Le attese per una manovra del cambiamento che tale non si è rivelata, il lavoro sempre più povero e frammentato, e, ancora, l’ormai annosa questione Fca e la necessità di affrontare, su un piano globale, il potere delle grandi multinazionali che si spostano nel mondo a seconda delle convenienze: sono questi alcuni dei temi che la segretaria generale della Fiom, Francesca Re David, ha affrontato nel forum con la redazione di Rassegna Sindacale. “Effettivamente – ha detto – per questa legge di bilancio c’era molta attesa da parte dei tanti che hanno votato Lega e Movimento 5 Stelle. E non poteva essere altrimenti: in questi ultimi vent’anni non c’è stata nessuna risposta all’impoverimento delle persone, anzi questo impoverimento è continuato a peggiorare, non solo in Italia ma in tutta Europa. E non è un caso che anche nei nostri congressi tra i temi più presenti c’è stato quello della disuguaglianza. Persone sempre più povere, abbandonate a se stesse e lasciate prive di rappresentanza non possono certo essere contente”.

Attese che però questo governo sembra aver deluso…

Re David Il governo puntava a interventi che partissero dalle bandiere di Lega e 5 Stelle: quota 100 e reddito di cittadinanza. Ma ci si accorgerà presto che questi provvedimenti rappresentano una risposta davvero minima alle attese suscitate.

Cominciamo da quota 100…

Re David Una piccolissima forma di flessibilità aggiuntiva immessa nel sistema pensionistico non va affatto bene. È naturale che chi andrà in pensione sarà contento, ma l’incidenza del provvedimento è molto limitata e non intacca affatto l’impianto della Fornero. Quota 100 riguarda una platea davvero ridotta e penalizza le donne, i giovani, il Sud e tutti quelli che sono stati colpiti dalle crisi industriali.

Stessa cosa sul reddito di cittadinanza?

Re David Sì. Sono anni che la Fiom è favorevole al reddito di cittadinanza. L’articolo 1 della Costituzione recita che l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro: la disoccupazione involontaria, perciò, non è un castigo di Dio e, se il lavoro non si trova perché non c’è, bisogna che le persone siano messe in condizione di avere un reddito e sopravvivere. D’altro canto interventi di questo tipo esistono in tutta l’Europa tranne che in Grecia. Solo che il modo in cui il reddito di cittadinanza è stato realizzato è propagandistico e poco efficace: mischia la povertà con le misure che dovrebbero favorire l’ingresso al lavoro, senza porsi il problema di come si crea nuovo lavoro. Inoltre, si fonda su servizi molto carenti e che non possono certo essere rimessi in piedi in pochi mesi. Senza considerare la precarietà di tanti lavoratori che operano nei centri per l’impiego.

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E rispetto alle altre misure contenute nella manovra di bilancio, che giudizio date?

Re David Il rischio reale, ancor più in questa fase di recessione, è che aumenti enormemente il debito: un fatto, questo, disastroso per il futuro. Il mio giudizio è netto: si tratta di una manovra contro i giovani, perché non produce nulla di aggiuntivo in termini di investimenti pubblici e privati, e contiene delle clausole di garanzia che ricadranno soprattutto sulle nuove generazioni. Insomma, questa legge di bilancio presenta forti elementi di continuità con il passato e non presenta reali elementi di cambiamento: ci sono tagli all’istruzione, alla formazione e alla sanità e, in più, è stata fatta in solitudine, senza neanche confrontarsi con i sindacati. Proprio per cambiare le scelte che sono alla base di questa manovra il 9 febbraio siamo scesi in piazza con Cisl e Uil: la prima tappa di un percorso di mobilitazione che vuole rimettere al centro il protagonismo dei lavoratori.

Passiamo a un tema specifico della vostra categoria, il settore dell’automotive. L’ultimo incontro sul contratto che si è svolto a Torino con Fca, Cnhi e Ferrari non è andato bene e nel frattempo gli ammortizzatori sociali continuano a essere utilizzati in maniera massiccia.

