Alle 8 del mattino del 25 aprile 1945, via radio, il Clnai presieduto da Alfredo Pizzoni, Luigi Longo, Emilio Sereni, Sandro Pertini e Leo Valiani proclama l’insurrezione generale in tutti i territori ancora occupati dai nazifascisti, indicando a tutte le forze partigiane attive nel Nord Italia facenti parte del Corpo volontari della libertà di attaccare i presidi fascisti e tedeschi imponendo la resa prima dell’arrivo delle truppe alleate, come preannunciato nell’ultimatum del 19 aprile 1945.

Parallelamente il Clnai emana dei decreti legislativi per assumere il potere “in nome del popolo italiano e quale delegato del governo italiano”, stabilendo tra le altre cose la condanna a morte per tutti i gerarchi fascisti incluso Benito Mussolini.

Alle 3 e 40 di domenica 29 aprile 1945 il cadavere dell’ormai ex duce raggiunge Piazzale Loreto, una meta né casuale né improvvisata, ma meditata per il suo valore simbolico. 

Qui Mussolini viene scaricato a terra, proprio dove le vittime della rappresaglia nazifascista del 10 agosto 1944 erano state abbandonate in custodia ai militi fascisti della Legione Muti impedendo ai familiari di portarle via. 

“L’ultimo volto che vedo abbandonando la piazza - raccontava Giovanni Pesce (Visone) ricordando quegli avvenimenti - è quello di un repubblichino, che ride istericamente. Quel riso indica l’infinita distanza che ci separa. Siamo gente di un pianeta diverso. Anche noi combattiamo una dura lotta, in cui si dà e si riceve la morte. Ma ne sentiamo tutto l’umano dolore, l’angosciosa necessità. In noi non è, non ci può essere nulla di simile a quello sguardo, a quella irrisione di fronte alla morte. Loro ridono. Hanno appena ucciso quindici uomini e si sentono allegri. Contro quel riso osceno noi combattiamo. Esso taglia nettamente il mondo: da un lato la barbarie, dall’altro la civiltà. Noi abbiamo scelto di vivere liberi, gli altri di uccidere, di opprimere, costringendoci a nostra volta ad accettare la guerra, a sparare e a uccidere. Siamo costretti a combattere senza uniforme, a nasconderci, a colpire di sorpresa. Preferiremmo combattere con le nostre bandiere spiegate, felici di conoscere il vero nome del compagno che sta al nostro fianco. La scelta non dipende da noi, ma dal nemico che espone i corpi degli uccisi e definisce l’assassinio ‘un esempio’”.

L’ultimo viaggio di Mussolini verso piazzale Loreto inizia probabilmente proprio il 10 agosto 1944. 

“Il sangue di Piazzale Loreto lo pagheremo molto caro”, sembra avesse detto il duce venuto a conoscenza dei fatti.

Frase quanto mai profetica, macabramente anticipata da un articolo pubblicato dallo stesso Mussolini il 26 giugno 1920 sulle colonne del Popolo d’Italia in occasione dell’uccisione di un brigadiere dei carabinieri avvenuta - proprio a piazzale Loreto - durante una manifestazione di ferrovieri. “La storia italiana - scriveva il futuro capo del fascismo - non ha episodi così atroci come quello del piazzale Loreto. Nemmeno le tribù antropofaghe infieriscono sui morti. Bisogna dire che quei linciatori non rappresentano l’avvenire, ma i ritorni all’uomo ancestrale (che, forse, era moralmente più sano dell’uomo civilizzato)”.

A Piazzale Loreto si svolge quel macabro spettacolo di morte per il quale Ferruccio Parri conierà la definizione rimasta celebre di “Macelleria messicana”.

Sangue chiamato da altro sangue. Scempio chiamato da altro scempio.

Verso le 7 del mattino, i primi passanti si accorgono dei cadaveri. 

La piazza si riempie velocemente. In tanti insultano, dileggiano, sputano, prendono a calci i cadaveri, esplodono addirittura dei colpi di pistola. Alle 11 la situazione non è più governabile: una squadra di Vigili del fuoco giunta con un’autobotte lava abbondantemente i cadaveri imbrattati di sangue, sputi, orina e ortaggi ed appende per i piedi alla pensilina del distributore di carburante Standard Oil i cadaveri più noti per salvarli da ulteriore dileggio. 

Tempo dopo Sandro Pertini affermerà: “Quando mi dissero che il cadavere di Mussolini era stato portato a piazzale Loreto, corsi con mia moglie e Filippo Carpi. I corpi non erano appesi. Stavano per terra e la folla ci sputava sopra, urlando. Mi feci riconoscere e mi arrabbiai: «Tenete indietro la folla!». Poi andai al Cln e dissi che era una cosa indegna: giustizia era stata fatta, dunque non si doveva fare scempio dei cadaveri. Mi dettero tutti ragione: Salvadori, Marazza, Arpesani, Sereni, Longo, Valiani, tutti. E si precipitarono a piazzale Loreto, con me, per porre fine allo scempio. Ma i corpi, nel frattempo, erano già stati appesi al distributore della benzina. Così ordinai che fossero rimossi e portati alla morgue. Io, il nemico, lo combatto quando è vivo e non quando è morto. Lo combatto quando è in piedi e non quando giace per terra”.