La sentenza della Consulta n.194 del 2018 ha dichiarato incostituzionale una parte del Jobs Act, a seguito del ricorso di una lavoratrice del commercio tutelata della Filcams. "Si tratta di una delle prime sentenze su molte istanze di incostituzionalità che abbiamo proposto in questi mesi, in particolare dopo il no al quesito referendario che avevamo proposto a sostegno della Carta dei diritti universali del lavoro". Lo afferma il segretario confederale della Cgil, Tania Scacchetti, a RadioArticolo1 nel corso della trasmissione Italia Parla.

"La sentenza è importante - prosegue - perché scardina uno dei meccanismi principali del decreto 23 del 2015, ovvero il contratto a tutele crescenti che individua un meccanismo molto rigido di risarcimento basato esclusivamente sull'anzianità di servizio. Il pronunciamento della Corte è problematico sotto altri aspetti, ma in questo è molto significativo: sposando criteri di ragionevolezza e giustizia, anche costituzionali, dichiara illegittima la predefinizione dell'indennità risarcitoria per il lavoratore".

 

 

Questo passaggio di fatto restituisce anche un ruolo al giudice del lavoro. "Il licenziamento può ricadere su persone che hanno condizioni molto diverse, con una stessa anzianità di servizio - riflette Scacchetti -, allo stesso tempo anche le motivazioni non possono avere lo stesso peso. Parliamo di licenziamenti illegittimi, ovvero non dettati da una ragionevole condizione da parte dell'azienda, né economica né giusta causa".

In tal senso al giudice viene riattribuita la facoltà di muoversi, per esempio stabilendo le mensilità, che è "uno strumento di deterrenza importante", dice la sindacalista. "Restituendo la facoltà di delineare gli estremi del risarcimento - infatti -, si cancella un problema enorme: la possibilità per l'azienda di determinare a priori il costo del licenziamento. Con questa normativa un'impresa sapeva già quanto costava licenziare un lavoratore, poteva farsi i conti e procedere con l'allontanamento dell'addetto, quindi la reintroduzione dei margini può costituire una deterrenza importante per evitare licenziamenti futuri".

Dopo la sentenza, a suo avviso, "dobbiamo continuare su questa strada fino a riottenere la reintegra che era prevista dall'articolo 18. Il testo è un punto di partenza e non certamente di arrivo: il nodo del disequilibrio di potere è stato il grande inganno di questi anni, negli ultimi 20-25 anni il diritto del lavoro ha sancito il primato dell'impresa sulle ragioni del lavoratore. Sono state disegnate leggi che hanno impoverito l'impiego e gli strumenti di tutela, raccontando che fosse questa l'unica leva possibile per aumentare la competitività. Adesso, però, si scardina un principio importante: si riammette il diritto del lavoro come tutela con un valore costituzionale rilevante. Lavoro che non significa solo sostentamento - conclude - ma qualificazione complessiva della dignità di una persona".

ARCHIVIO La Consulta boccia il Jobs Act
Un irrinunciabile principio di civilità