Re David Ci sono vari ordini di problemi. Il primo riguarda l’anomalia assoluta in cui ci troviamo: dal 2010 non è cambiato nulla. Come tutti sanno, Fca è uscita da Federmeccanica e Confindustria e ha un contratto specifico che tiene insieme primo e secondo livello da cui la Fiom è esclusa. Naturalmente, abbiamo presentato una nostra piattaforma, forti del fatto che Fca sa bene che la Fiom ha comunque una sua forte rappresentanza all’interno degli stabilimenti. La vicenda è nota: siamo dovuti ripartire da zero col tesseramento perché le deleghe non ci venivano riconosciute e siamo potuti rientrare e avere un minimo di agibilità solo grazie all’intervento della Corte Costituzionale. È una situazione molto frustrante: l’azienda incontra prima i firmatari del contratto e poi, separatamente, noi. Anche se, ripeto, sono consapevoli di aver bisogno di noi, anche perché la Fiom, per senso di responsabilità, ai tavoli di crisi è sempre stata presente. Insomma: si tratta di una situazione assolutamente anomala dal punto di vista delle relazioni sindacali. Ricorderò solo che questo modello, per una serie di meccanismi complessi, impedisce di fatto il diritto di sciopero.

E poi c’è una questione salariale che ormai è diventata pesante.

Re David Beh, l’ultima volta che in Fca sono stati toccati i minimi contrattuali è stato nel 2012. Il contratto ha un unico livello che ingloba i due livelli salariali – il primo e il secondo – e spalma sulla paga base alcuni elementi della retribuzione di secondo livello. Questo fa sì che i lavoratori Fca hanno in busta paga circa 80 euro in meno sui minimi contrattuali rispetto agli altri lavoratori metalmeccanici. Il problema dell’adeguamento dei minimi è stato posto sia da noi, sia dai firmatari dell’attuale contratto e credo che Fca non possa sottrarsi. La trattativa però continua su due tavoli. Nella nostra piattaforma abbiamo posto anche la questione delle condizioni di lavoro che sono fortemente peggiorate. La verità è che a questi ritmi, con il taglio delle pause o la mensa a fine turno, i lavoratori possono reggere solo “grazie” alla cassa integrazione, ma se lavorassero a turno pieno non ce la farebbero. D’altro canto, non è un caso che in Fca siano tantissimi i lavoratori a ridotte capacità lavorative. Se l’innovazione va tutta a vantaggio dell’aumento di produzione e non produce miglioramenti nelle condizioni di lavoro, il risultato è chiaro: spremi il lavoratore finché ce la fa e poi lo metti da parte.

Sei ottimista o pessimista sulla trattativa per il rinnovo?

Re David È chiaro che noi non firmeremo un integrativo che sia come quello che abbiamo rigettato 8 anni fa. Bisogna fare passi avanti. Credo che la trattativa che stiamo conducendo avrà comunque degli effetti positivi anche sul contratto che noi eventualmente non dovessimo firmare.

Il modello contrattuale Fca prometteva, tra l’altro, sicurezza occupazionale in cambio della cessione di qualche diritto. È stato così?

Re David Assolutamente no. Gli stabilimenti continuano a essere pieni di lavoratori in cassa integrazione. Vorrei ricordare che dal 2010 a oggi la Fiat non ha rispettato alcun piano industriale e nessuno gliene ha mai chiesto conto. Altra grave anomalia italiana: non esiste alcun paese industrializzato e con una forte industria dell’auto in cui il governo non sia fortemente presente. In Germania c’è un tavolo permanente a cui partecipano governo, imprese e sindacati. In America, quando Fca mise a segno l’operazione Chrysler, Obama se ne interessò personalmente e lo stesso fa ora Trump. Sono anni che la Fiom chiede un tavolo al governo e che denuncia un problema enorme di arretratezza dal punto di vista delle tecnologie. Tutti ricorderanno come Marchionne affermava esplicitamente come non si dovesse investire sull’auto elettrica.

E ora di questa arretratezza si pagano le conseguenze.

