Contrattazione e rappresentanze inclusive. Diritti e tutele uguali per tutti i lavoratori, a prescindere dalle tipologie dei rapporti di lavoro e nonostante la disintegrazione del mercato del lavoro che con la crisi ha avuto un’accelerazione prevedibile. Sono questi alcuni dei temi che Andrea Borghesi – dal 12 dicembre nuovo segretario generale di Nidil, il sindacato degli atipici della Cgil – ha affrontato nel suo forum con la redazione di Rassegna Sindacale. Obiettivi su cui è facile convenire, anche se indicare strade risolutive per raggiungerlo non è semplice. “Per arrivare ad avere diritti e tutele uguali, bisogna – lo dico in maniera un po’ tranchant – provare a ricostruire una modalità di azione delle organizzazioni sindacali nei luoghi di lavoro. Credo che negli ultimi anni abbiamo subito un po’ troppo l’offensiva volta a frammentare i cicli produttivi”, esordisce Borghesi.

E cosa occorre fare, secondo te?

Borghesi Fare di tutto per contrattare le modalità con le quali l’impresa organizza il proprio ciclo. Insieme occorre, come sindacato, rappresentare tutte le forme di lavoro che si realizzano all’interno di una filiera o di uno stesso sito produttivo. Che non sono più omogenee come un tempo. È ormai diventato normale che in uno stesso luogo convivano lavoratori che svolgono lo stesso identico lavoro, ma sono inquadrati con tipologie contrattuali diverse. Sono processi che si vanno affermando da tanti anni, ma che con la crisi sono diventati normali. Ecco, su questo, secondo me come sindacato facciamo ancora fatica a praticare un’azione davvero inclusiva. Insomma: è necessario un passo avanti. Il che vuol dire – oltre a rafforzare la contrattazione inclusiva – anche integrare le forme di rappresentanza sindacale e per ottenere questo bisogna operare scelte di tipo organizzativo conseguenti.

Una domanda provocatoria: se tutte le categorie devono porsi come obiettivo quello della contrattazione inclusiva, un sindacato degli atipici come Nidil avrà ancora in futuro una sua funzione?

Borghesi Non credo che le due cose siano in contraddizione. Non ho mai letto l’inclusività come assorbimento di un soggetto da parte di un altro soggetto, ma come associazione, “mescolamento”. E se in linea teorica, in futuro, potrebbe anche non essere più necessario un sindacato che associa in maniera trasversale lavoratori con diverse tipologie contrattuali, questo eventuale momento lo vedo ancora molto, ma molto lontano. Vorrei ribadire che Nidil non vuole sostituirsi alle categorie, però le categorie dovrebbe fare uno sforzo per “mescolarsi” davvero. D’altro canto noi con molte categorie lavoriamo proficuamente e questo credo sia dovuto a un fatto ben preciso.

Quale?

Borghesi In tanti hanno abbandonato l’idea che la precarietà o la flessibilità siano soltanto un pezzetto del proprio ciclo produttivo o, addirittura, un elemento transitorio. Purtroppo non è più così: ormai una grande quantità di lavoratori vive quasi stabilmente in condizione di flessibilità e precarietà. Le imprese non programmano più la loro attività sul lungo periodo, ma spesso per l’arco di un mese e quindi in molti casi hanno oggettivamente bisogno di una quota di flessibilità. È un contesto di cui bisogna tener conto ed è un limite del Decreto dignità, che si propone un obiettivo condivisibile – mettere un freno alla flessibilità più estrema –, ma lo fa senza tener conto di un sistema produttivo che si muove in tutt’altra direzione, aspetto di cui bisogna tener conto se si vuole raggiungere il risultato che ci si prefigge. Il punto centrale, secondo me, è che tutti i lavoratori – a prescindere da tipologie e modalità contrattuali – hanno diritto ad avere gli stessi diritti e le stesse tutele come gli altri lavoratori: malattia, maternità, sicurezza e così via. Poi c’è il tema della rappresentanza collettiva, a cui accennavo prima: come costruirla rispetto a soggetti atomizzati e polverizzati. È indubbio – e su questo siamo molto migliorati – che oggi riusciamo a fornire servizi individuali di tutela legale, fiscale e così via. Ma sulla rappresentanza collettiva bisogna sperimentare molto di più rispetto a quanto fatto finora. A Nidil, ad esempio, abbiamo aperto un canale con i lavoratori dello sport: lavoratori che, di fatto, non esistono, in senso stretto non sono neanche lavoratori autonomi. Non ci sono modelli precostituiti di ragionamento; dunque, certamente tutela individuale, ma anche costruzione di tutela collettiva. Si tratta, del resto, dell’orizzonte che ci siamo dati nella Carta dei diritti universali del lavoro.

