“Alle 11 e 20 - ricorderà Nilde Iotti qualche anno dopo raccontando l'attentato del 14 luglio 1948 - uscimmo da Montecitorio. Togliatti, come faceva spesso, era senza scorta, la fida guardia del corpo Armando Rosati, detto Armandino. Non ci sono cose importanti da discutere, mi disse, andiamo a casa. Prima, però, andiamo a prendere una granita di caffè al bar Rosati. E Armando? Armando, disse Togliatti, non ci vede e capirà”. Pochi minuti dopo il dramma. La notizia dell’attentato rimbomba immediatamente in Parlamento. Secchia e Longo seguono Togliatti al Policlinico. Si riunisce la Direzione del Partito. All’ospedale arrivano Nenni e - da Trento dove sua figlia sta partorendo - De Gasperi.

Giuseppe Di Vittorio, membro della delegazione che ha partecipato alla XXXI Conferenza del Bureau International du Travail negli Stati Uniti, rientra a Roma la mattina stessa dell’attentato.

Il Paese è percorso da una scossa elettrica, operai e contadini scendono in piazza: parte lo sciopero generale, prima spontaneo e poi ufficiale; sarà - dirà lo storico Sergio Turone - “lo sciopero generale più completo e più esteso che si sia mai avuto nella storia d’Italia”. “Calma, mi raccomando, calma, non facciamo sciocchezze”, continua a ripetere il Migliore. Il Comitato esecutivo della Cgil si riunisce nel pomeriggio sanzionando lo sciopero già in atto senza fissarne inizialmente il termine.

Tutti i lavoratori di tutte le categorie - sanciscono le istruzioni diramate dalla Confederazione - entreranno in sciopero alla mezzanotte di oggi mercoledì 14 luglio. Alle ore 6 cesserà completamente il servizio ferroviario. I lavoratori addetti alla panificazione, al rifornimento ed alla distribuzione del latte, ai servizi ospedalieri e telefonici, sono esentati dallo sciopero. I negozi di generi alimentari rimarranno aperti fino a Mezzogiorno. Gli elettrici sciopereranno dalle 8 alle 20, con sospensione per tutti gli utenti. I salariati addetti al bestiame eseguiranno un solo governo nella giornata ed attenderanno alla normale mungitura del bestiame. Mezzadri, coloni e coltivatori diretti eseguiranno i soli lavori di stalla. La Cgil invita tutte le Camere confederali del lavoro a pubblicare nella giornata di domani il giornale locale sindacale o un bollettino di sciopero.

L’ordine di cessazione sarà comunicato nella notte del 15 luglio. Sono le ore più drammatiche della breve storia repubblicana.

Poche ore dopo il ferimento si verificheranno incidenti in diverse località fra le quali Roma, La Spezia, Abbadia San Salvatore. Si registreranno morti a Napoli, Genova, Livorno, Taranto. Gli operai della Fiat di Torino sequestrano nel suo ufficio l’amministratore delegato Vittorio Valletta. Buona parte dei telefoni pubblici smette di funzionare, si blocca pressoché completamente la circolazione ferroviaria. Il Governo mette in campo l’esercito. Ricompaiono le armi.

Il 16 luglio il ministro degli Interni Mario Scelba comunica il bilancio ufficiale degli incidenti: 7 morti e 120 feriti tra le forze di polizia; 7 morti e 86 feriti tra i cittadini. Tra le vittime dell’attentato, anche l’unità sindacale. Nonostante le divisioni nella Confederazione, evidenti al I Congresso di Firenze del giugno 1947, l’unità sindacale aveva retto ancora un anno, ma dopo le elezioni politiche del 18 aprile 1948 con la netta affermazione della Democrazia cristiana e la sconfitta del Fronte popolare e dopo l’attentato a Togliatti del 14 luglio, la corrente democristiana deciderà la scissione.

“I dirigenti democristiani - racconterà anni dopo Anita Contini Di Vittorio nelle proprie memorie - sottoscrissero la decisione comune, ma il giorno dopo non intervennero alla nuova riunione con la quale si decise di limitare la prosecuzione della protesta al mezzogiorno del 16 (…) Ma l'indignazione dei lavoratori era tale che le disposizioni della confederazione non vennero applicate dovunque: in alcune città lo sciopero si protrasse ancora per il 16 e il 17 luglio. Cominciavano intanto, da parte governativa, le repressioni, le denunce, gli arresti contro coloro che in quelle giornate avevano diretto il movimento di protesta o vi avevano partecipato. Ma il colpo più duro inferto al movimento dei lavoratori dopo il 14 luglio non fu nemmeno questa ondata di arresti, ma la rottura dell’unità sindacale”.

Il 26 luglio si riunisce a Roma il Comitato direttivo confederale. “Alcuni giornali - dirà due giorni dopo Di Vittorio su l’Unità - hanno parlato di 'espulsione' della corrente democristiana dalla Cgil. Non vi è nulla di più inesatto: il Comitato esecutivo della Cgil non ha espulso nessuno. Esso si è limitato a constatare che gli esponenti democristiani, dichiarando rotta irrimediabilmente l’unità ed iniziando un’attività diretta a creare una nuova organizzazione contro la Cgil, si sono posti naturalmente fuori della confederazione unitaria, e sono quindi decaduti da tutte le cariche e funzioni sindacali” .

Gli esponenti della corrente sindacale democristiana - ribadirà il segretario della Cgil sempre sulle colonne de l’Unità il successivo 5 agosto - hanno bruciato le tappe, hanno reso chiara la loro volontà di pugnalare alle spalle la Cgil, di spezzare la grande famiglia unitaria e perciò i lavoratori democristiani li abbandonano, tenendo fede al giuramento di tutti i lavoratori italiani, di non lasciarsi mai più dividere da nessuna manovra, di restare fedeli alla propria unità, alla loro grande Cgil! (…) A tanto sono giunti i fautori di scissione nella loro pervicace volontà di paralizzare, pugnalare, annientare la Cgil. Ma a quella pervicacia si oppongono sette milioni di lavoratori. Da questi milioni di lavoratori erompe un solo grido possente, ammonitore: la Cgil non si tocca!

“Non può dimenticare - ribadirà Luciano Lama nel suo saluto di addio alla Confederazione - chi lo ha vissuto e magari da principio lo considerò come una liberazione da troppi condizionamenti, il periodo duro della divisione tra la fine degli anni quaranta e il decennio successivo che vide l’isolamento della Cgil, gli eccidi di lavoratori, le rappresaglie padronali, i più di cinquanta quadri nostri, dirigenti coraggiosi dei contadini del feudo, trucidati dai fucili a canne mozze o dai nodi scorsoi dei killer della mafia. (…) Erano gli anni dei reparti confino, dei ricatti nelle elezioni delle commissioni interne che videro restringersi la nostra forza organizzata e, contemporaneamente, videro l’impavida tenuta del quadro dirigente, di tanti militanti di base perseguitati ma non piegati. Quelle prove crudeli, dolorose mi fecero riflettere sul significato profondo di concetti come l’unità, la coerenza, il coraggio di riconoscere i propri errori per correggerli”.