Recita l’art. 1 della legge 9 febbraio 1963 n. 66: “La donna può accedere a tutte le cariche, professioni ed impieghi pubblici, compresa la Magistratura, nei vari ruoli, carriere e categorie, senza limitazione di mansioni e di svolgimento della carriera, salvi i requisiti stabiliti dalla legge”.

È il punto di arrivo di percorso lungo e tortuoso, a tratti decisamente grottesco.

Opinioni e pregiudizi

“La donna - affermava l’onorevole Molè all’Assemblea Costituente - deve rimanere la regina della casa, più si allontana dalla famiglia più questa si sgretola. Con tutto il rispetto per la capacità intellettiva della donna, ho l’impressione che essa non sia indicata per la difficile arte del giudicare. Questa richiede grande equilibrio e alle volte l’equilibrio difetta per ragioni anche fisiologiche” (La donna - specificava Eutimio Ranelletti qualche anno dopo - (…) è fatua, è leggera, è superficiale, emotiva, passionale, impulsiva, testardetta anzichenò, approssimativa sempre, negata quasi sempre alla logica, dominata dal pietismo, che non è la pietà; è quindi inadatta a valutare obiettivamente, serenamente, saggiamente, nella loro giusta portata, i delitti e i delinquenti)”.

Giovanni Leone, futuro presidente della Repubblica, affermerà di non essere completamente contrario all’ingresso delle donne in magistratura ritenendo che esse avrebbero fatto un ottimo lavoro nei tribunali dei minori, grazie alla loro femminilità e sensibilità. “Negli alti gradi della magistratura - però - dove bisogna arrivare alla rarefazione del tecnicismo, è da ritenere che solo gli uomini possano mantenere quell'equilibrio di preparazione che più corrisponde, per tradizione a queste funzioni”.

“Per la loro subordinazione fisiologica” le donne sono - almeno secondo il repubblicano Giovanni Conti - più predisposte per i servizi di cancelleria “dal momento che, ci sia consentito il dirlo... in certi periodi sono assolutamente intrattabili”. 

Per il liberale Alfonso Rubilli “le femmine non sono adatte a espletare nemmeno le mansioni di giudici popolari”. Perché? “Credete voi che sia proprio facile di avere in Assise una povera madre di famiglia, traendola... dalle sue occupazioni domestiche, quando non tutte le signore possono avere una cameriera fidata o una governante, a cui assegnare la propria casa e la cura dei propri figliuoli?”.

La conquista delle donne

La scelta delle costituenti di mettere ai voti un doppio emendamento riuscirà a garantire il risultato che le donne volevano raggiungere: bocciato l’emendamento Rossi-Mattei (120 voti su 153) che dichiarava esplicitamente il diritto femminile di accesso a tutti i gradi della magistratura passerà quello Federici, che sopprimeva la parte limitante dell’articolo in discussione.

Ci vorranno quindici anni dopo l’entrata in vigore della Costituzione e ben 16 concorsi per uditore giudiziario, con un totale di 3127 vincitori, dai quali le donne erano state indebitamente escluse, per avere, nel 1963, l’affermazione del principio di uguaglianza fra i sessi nell’accesso in magistratura.

Il primo concorso aperto alla partecipazione delle donne verrà bandito il 3 maggio 1963 e sarà vinto da otto donne, che entreranno in servizio il 5 aprile di due anni dopo.