... E in particolare di Emma Marcegaglia, che ha parlato della possibilità di accordi separati. Dopo l’ultimo incontro del sofferto negoziato sulla riforma del modello contrattuale, il presidente di Confindustria si era lasciata andare a una dichiarazione molto impegnativa e pericolosa: potremmo andare avanti anche senza la Cgil, aveva detto. In queste ore sappiamo che è in corso una riflessione molto attenta tra gli industriali, mentre domani (sabato 4 ottobre) parlerà il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni.

Dentro la Cgil le posizioni sono chiare, dopo la discussione dell’ultimo direttivo. C’è molta attenzione tra i dirigenti nazionali, ma anche calma, nonostante il clima politico molto complicato e nonostante “un’aria che tira” che non è certo delle migliori.

Tre gli elementi centrali della vicenda, allo stato attuale dell’arte. “Il primo punto – ci spiega il segretario confederale Agostino Megale – riguarda le responsabilità di questa situazione che risale chiaramente all’irrigidimento di Confindustria, che ha presentato un documento che per noi, rispetto alla trattativa unitaria, era inaccettabile. Si ripropone un modello centralistico e conservatore delle relazioni industriali. Noi proponiamo al contrario il cambiamento, l’innovazione perché crediamo che il nuovo modello debba comprendere tutti gli attori della scena economica e non può essere limitato quindi alla sola Confindustria”. Secondo Megale, il punto di partenza deve essere l’accordo del 1993, definito da Gino Giugni una sorta di carta costituzionale delle relazioni industriali italiane. “Noi non vogliamo certo rinunciare alla carta costituzionale – spiega il segretario confederale – ma è evidente che dobbiamo aggiornarla in base ai cambiamenti che sono avvenuti in questi anni. Per questo abbiamo chiesto un tavolo unico con tutti i soggetti e ovviamente con il governo che è parte in causa anche come datore di lavoro. Questa è la sfida che abbiamo lanciato e che non ha nulla a che vedere con le posizioni conservatrici sulle quali si vorrebbe schiacciare la Cgil, costretta nell’angolo angusto del fronte del no.”

Il secondo punto chiaro riguarda il salario. “Abbiamo dimostrato con le cifre – dice ancora Megale – che la proposta di Confindustria fa perdere quote di salario ai lavoratori. E’ anche evidente, vogliamo ricordarlo, che la produttività risulta sempre più alta laddove c’è un sindacato che contratta. Per questo è assurdo e controproducente, anche per le imprese, restringere la contrattazione come vorrebbe fare la Confindustria. Con i dati abbiamo studiato l’andamento delle retribuzioni degli ultimi quattro anni e dei prossimi quattro. Ebbene, con la proposta attuale di Confindustria si andrebbe a una riduzione del potere d’acquisto dei lavoratori”. La cifra di 2500 euro di aumento che la Confindustria ha lanciato sui media, sempre secondo Megale, non è realistica perché include anche il salario nominale e si basa su una proiezione di inflazione non verificata. “Quantomeno – precisa Megale – la Confindustria dovrebbe spiegare bene da dove deriva quella cifra, anche perché si presuppone un aumento di produttività dell’uno per cento, quando attualmente siamo vicini allo zero”. L’altro elemento centrale riguarda il dato relativo all’energia che nel calcolo dell’inflazione non c’è mai. “Non è bene insomma fare trucchi contabili – dice Megale –. Il salario nominale è comprensivo dell’inflazione? E se sì, quale inflazione? Dai nostri calcoli i 2500 euro di cui parla Marcegaglia sarebbero in realtà 1700”.

Il terzo punto molto chiaro riguarda infine i rapporti unitari con Cisl e Uil. “Per noi – conclude Megale – rimane centrale l’obiettivo unitario. In questi giorni ci sono state diversità di vedute che si sono espresse. Ma è chiaro che la Confindustria prima di tutti dovrebbe pensarci molto bene prima di andare a un eventuale accordo separato. E’ anche chiaro che l’ultima parola spetta sempre ai lavoratori. Ed è anche molto chiaro il fatto che se nell’ipotesi peggiore si dovesse andare a un accordo separato, la Cgil, nella contrattazione, non potrebbe porgere l’altra guancia. E quindi io penso che non convenga a nessuno immaginare di sostituire al modello del 23 luglio una specie di far west della contrattazione. Credo che la strada migliore sia proprio quella di ripartire dal modello esistente per allargarlo e aggiornarlo”.