Ancora un nulla di fatto nella trattativa per la riforma della contrattazione. Questo il commento di Susanna Camuso, segretaria confederale della Cgil, al termine dell’incontro del 18 settembre con Confindustria: “Abbiamo detto con chiarezza che se l'impostazione resta quella del documento presentato (il 12 settembre, ndr) per la riforma del modello contrattuale non c’è terreno di discussione”. La giornata non era iniziata sotto i migliori auspici. Prima dell’incontro il Centro studi di viale dell’Astronomia aveva sancito, con i numeri forniti alla stampa, lo stato di recessione del sistema Italia ed Emma Marcegaglia aveva spiegato che la riforma della contrattazione proposta nel documento consegnato ai sindacati rappresenta una delle ricette che servono al paese per uscire da questa situazione stagnante.

Al contrario, per la Cgil partire da quel documento proprio non si può: “Il confronto – dice Camusso – deve riprendere dalla piattaforma unitaria di Cgil Cisl e Uil. Abbiamo criticato il documento di Confindustria perché incompatibile con la nostra piattaforma. È un documento che limita e deprime la contrattazione”. Al termine dell’incontro la Cgil ha consegnato agli industriali un proprio testo: “Ora – aggiunge la sindacalista  – bisogna vedere se Confindustria è disposta ad abbandonare o modificare totalmente quel documento”.

Le critiche rivolte al documento degli industriali sono assai circostanziate. A partire dalla necessità di coinvolgere nella trattativa, se davvero si vuole riformare un modello complesso e complessivo come quello del 23 luglio, non solo gli industriali, ma anche le altre categorie datoriali e, in particolare, il governo (che in sovrappiù è anche datore di lavoro). Il coinvolgimento dell’esecutivo è, tra l’altro, l’unica strada per far entrare nella trattativa anche la partita fiscale, necessaria se obiettivo della riforma deve essere quello di tutelare e valorizzare i salari reali dei lavoratori.

Più nel dettaglio, la proposta di Confindustria secondo la Cgil, attraverso una somma di norme e regole molto articolate, produce una limitazione dell’autonomia negoziale delle categorie e della funzione contrattuale delle Rsu sancita dall’accordo interconfederale sulle rappresentanze. In particolare, per la Cgil vanno cancellate tutte le norme sanzionatorie proposte, sia al primo che al secondo livello.

La stessa contrattazione di secondo livello, che pure a parole si vorrebbe in ogni modo potenziare, verrebbe subordinata totalmente al ccnl, sottraendole qualunque relazione con la condizione materiale nei luoghi di lavoro; inoltre, le nuove prerogative ipotizzate per gli enti bilaterali, finirebbero per assegnarle una sorta di funzione di servizio che risulterebbe sostitutiva della contrattazione stessa.

Lo schema disegnato nella piattaforma di Cgil, Cisl e Uil era invece un altro: un contratto nazionale regolatore che tutela realmente le retribuzioni ed estensione di una efficace contrattazione di secondo livello per qualità e quantità.

L’altro tema “caldo” è poi, come noto, quello dell’individuazione di meccanismi che vadano oltre l’inflazione programmata. Per la Cgil non ci sono dubbi: occorre prendere in considerazione l’inflazione realisticamente prevedibile, verificare la coerenza dell’indicatore con l’andamento dell’inflazione e individuare modalità di recupero certo dell’eventuale scostamento. A differenza da quanto proposto da Confindustria l’indicatore previsionale deve agire sulla base di calcolo definita dai ccnl delle singole categorie, rispettando dunque le diverse autonomie contrattuali.

Cauto, intanto il commento di Alberto Bombassei, vicepresidente di Confindustria: “Siamo andati avanti nella discussione, un nuovo incontro è previsto la prossima settimana. Valuteremo le osservazioni giunte dalla Cgil”