La lunga stagione della direzione confederale di Guglielmo Epifani coincide con un ciclo di declino storico del paese che rende difficile e problematica la necessaria trasformazione che coinvolgeva il sindacato, il lavoro, i suoi programmi e le forme della rappresentanza. In realtà, la cesura irrimediabile che si produce dopo il trauma del ‘89-’91 colpisce l’identità e la tenuta dello Stato unitario e democratico e della società nazionale. Tra il rischio di default finanziario del ‘92-’93 e l’elezione di Scalfaro nel ‘94 sotto la pressione della strategia delle stragi e delle bombe, il paese è segnato da una crisi che sembra l’adattamento della democrazia vittoriosa con la caduta del comunismo simile a quella dei principali paesi europei, ma che nei fatti è speculare a quella dei paesi dell’Est-europeo. Forzature, smagliature e rabberciamenti della cornice costituzionale, blocco del sistema politico-istituzionale, inadeguatezza della rappresentanza parlamentare e progressiva eclissi del sistema dei partiti, inizio del declino economico e della marginalizzazione del capitalismo italiano in Europa dopo Maastricht, esplosione del debito pubblico, si rispecchiano e a loro volta sono esemplati nel vuoto di una classe dirigente non in grado di preservare la legittimità democratica e il rating internazionale del paese.

A Guglielmo questa progressiva deriva apparve ben presto come una parabola “declinante” dell’Italia. Lui, ma in verità tutta la Cgil, come grande organizzazione sociale del lavoro, nei due decenni che si collocano tra il ‘92-’94 e il 2011-13 sono segnati da una crescente preoccupazione non solo di preservare il sindacato e il lavoro, i suoi diritti, i suoi interessi economici, la sua autonomia nazionale, quanto, piuttosto, di arrestare e invertire quel declino storico. Si trattava di riprendere la cultura e l’impegno della Cgil di Di Vittorio, che consisteva nell’“appoggiare” sul lavoro e sul sindacato confederale il baricentro del riscatto nazionale e internazionale del paese, già disintegrato dalla guerra fascista. La “bussola strategica”, come direbbero oggi gli euroburocrati di Bruxelles, di Guglielmo e dell’intera Cgil prima, durante e dopo la crisi verticale del 2008/2013, fu quella di proporre a quel che restava del ceto politico-amministrativo e soprattutto al ceto economico-finanziario, paralizzato e depotenziato nella sua capacità innovativa e nella propensione agli investimenti, e che inoltre aveva inopinatamente delegato la propria rappresentanza economica al programma del governo Berlusconi, un diverso paradigma dello sviluppo, ancorato ad un nuovo patto costituente nazionale che confermasse il senso e l’attualità del patto costituente del ‘47 sancito nell’articolo 1.

Forte di una formazione culturale che ha nell’attenzione alla dimensione storica e nell’interesse per la tradizione del sindacalismo riformista di matrice socialista i suoi capisaldi, l’esordio di Epifani al vertice della Cgil dopo una lunga esperienza di direzione della categoria dei lavoratori poligrafici risale alla segreteria di Bruno Trentin, nella quale svolgerà dapprima il ruolo di responsabile dell’organizzazione, e in un secondo momento quello di segretario aggiunto. A lungo vice del successore di Trentin, Sergio Cofferati, occupandosi delle politiche internazionali, nel settembre del 2002, a pochi mesi dall’oceanica manifestazione al Circo massimo, ne raccoglie la difficile eredità assumendo la guida dell’organizzazione. Sono anni complessi e convulsi quelli degli esordi della segreteria Epifani, e ciò in quanto ai larghi consensi del berlusconismo e alla sua grande penetrazione nel senso comune del paese corrisponde anche una nuova stagione di divisione sindacale: l’adesione di Cisl e Uil al progetto racchiuso nel Patto per l’Italia del 2003 costringe infatti la Cgil a condurre in solitudine la sua azione di opposizione sociale al governo di centro-destra, rendendo costante il rischio di un suo isolamento.

Diversi saranno i fronti lungo i quali quest’opposizione si dispiegherà: dalle politiche sul welfare alla riforma del sistema pensionistico, dalle regole del mercato del lavoro alla riforma della scuola targata Moratti, passando per un risoluto “no” alla guerra in Iraq e al coinvolgimento italiano nella missione militare voluta dall’amministrazione Bush. Questioni e battaglie rispetto alle quali il contributo della Cgil in termini di mobilitazione si rivelerà fondamentale, svolgendo una funzione aggregante e di autentico trait d’union tra le diverse anime dello schieramento di centro-sinistra, divise rispetto a tempi, modi e intensità dell’opposizione al berlusconismo. Guglielmo tentò sempre di dare a quest’attività di opposizione uno spessore culturale ed un respiro ampi dal punto di vista progettuale: per questa ragione sarà sempre particolarmente intensa la collaborazione intrattenuta con la Fondazione Di Vittorio e con il suo lavoro di riflessione ed elaborazione. La vittoria del centro-sinistra alle elezioni del 2006 non comporterà però un disimpegno rispetto all’attività di tutela dei lavoratori: malgrado le indiscutibili affinità tra il governo di Romano Prodi e la Cgil di Epifani, quest’ultima si rapporterà all’operato del nuovo esecutivo non dismettendo la propria severità di giudizio, nell’ambito della rigorosa autonomia sindacale già richiamata.

L’ultima stagione della segreteria Epifani coincide da un lato con lo scoppio della più grave crisi economica dopo quella del 1929, e dall’altro con il ritorno al governo di Berlusconi e di centro-destra. Rispetto al tentativo del governo di affrontare il nuovo contesto recessivo deregolamentando ulteriormente le tutele del lavoro e tamponando il tutto con misure di assistenza sociale di tipo marginale e caritatevole, Epifani sceglie di schierare la Cgil contro qualsiasi ipotesi di ridimensionamento del contratto collettivo e a favore di ricette economiche di taglio strutturale capaci di aggredire alla radice le cause dell’ingolfamento del sistema economico e finanziario. Un percorso di rinnovata opposizione sociale che avrà come coronamento la grande manifestazione dell’aprile 2009.

Il suo commiato alla Cgil nel novembre del 2010 non comporterà però il suo eclissamento dalle vicende politiche nazionali: se infatti la direzione di Susanna Camusso (indicata proprio da Gugliemo) si contraddistingue per una forte continuità con lo stile e i contenuti della gestione di Epifani, la sua esperienza di sindacalista riformista verrà valorizzata anche politicamente all’interno del principale partito dell’area progressista. Vicende e battaglie politiche, quelle passate in rassegna, che confermano come l’attività di dirigente e leader sindacale svolta da Guglielmo Epifani abbia avuto luogo in un tornante non facile della recente storia repubblicana, dovendo fare i conti con mutamenti e trasformazioni sistemiche così profonde da mettere in discussione prassi e schemi largamente consolidati.