Re David Regole e vincoli europei impongono al settore di dover cambiare. Di fronte a un crollo generale del mercato delle auto, l’arretramento di Fca in Italia è superiore perché a parità di condizioni non offre la stessa tecnologia, le stesse innovazioni. La proprietà sembra oggi molto più interessata alla parte finanziaria ed è necessario capire che cosa succederà a quella industriale.

Oggi si parla sempre di più di auto ibride ed elettriche: chi nel giro di qualche anno non sarà in grado di offrire sul mercato prodotti eco-compatibili probabilmente è destinato a sparire o a essere fortemente ridimensionato. C’è qualcosa che va in questa direzione nel piano industriale di Fca?

Re David C’è solo la 500 elettrica, che verrà realizzata a Torino, e un restyling di modelli sull’ibrido. Ma sono investimenti molto relativi.

Come giustifica l’azienda questo ritardo?

Re David Insistono che non si tratta di un ritardo o di un errore. Difendono la scelta di continuare su un tipo di mercato fino alla sua saturazione, sostengono che l’elettrico è ancora riservato a un’élite e che quando servirà saranno in grado di investire in quella direzione. Per me non è così: non c’è dubbio che c’è un ritardo tecnologico enorme. Tra l’altro il passaggio all’elettrico comporta tante altre cose: creare infrastrutture sul territorio, affrontare il fatto che il motore elettrico ha bisogno di minore occupazione e che quindi occorre decidere come riorganizzarsi, tenere conto che Fca ha due stabilimenti che producono motori diesel che tra un po’ termineranno il loro ciclo. Insomma, c’è un ritardo tecnologico che è anche un ritardo di visione.

Sembra che in questi giorni i vertici Fca se la prendano con l’ecobonus lanciato dal governo che scoraggerebbe l’acquisto di auto con motori tradizionali.

Re David Secondo me l’ecobonus è stato fatto male, però dire che il crollo delle auto di gennaio dipende da un ecobonus che ancora di fatto non c’è non ha senso. Ripeto: senza innovazione di prodotto oggi non hai futuro e da questo punto di vista vediamo solo incertezza. A Mirafiori ci sono 13.000 persone che alternativamente sono in cassa integrazione da una vita e che quest’anno finiranno gli ammortizzatori sociali; lo stesso vale per Pomigliano. Penso che il governo troverà un modo per prolungarli, ma se non si vincola l’azienda a un’idea di progetto industriale non se ne esce. E a essere danneggiati non saranno solo i lavoratori di Fca, perché in tutto il mondo, nonostante la crisi, l’automotive continua a essere il settore trainante dei Paesi più industrializzati, quello dove più si fa innovazione e ricerca. Persino in Italia resta il comparto che offre, anche con l’indotto, maggiore occupazione sul territorio.  

È un’altra faccia dell’assenza di politiche industriali…

Re David L’Italia è ancora il secondo Paese manifatturiero d’Europa e il settimo nel mondo. Ebbene, dalla crisi, cioè dal 2009, a oggi gli investimenti pubblici a sostegno dell’industria sono diminuiti del 35 per cento: in nessun Paese è successo questo. Non chiediamo nazionalizzazioni, ma che venga realizzata una vera politica industriale, mentre quello che sta accadendo è che stiamo perdendo asset strategici fondamentali. Basta qualche semplice esempio: Olivetti ha prodotto il primo computer del mondo e oggi praticamente non esiste più un’informatica italiana. Stesso discorso per la siderurgia, che nasce con le Partecipazioni statali e oggi è scomparsa, o per gli elettrodomestici, settore in cui continuano a essere presenti molte aziende che però ormai si chiamano Electrolux e Whirlpool.

Il governo ha annunciato il salario minimo entro l’anno. Credi possa essere una risposta all’impoverimento di tanto lavoro, soprattutto quello non coperto dai contratti nazionali?

