La storia dei fratelli Cervi è la storia di una famiglia esemplare. Il nonno si chiamava Agostino, e fu uno dei capi della rivolta contro la tassa sul macinato nel 1869. Suo figlio, Alcide, aderirà giovanissimo al Partito popolare prima, alla Resistenza poi. Partigiani saranno anche i sette figli di Alcide: Gelindo, Antenore, Aldo, Ferdinando, Agostino, Ovidio ed Ettore.

La pastasciutta antifascista

Ed è proprio a casa Cervi che si celebra il più bel funerale del fascismo con una grande pastasciutta offerta a tutto il paese distribuita in piazza a Campegine per festeggiare. A raccontare quella prima pasta antifascista condita con burro e formaggio è proprio papà Cervi: “Il 25 luglio eravamo sui campi e non avevamo sentito la radio - scriverà - Vengono degli amici e ci dicono che il fascismo è caduto, che Mussolini è in galera. È festa per tutti”. 

È Aldo, il terzogenito, che gli fa la proposta. “Papà - gli dice - offriamo una pastasciutta a tutto il paese”. Alcide accetta.

Facciamo vari quintali di pastasciutta insieme alle altre famiglie. Le donne si mobilitano nelle case intorno alle caldaie, c’è un grande assaggiare la cottura, e il bollore suonava come una sinfonia. Ho sentito tanti discorsi sulla fine del fascismo ma la più bella parlata è stata quella della pastasciutta in bollore. Guardavo i miei ragazzi che saltavano e baciavano le putele e dicevo: - Beati loro, sono giovani e vivranno in democrazia, vedranno lo Stato del popolo. Io sono vecchio e per me questa è l’ultima domenica.

Saranno invece i suoi sette ragazzi a perdere la vita cinque mesi più tardi forse anche a causa di quella pastasciutta più potente di qualsiasi manifesto politico.

L'arresto

Arrestati il 25 novembre 1943 e incarcerati nel carcere politico dei Servi a Reggio Emilia, i sette fratelli Cervi rimarranno prigionieri fino alla mattina del 28 dicembre, quando saranno fucilati per rappresaglia.

Alcide, loro compagno di cella fino a quel 28 dicembre, rimarrà prigioniero fino al gennaio dell’anno seguente, quando il carcere verrà bombardato dagli alleati. Tornato a casa, rimarrà ignaro di quello che era accaduto ai suoi figli per tutti i giorni della sua convalescenza.

“Dopo che avevo saputo - dirà - mi venne un grande rimorso. Non avevo capito niente e li avevo salutati con la mano, l’ultima volta, speranzoso che andavano al processo e gliela avrebbero fatta ai fascisti, loro così in gamba e pieni di stratagemmi. E invece andavano a morire. Loro sapevano, ma hanno voluto lasciarmi l’illusione, e mi hanno salutato sorridendo; con quel sorriso mi davano l’ultimo addio”. Venuto a sapere dell’eccidio, papà Cervi riuscirà a ritrovare le tombe dei sette ragazzi solo tempo dopo.

I funerali

“Dopo un raccolto ne viene un altro - diceva papà Cervi il giorno dei funerali che si svolgeranno il 25 ottobre del 1945, quasi due anni dopo la loro morte - bisogna andare avanti (…) I miei figli hanno sempre saputo che c’era da morire per quello che facevano e l’hanno continuato a fare, come anche il sole fa l’arco suo e non si ferma davanti alla notte. Così lo sapevano i tanti partigiani morti, e non si sono fermati davanti alla morte. E ora essi sono con noi in questa terra di Emilia dove le viti si abbracciano alle tombe, dove un lume e un marmo è la semente di ogni campo, la luce di ogni strada”.

“Guardate la mia famiglia - aggiungerà - avevo sette figli, e ora ho undici nipoti. Avevamo quattro mucche, e adesso sono 54 capi di bestiame, con la produzione del grano che è salita a cinque volte quella del ‘35. Eravamo mezzadri, pieni di debiti, e adesso abbiamo ancora debiti da scontare per trent’anni, ma il fondo è dei nipoti e delle nuore. Non faranno più San Martino. E quando c’è da ascoltare il padrone per fare qualche miglioria, si riunisce il consiglio di famiglia e quello che decide è ben fatto. In più, abbiamo dato sette vite alla patria. Se c’è bisogno di dare ancora la vita, i Cervi sono pronti, e qualcuno pure sopravvivrà, e rimetterà tutto in piedi, meglio di prima. Ecco perché non ci fermeranno più. (…) Che il cielo si schiarisca, che sull’Italia torni la pace e la concordia, che i nostri morti ispirino i vivi, che il loro sacrificio scavi profondo nel cuore della terra e degli uomini. Allora sì, mi sarò guadagnato la mia morte, e potrò dire alla madre dolce e affettuosa, alla sposa mia adorata: la terra non è più come quando tu c’eri, sulla terra si può vivere, e non solo morire di crepacuore. E ai figli, dirò: l’Italia vostra è salva, riposate in pace, figli miei”.