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I rider sono un esempio classico di questa tipologia di lavoratori in qualche modo nuovi…

Borghesi Assolutamente sì, e io credo che dovremmo andarceli un po’ di più a cercare, i rider. Sappiamo dove sono, li vediamo nelle piazze, nelle metropolitane, nei bar o nei locali. Non dovrebbe essere difficile fargli arrivare almeno un volantino, in cui gli si dice che siamo a loro disposizione, che vogliamo ascoltarli e non solo imporre il nostro punto di vista. In alcuni territori come Napoli e Firenze stiamo lavorando in questa direzione. Stiamo intercettando i ciclofattorini; proviamo a ragionare con le istituzioni locali e ad aprire vertenze individuali, utili anche per capire se si aprono spazi per una vertenzialità collettiva. Le cose sono in continua evoluzione. Sui rider c’era un tavolo, sembrava un’emergenza per il governo, ma poi si è fermato tutto. Ora si parla di un intervento per decreto, ma non si capisce bene come. C’è però una novità importante, la sentenza della Corte di appello di Torino che, semplificando, dice che i rider, per quanto lavoratori autonomi, devono ricevere un trattamento da lavoratori dipendenti. Il che vuol dire una paga oraria equa e adeguata rispetto ai contratti collettivi, diritti su salute e sicurezza, malattia e anche la possibilità di disconnettersi e connettersi.

Perché “connettersi”? Il problema non è generalmente quello di potersi disconnettere, cioè di non essere sempre a disposizione della piattaforma che organizza il lavoro?

Borghesi Non solo. È importante anche garantire ai lavoratori che qualcuno non ti disconnetta arbitrariamente dalla piattaforma e dunque ti impedisca di lavorare e di essere retribuito. Quindi: non solo potersi iscrivere alle slot perché disponibili, ma anche essere chiamati effettivamente.

Tra l’altro, se è vero che la digitalizzazione cambia molte carte sul tavolo, è anche vero che le modalità di ipersfruttamento sono spesso quelle classiche che il sindacato è abituato ad affrontare…

Borghesi È così. E il caso Amazon è un altro di quelli molto evidenti. Recentemente abbiamo incontrato alcuni lavoratori del nuovo grande centro di Passo Corese. I loro racconti sono significativi: parlano di sistemi produttivi che sembrano quelli di trent’anni fa, e il cui fine è solo quello di sfruttare i lavoratori al massimo delle possibilità. E infatti, dopo pochi anni, di solito l’azienda fa un’offerta economica al lavoratore perché se ne vada e al suo posto ne arriva un altro, fresco da spremere. Anche il reclutamento non ha nulla di sofisticato e risponde alle solite logiche, spesso legate alle simpatie dei leader o dei piccoli manager all’interno dell’azienda.

Se il turn-over è così elevato, saranno sempre a caccia di manodopera…

Borghesi Sì. A Piacenza, ad esempio, prima sono andati a cercare tra i piacentini, poi a Reggio Emilia, quindi in provincia di Milano e ora persino al Sud. A Passo Corese, ci dicono, sta succedendo la stessa cosa: allargano sempre di più il cerchio alla ricerca di persone in condizioni tali da essere disposte a farsi sfruttare per tre mesi, dopodiché solo una piccola parte rimane in azienda.

Quindi la professionalità conta poco.

Borghesi Pochissimo: devi essere una specie di macchina; spesso i lavoratori ci dicono proprio questo: di sentirsi come dei robot.

Questi ritmi hanno ovviamente riflessi sulla salute e sicurezza.

Borghesi Certo, ma spesso sono gli stessi lavoratori a non rendersene conto. Uno ci ha detto che sulla sicurezza Amazon non poteva essere accusata di nulla, senza capire che sono proprio i ritmi forsennati e la competizione che scatta tra i lavoratori a chi fa più pacchi a generare situazioni pericolose e dannose per la salute. È una questione di percezione.

Parliamo del Decreto dignità: in molti si chiedono perché i sindacati siano contro un provvedimento simile. Anche nelle pagine social di Rassegna sono tanti i commenti che vanno in questa direzione…

Borghesi Lo abbiamo detto da subito. L’idea di ripristinare le causali nei contratti a tempo determinato e in somministrazione è giusta. Il problema è che per combattere la precarietà si è deciso di intervenire esclusivamente su quelle che sono oggettivamente le forme di flessibilità più tutelate, mentre si amplia l’utilizzo dei voucher e si estende il regime agevolato della flat tax alle partite Iva fino a 65.000 euro. Quest’ultimo provvedimento è molto pericoloso: può rappresentare un’opportunità ghiotta per il datore di lavoro – che paga meno tasse – e per il lavoratore che può avere un salario più alto; il rischio delle false partite Iva in questo modo aumenta in maniera considerevole. Il mercato del lavoro è sensibilissimo a qualsiasi intervento e “reagisce” trovando altre strade. E, infatti, è esploso il ricorso del lavoro intermittente, che non è stato toccato dalle nuove norme. Insomma: il mercato del lavoro non è a compartimenti stagni, ma è fatto di vasi comunicanti. Trovo poi incredibile che ai lavoratori somministrati non sia stato neanche riconosciuto il diritto di precedenza in caso di assunzione, cosa che invece esiste per i contratti a tempo determinato.

Però una quota di lavoratori con il Decreto dignità è stata stabilizzata.