Re David Tema complesso. In generale credo che il salario minimo per come se ne parla in questi annunci vada verso un’idea di disintermediazione. Se i lavoratori non hanno il diritto di esprimere collettivamente la propria forza – perché il rapporto è individuale, tra lavoratore e impresa –, sono nelle mani dell’impresa. L’idea del salario minimo va in questa direzione: l’impresa ti dà lavoro, devi ringraziare perché te lo dà, ed è lei a decidere le condizioni di lavoro. Il salario invece lo decide il governo e l’impresa magari interviene aggiungendo qualcosa, ma senza contrattazione, con i superminimi individuali, che stanno aumentando anche tra gli operai. Quindi c’è bisogno di un salario minimo, ma pensiamo che esso debba essere fondato sulla contrattazione. E poi bisogna capire bene cosa comprende questo salario. Se fisso una cifra X, devo vedere se ci sono i contributi, se sono comprese in quel lavoro ferie, malattie, maternità e così via. In sintesi, il salario minimo deve essere stabilito dai contratti e non può essere scambiato con altri diritti contrattuali.

I temi che abbiamo toccato – la transizione ecologica delle produzioni e lo strapotere delle multinazionali – evocano uno scenario per governare il quale non basta più agire a livello esclusivamente nazionale. Proprio per questo l’azione del sindacato europeo e addirittura mondiale dovrebbe essere più incisiva, non trovi?

Re David Sì, ce ne sarebbe assolutamente bisogno. L’impoverimento di lavoratrici e lavoratori, con lo spostamento della ricchezza verso una parte sempre più esigua della popolazione, è stato anche determinato dal fatto che a livello globale il movimento dei lavoratori non è stato all’altezza della sfida lanciata dalle imprese. Mentre le aziende si muovevano e globalizzavano, la nostra risposta è stata l’opposto: ciascuno – penso soprattutto al tema delle localizzazioni – si è messo a difendere il proprio pezzo. All’inizio degli anni 2000 seguivo Electrolux. Quando l’azienda diceva che avrebbe chiuso lo stabilimento che “correva” di meno, non si riusciva a fare una battaglia comune per dire: “No, non si chiude alcuno stabilimento”. Ciascuno provava a difendersi come poteva. Il problema è che il sindacato europeo è una confederazione di organizzazioni nazionali, non è un vero sindacato europeo. Bisogna cambiare, certo non è facile, perché le varie tradizioni sono molto diverse: il sindacato confederale italiano, in generale, è sempre più autonomo rispetto alla politica; in altri Paesi non è così, spesso le organizzazioni derivano direttamente da forze politiche, o accade anche il contrario, e cioè sono i partiti a derivare dai sindacati.

Insomma, obiettivo difficile…

Re David Ma non impossibile: senza annullare le differenze sul piano nazionale si potrebbe benissimo rafforzare una rappresentanza sindacale europea o anche mondiale. La battaglia che ha fatto Susanna Camusso rispetto al sindacato mondiale si iscrive in questa logica e ha questi obiettivi. A fine aprile ci sarà una grande manifestazione europea; ecco, se si riuscisse a riempirla di contenuti, anche rispetto alle prossime elezioni, sarebbe già un bel segnale.

Altro tema di rilievo, gli infortuni, anche mortali, sul lavoro hanno ricominciato a crescere…

Re David Sì, tantissimi incidenti, soprattutto al Nord, cioè proprio dove c’è stata una certa ripresa. Da questo punto di vista, il Veneto è stato martoriato.

A conferma che il calo in termini assoluti registrato negli ultimi anni era dovuto semplicemente al fatto che con la crisi si lavorava meno…

Re David Non solo. Questa recrudescenza ci mostra anche come stia avvenendo la ripresa: con il peggioramento delle condizioni di lavoro e la sua precarizzazione. Gli infortuni avvengono spesso tra i lavoratori molto giovani e anziani, precari e in appalto; o, magari, tra quelli che sono alla quinta giornata di straordinario. Da questo punto di vista, l’idea che ha il governo di liberalizzare gli appalti è una follia: è chiaro che devi alleggerire gli aspetti negativi della burocrazia, ma non nel senso di togliere vincoli e controlli. Abbiamo un problema enorme con gli appalti, che spesso sfiorano l’illegalità. Fincantieri, per esempio, ormai è diventata praticamente una società appaltatrice. La costruzione di una nave avviene quasi tutta in appalto e subappalto. E il mancato controllo delle condizioni e dell’organizzazione del lavoro genera rischi sempre maggiori.

