L’11 luglio del 1969 moriva a Zurigo il socialista Giacomo Brodolini. Già ministro del Lavoro e sindacalista della Cgil, universalmente riconosciuto tra i padri dello Statuto dei Lavoratori.

Alla fine del 1950 Giacomo Brodolini viene chiamato a Roma dove viene eletto segretario nazionale della Federazione lavoratori edili della Cgil. 

Nel Comitato direttivo della Confederazione dal 1951 e nell’Esecutivo dall’anno successivo, rimane segretario generale della Fillea fino al 1955 quando viene nominato vice-segretario della Cgil (rimarrà in carica fino al 1960). 

Nel 1956 è a fianco di Giuseppe Di Vittorio tra i principali promotori della presa di posizione del sindacato in solidarietà al popolo ungherese e di condanna dell’invasione sovietica.

“In quella famosa mattina del 27 ottobre - racconterà Piero Boni - ci eravamo incontrati Brodolini ed io nella sede della Confederazione in Corso d’Italia e con- venimmo che la Cgil non potesse rimanere insensibile di fronte alla gravità di un avvenimento quale l’invasione dell’Ungheria da parte delle truppe russe e alla violenta repressione che ne era seguita. Si decise pertanto di chiedere la convocazione immediata della Segreteria e di proporre una mozione di condanna di quanto era avvenuto. Giacomo Brodolini provvide alla stesura di un testo in cui si affermava “la condanna storica e definitiva di metodi anti democratici di governo e di direzione politica ed economica. Sono questi metodi - si diceva - che determinano il distacco tra i dirigenti e le masse popolari”. Portammo il testo a Lizzadri il quale lo approvò immediatamente e insieme andammo da Giuseppe Di Vittorio non con l’intenzione di proporre la dichiarazione come iniziativa di parte ma come posizione dell’intera Confederazione. Di Vittorio, dopo averla letta attentamente più di una volta, disse “va bene”. Alla fine era più convinto di noi”.

Nel 1953 Giacomo Brodolini viene eletto per la prima volta alla Camera dei deputati nella circoscrizione di Ancona-Pesaro-Macerata-Ascoli Piceno. Ricoprirà il seggio per tre legislature, fino al 1968, anno in cui sarà eletto al Senato. 

Nel dicembre di quell’anno viene nominato Ministro del lavoro e della previdenza sociale nel primo governo di Mariano Rumor. 

In tale veste promuove una vasta attività legislativa in materia previdenziale e sindacale: il superamento delle gabbie salariali, la ristrutturazione del sistema previdenziale, l’approvazione dello Statuto dei lavoratori, divenuto poi legge.

“Se il mio primo impegno assunto quale ministro del lavoro è stato quello di venire ad Avola - diceva nel gennaio del 1969 parlando in Sicilia dopo aver trascorso le festività natalizie a fianco dei lavoratori della fabbrica romana occupata Apollon - ciò non è avvenuto a caso. Era mio dovere rendermi conto di come situazioni economiche e sociali, che appartengono ad un’altra società e ad un altro secolo, ancora gravino sulla Sicilia e chiedano, soprattutto a chi ha la responsabilità delle maggiori decisioni, la attuazione urgente di politiche in grado di creare le condizioni per un definitivo superamento di ingiustizie antiche che suonano scandalo per un Paese civile, progredito, che voglia essere socialmente avanzato. I cosiddetti fatti di Avola non sono un evento occasionale ma il frutto di una condizione di arretratezza secolare che non può più attendere lente maturazioni. (…) Nella realizzazione del programma di governo, io desidero in primo luogo ribadire l’impegno di attuazione dello Statuto dei lavoratori e cioè di una politica legislativa per i lavoratori che si deve articolare in una serie di leggi.  (…) Se vogliamo che il sangue di lavoratori come Giuseppe Scibilia e Angelo Sigona non abbia più a scorrere come conseguenza di conflitti di lavoro, dobbiamo allora garantire alla forza pubblica mezzi adeguati ma che non siano tali da provocare nocumento all’integrità fisica e alla vita delle persone. Questo episodio si iscrive nella storia tanto frequentemente punteggiata dalla tragedia e dal martirio, dalla lotta per il progresso dei lavoratori e della società. Ma noi dobbiamo fare in modo che tali sacrifici non debbano ripetersi. Assumo dinanzi a tutti solennemente l’impegno di fare, con netta determinazione, quanto è possibile fare per affermare in modo profondo i valori della giustizia e della libertà nei rapporti di lavoro e nelle condizioni dei lavoratori”.

Manterrà il suo impegno.

Nel giugno del 1969 è approvato il testo base della Legge 300 ed inizia il suo cammino parlamentare.

Brodolini morirà appena venti giorni dopo in una clinica svizzera. 

Il suo ultimo atto politico sarà una netta presa di posizione contro la prospettiva di una nuova scissione socialdemocratica.

La dichiarazione dell’ex ministro del Lavoro sarà trasmessa ai giornali il 6 luglio 1969 dalla clinica di Zurigo dove Brodolini era stato ricoverato. Il dirigente socialista parlerà di “una decisione incomprensibile e incauta”, affermando tra l’altro: “Ai compagni che nella loro stragrande maggioranza hanno manifestato nei giorni scorsi il loro impegno unitario, vorrei rivolgere fraternamente l’invito a non perdersi d’animo, a serrare le file e a battersi perché al partito siano mantenute la forza e la capacità di iniziativa di cui ha bisogno”.

Il suo ultimo discorso pubblico rimarrà quello tenuto pochi giorni prima al Congresso della Cgil.

“La voce era roca e rotta e rotta - riportava  l’Avanti! - ma le parole  limpide e forti”.

“... nella vita bisogna sapere che scegliendosi degli amici, si scelgono anche gli avversari. Bene io ho scelto i miei amici e siete voi – e lo sapete – tra i miei amici e i miei compagni più cari”, così Giacomo Brodolini nel giugno del 1969 si rivolgeva al VII Congresso della Cgil e al movimento sindacale nel suo complesso “destinato a rappresentare - dirà - un concreto, sicuro, deciso punto di riferimento, non solo per il mondo del lavoro ma anche per tutti coloro che credono nei valori della democrazia e nei valori della libertà di cui storicamente, del resto, nel nostro paese il mondo del lavoro è sempre stato portatore”.