Borghesi Sì, ma generalmente solo nelle grandi imprese industriali e per i lavoratori più professionalizzati, cioè laddove con la precarietà si era davvero esagerato. C’è tutta un’altra grande quota di lavoratori con bassa professionalizzazione e nelle imprese medie che sono stati semplicemente sostituiti da altri precari, con il rischio di un turn-over infinito. In sostanza, manca una visione, un orizzonte complessivo di riforma del mercato del lavoro che detti alle imprese precise regole da rispettare. Si sarebbe potuto stabilire, ad esempio, che dopo 24 mesi un’azienda aveva l’obbligo di assumere un lavoratore in via definitiva. Invece, così, avendo semplicemente fissato a 12 mesi la soglia massima per un contratto a tempo determinato senza una causale specifica, l’effetto è chiaro: nella grandissima maggioranza dei casi i lavoratori verranno sostituiti da altri precari per altri 12 mesi, e così via.

Magari se il governo consultasse i sindacati eviterebbe certi errori, sempre ammesso che siano errori…

Borghesi Sì, l’interlocuzione non la amano, soprattutto quella di tipo politico. L’unica rappresentanza ammissibile è la loro, in un rapporto diretto con il popolo che li ha votati. Credo che, da questo punto di vista, la collisione con noi sia inevitabile.

In che senso?

Borghesi Se si guarda alle misure bandiera del governo, quota 100 e reddito di cittadinanza, mi pare chiaro che l’obiettivo è quello di costruire enclave più o meno grandi di beneficiari rispetto ai quali presentarsi come interlocutori unici. Solo una parte dei lavoratori che potrebbero rientrare in quota 100 (cioè chi ha 62 anni di età e 38 di contributi) o di quelli che per condizioni potrebbero aspirare a un reddito di cittadinanza, potranno godere di questi benefici. Questo entra naturalmente in collisione con il nostro modo di vedere il mondo del lavoro che punta a includere; a unire e non a dividere. Si tratta, in definitiva, di un approccio neocorporativo.

Oltre all’azione classica sindacale, cioè contrattare le stabilizzazioni con le aziende, è possibile prevedere azioni legali vertenziali? Cioè non si può contestare il fatto che un datore di lavoro impieghi in successione ogni 12 mesi un lavoratore diverso – assunto senza causale – su una medesima mansione eludendo in questo modo la sostanza della norma in maniera fraudolenta?

Borghesi È una strada che si può percorrere, insieme naturalmente a quella contrattuale che resta la via maestra per un sindacato. Può comunque rappresentare anche un deterrente per le imprese. Va detto che già alcuni passi avanti sono stati fatti: sono stati realizzati accordi per la stabilizzazione dei lavoratori e per la creazione di bacini di prelazione da cui attingere per le assunzioni.

A proposito di contrattazione, avete da poco rinnovato il contratto della somministrazione. Quali sono i risultati più importanti che avete raggiunto?

Borghesi Da un lato ci sono avanzamenti importanti in vista della costruzione delle condizioni per la continuità occupazionale dei lavoratori; inoltre ci sono interventi importanti a favore dei lavoratori disoccupati: il sostegno al reddito passa da 750 a 1.000 euro. Sono state migliorate le condizioni dei somministrati a tempo indeterminato che stanno aumentando in maniera rilevante: sono cresciuti dai circa 10.000 di cinque anni fa ai 50.000 di oggi, e il trend continua. Avanzamenti importanti ci sono stati anche sul tema del pari trattamento con gli altri lavoratori e sui diritti sindacali. Avevamo un problema annoso con il diritto di assemblea; non perché non fosse riconosciuto, ma perché il contratto prevedeva la possibilità di organizzare l’assemblea presso l’utilizzatore o la sede dell’agenzia. Quando si chiedeva l’assemblea, generalmente la risposta dell’azienda era che non c’erano locali disponibili e dunque si doveva andare nella sede dell’agenzia. Capite bene che in questo modo spesso l’azienda non si riusciva a organizzarla. Con il nuovo contratto si cambia: abbiamo “incardinato” il diritto all’assemblea nel luogo di lavoro. Sempre sul tema sindacale, stiamo anche pensando a un percorso che arriverà a definire l’elezione delle Rsu: oggi il nostro sistema è basato sulle Rsa.

In un concetto generale di continuità occupazionale e di spendibilità sul mercato del lavoro un ruolo importante lo occupa la formazione. C’è qualche novità nel contratto su questa materia?

Borghesi Sì, abbiamo realizzato un’operazione importante sul diritto mirato alla formazione. Chi ha avuto un rapporto di lavoro di almeno 110 giorni e poi, successivamente, 45 giorni di disoccupazione, ha il diritto di chiedere all’agenzia un’attività formativa che lo aiuti nella ricollocazione. Certamente avremmo voluto avere una platea più ampia, ma intanto iniziamo a sperimentare: si tratta di un passo avanti molto importante.

(Hanno partecipato al forum Emanuele Di Nicola, Roberto Greco, Guido Iocca, Stefano Iucci, Davide Orecchio, Carlo Ruggiero, Marco Togna)