Uno dei temi forti posti in questi anni dalla Cgil – da ultimo al congresso di Bari – è la necessità di una riunificazione del mondo del lavoro. Il contratto dell’industria, proposta storica dei metalmeccanici, può essere una strada utile?

Re David È evidente che negli ultimi anni le cose sono cambiate, nel senso che la filiera è diversa rispetto al passato; al suo interno ci sono anche pezzi del terziario, la logistica, i trasporti. Io penso che il fine ultimo della nostra strategia debba essere appunto quello di trovare un modo per riunificare il lavoro, perché il potere di coalizione dei lavoratori è la nostra vera forza, mentre le imprese puntano, al contrario, a spezzettare. Quindi occorre capire come questo si può fare, pure in presenza di contratti diversi, perché i contratti non li scegliamo noi, c’è anche la controparte. Storicamente i metalmeccanici hanno proposto il contratto dell’industria come elemento di unificazione; può anche darsi che oggi non sia quello lo strumento più utile e che magari sia più efficace ragionare in termini di filiera. L’importante è che il tema della riaggregazione sia affrontato, perché oggi abbiamo situazioni insostenibili: la presenza nella stessa filiera di Rsu che non si parlano tra di loro o aziende che giocano su 20 tavoli contrattuali diversi.

Parliamo di migranti. In Italia ci sono tanti episodi e prese di posizione razziste inquietanti, alimentate certamente dalle prese di posizione del nostro ministro degli Interni. Recentemente hai parlato della necessità, in alcuni casi, di una vera e propria disobbedienza civile. L’esempio che viene subito in mente è quello del sindaco di Riace, Mimmo Lucano…

Re David Sì, e anche quello del sindaco di Palermo e tanti altri sindaci che la Cgil ha appoggiato nel loro operato. Per me il ragionamento è chiaro. Ci sono diritti umani indisponibili e se una legge li mette in discussione è giusto disobbedire. Il sindacato per me deve avere un ruolo in tutto quello che si oppone a questa politica razzista. In questi anni di impoverimento complessivo la questione dei migranti è stata chiaramente utilizzata come arma di distrazione di massa. Il tema migranti non riguarda solo un’idea di solidarietà: perché considerare di nessun valore la vita delle persone vuol dire reputare di nessun valore anche il lavoro; non si tratta di due aspetti distinti. Non bisogna dimenticare che la legge Bossi-Fini è in un certo senso una legge sul lavoro: dice, infatti, che chi perde il lavoro perde anche il diritto di stare nel nostro Paese. Ancora: nei subappalti di Fincantieri tantissimi lavoratori sono stranieri che vivono in condizioni terribili e, se non ci occupiamo dei diritti di quei lavoratori, finiamo per peggiorare le condizioni di tutti gli altri. Però non possiamo stare ad aspettarli, bisogna andare a cercarli, questi lavoratori, e per farlo secondo me è utile fare sindacato di strada, anche imparando dall’esperienza della Flai.

Senza contare che in tante fabbriche metalmeccaniche del Nord molti lavoratori sono migranti…

Re David Sì, e alcuni ormai sono italiani. Sono i fratelli maggiori di quelli che lavorano nell’edilizia o nell’agricoltura al Sud e che vengono da un lungo percorso iniziato con l’ottenimento di un permesso di soggiorno. Ed è interessante osservare come nelle fabbriche del Nord-Est gli italiani spesso votino i migranti come propri rappresentanti sindacali, perché lo stare insieme nella fabbrica crea unità nella condizione. Tra l’altro, per molti migranti la fabbrica è l’unico luogo dove essi sono eleggibili: sono cioè cittadini a tutti gli effetti. E questo, per loro, non è poco.

(Hanno partecipato al forum Roberto Greco, Stefano Iucci, Guido Iocca, Maurizio Minnucci, Davide Orecchio, Carlo Ruggiero, Marco Togna)