni altra condizione, gli uomini guadagnano in media 155 euro netti mensili più delle donne. A ciò si aggiunge che il titolo di laurea è efficace per lavorare più per gli uomini che per le donne: rispettivamente il 55,3% rispetto al 52,2% degli occupati ritiene il titolo ‘efficace o molto efficace’ per lo svolgimento del proprio lavoro”.

A ulteriore conferma che ancora oggi le donne fanno più fatica degli uomini a realizzarsi professionalmente, AlmaLaurea ricorda che a cinque anni dal titolo magistrale svolge un lavoro a elevata specializzazione (compresi i legislatori e l’alta dirigenza) il 49,4% delle donne, contro il 59,2% degli uomini.

Dai dati emerge che, in generale, le donne risultano leggermente meno soddisfatte del proprio lavoro; in particolare, a cinque anni dalla laurea sono meno gratificate dalle opportunità di contatti con l’estero, dalle prospettive di guadagno e di carriera e dalla stabilità e sicurezza del lavoro. Fanno eccezione l’utilità sociale del lavoro e il tempo libero a disposizione, dove si rileva una maggiore soddisfazione nella componente femminile.

La lettura dei dati conferma che le donne sono più penalizzate sul lavoro se hanno figli. Il forte divario in termini occupazionali, contrattuali e retributivi tra uomini e donne, infatti, aumenta in presenza di figli. Il differenziale occupazionale a cinque anni dalla laurea sale addirittura a 24,5 punti percentuali tra quanti hanno figli: isolando quanti non lavoravano alla laurea, il tasso di occupazione risulta pari al 90,2% per gli uomini, rispetto al 65,7% per le donne. Anche nel confronto tra laureate, chi ha figli risulta penalizzata: a cinque anni dal titolo il tasso di occupazione delle laureate senza prole è pari all’84,1%, con un differenziale di 18,4 punti percentuali rispetto alle donne con figli.

Ma anche in termini contrattuali si osservano differenze rilevanti: tra quanti hanno figli e non lavoravano alla laurea, i contratti alle dipendenze a tempo indeterminato riguardano il 58,3% degli uomini e il 43,5% delle donne. Infine, tra i laureati con figli il differenziale retributivo sale al 28,5%, sempre a favore degli uomini, che percepiscono 1.734 euro rispetto ai 1.350 delle donne (in tal caso si considerano quanti hanno iniziato l’attuale lavoro dopo la laurea e lavorano a tempo pieno).

I vantaggi della componente maschile sono confermati a parità di gruppo disciplinare, a tal punto che le donne pagano un pegno maggiore, soprattutto in termini retributivi, anche quando intraprendono i percorsi formativi che hanno un maggior riscontro sul mercato del lavoro, come i percorsi di ingegneria, professioni sanitarie ed economico-statistico. Il divario permane anche nei percorsi dove storicamente la presenza femminile è più marcata, come ad esempio nell’insegnamento, dove le donne hanno minori chance occupazionali rispetto agli uomini (il tasso di occupazione è pari all’81,5% rispetto al 90,8% dei maschi) e possono contare su una minore diffusione di contratti a tempo indeterminato (59,4% rispetto al 65,6% degli uomini). Anche in termini retributivi le differenze sono marcate: percepiscono in media 1.231 euro mensili netti rispetto ai 1.388 euro percepiti dagli uomini.

Il Rapporto 2018 sul profilo dei laureati mostra che tra i laureati del 2017, dove è nettamente più elevata la presenza della componente femminile (59,2%), la quota delle donne che si laureano in corso è pari al 53,1% (è 48,2% per gli uomini) con un voto medio di laurea uguale a 103,5 su 110 (è 101,6 per gli uomini).

AlmaLaurea ricorda che le donne si iscrivono all’università spinte da forti motivazioni culturali (33,3% rispetto al 28,7% degli uomini) e hanno svolto un buon numero di tirocini e stage riconosciuti dal proprio corso di laurea, il 61,4% rispetto al 52,6% dei maschi.

Le laureate inoltre provengono in misura maggiore da contesti familiari meno favoriti sia dal punto di vista culturale che socio-economico. Così il 27,0% delle donne ha almeno un genitore laureato rispetto al 33,2% dei maschi. Un differenziale che permane considerando anche la classe sociale: il 20,9% delle donne proviene da una famiglia di estrazione economica elevata rispetto al 24,7% dei maschi. Non stupisce quindi che tra le donne, provenienti da contesti familiari più svantaggiati, sia maggiore la percentuale di chi ha usufruito di borse di studio: il 24,5% rispetto al 20,3% dei maschi.