L’estate del 1960 è forse uno dei momenti più critici nella storia dell’Italia repubblicana: fine della guerra e sconfitta del fascismo risalgono a soli quindici anni prima, la vita democratica si è fatta strada tra ricostruzione, lotte sociali, contrasti politici. In un momento di forti trasformazioni produttive, con una situazione sociale e politica tesa, la formazione di un governo democristiano con l’appoggio esterno del Movimento sociale italiano viene da molti percepita come il netto orientarsi della classe di governo e del mondo industriale nuovamente verso istanze fasciste (Fernando Tambroni ottiene per la prima volta la fiducia grazie a 24 voti del Movimento sociale italiano, determinando uno spostamento a destra degli equilibri politici e favorendo il tentativo del partito neofascista di uscire dall’isolamento in cui fin dalla sua nascita era stato relegato).

Il 14 maggio 1960 il Movimento sociale italiano ufficializza il suo sesto Congresso per il 2 luglio a Genova, città medaglia d’oro alla Resistenza.

“Il Msi - si legge in un rapporto prefettizio - ha scelto Genova per il 6° congresso nazionale Tale notizia ha provocato viva reazione negli ambienti partigiani che si propongono scioperi ed azioni di piazza. Anche il senatore Terracini, nel comizio tenuto il 2 corrente a Pannesi, ha affermato che la scelta di Genova è un’offesa ai valori della città decorata con la medaglia d’oro e che bisogna riunire tutte le forze della resi¬stenza per tale occasione”.

Dopo due cortei, il primo svoltosi il 25 giugno, e il secondo, il 28 giugno, concluso con un comizio di Sandro Pertini, il 30 giugno la Camera del lavoro proclama lo sciopero generale.

Grande giornata dell’antifascismo in Liguria - titolerà l’Unità - “Oggi Genova scende in sciopero contro il congresso del MSI. Scioperi anche a Savona, La Spezia e Sarzana. Alla testa del corteo i gonfaloni di Torino, Cuneo, Novara, Aosta, Biella e Alessandria. La solidarietà dei giovani e degli universitari romani”.

Un lungo corteo si dipana per le vie cittadine. Risalendo dal porto migliaia di cittadini, in massima parte di giovane età (i cosiddetti ragazzi dalle magliette a strisce) si riversano per le strade del capoluogo. Alla testa della manifestazione gli operai metalmeccanici e i portuali, ad aprire il corteo i comandanti partigiani.

La manifestazione procede in maniera tranquilla, ma davanti al tentativo da parte della polizia di sciogliere il corteo ed alla minaccia della calata in massa dei fascisti verso Genova esplode la rabbia popolare.

I vecchi partigiani, le giovani leve della classe operaia e gli studenti universitari, trovatisi per la prima volta fianco a fianco in unità d’intenti, non solo non soccombono alla polizia, ma impediscono il Congresso missino, mandando in crisi il governo.

La città partigiana si ribella all’adunata fascista e al governo che la protegge - scrive ancora l’Unità - “100 mila antifascisti manifestano a Genova. Decisa risposta a un grave attacco poliziesco. Lo sciopero generale ha paralizzato tutte le attività. Un immenso corteo sfila nel centro e rende omaggio ai caduti della Resistenza. A manifestazione conclusa i poliziotti attaccano proditoriamente. Violentissimi scontri in piazza De Ferrari, decine di agenti e cittadini feriti, lancio di bombe lacrimogene e camionette incendiate”.

Il Pci chiede le dimissioni del governo Tambroni.

Saragat e Nenni propendono per l’apertura della crisi.

Il Movimento sociale, dopo le prime dichiarazioni di ritiro dell’appoggio al governo, esita a prendere una decisione.

A Genova seguono Licata, Roma, Reggio Emilia, Palermo. Le manifestazioni, gli scioperi e gli scontri dilagano in tutta Italia. Il bilancio di quei giorni è di 12 morti.

Il governo Tambroni deve dimettersi. E si dimetterà.

Con la piena approvazione delle convergenze democratiche tra Dc, Psdi, Pri e Pli, Tambroni riunisce il Consiglio dei ministri. Preso atto della formazione di una nuova maggioranza il presidente del Consiglio il 19 luglio si reca dal capo dello Stato per presentare le dimissioni.