L’iniziativa l’ha lanciata la ministra dell'Interno Luciana Lamorgese, ospitare nelle case e negli alberghi sequestrati alle mafie i profughi e le profughe in arrivo dall’Ucraina. Buona idea, va proprio nel segno di quanto pensava Pio La Torre, non è un caso si ritrovi nello spirito della legge sui beni confiscati: che il frutto dell’arricchimento illecito dei boss di Cosa Nostra, Camorra e ‘ndrangheta venga restituito alla collettività utilizzandolo per fini sociali. Ma, esiste un ma. A sollecitare un’attenzione maggiore è Luciano Silvestri, responsabile legalità e sicurezza delle Cgil nazionale: “Bisogna assolutamente evitare una guerra tra poveri “. La preoccupazione della confederazione di Corso d’Italia, già espressa nei giorni scorsi dal segretario nazionale Giuseppe Massafra, è che venga creata una impropria e insopportabile graduatoria tra chi scappa dalla guerra della Russia contro l’Ucraina e quanti, invece, sono arrivati o arrivano dalla Siria, dall’Afghanistan o da altri Paesi teatri di conflitto, e ce ne sono.

Al momento "sono 283, tra immobili e alberghi, le strutture individuate. Stiamo affinando il dato in collaborazione con i nuclei di supporto delle prefetture, in ragione delle caratteristiche specifiche del bene, e contestualmente stiamo verificando la disponibilità di ulteriori strutture già assegnate agli enti locali ma non ancora utilizzate". A parlare è il prefetto Bruno Corda, direttore dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, che aggiunge: "I tempi? Alcune strutture sono immediatamente disponibili, penso ad alberghi e ad alcuni appartamenti, si tratta solo di allacciare le utenze; per altri sta valutando il ministero. Si tratta di un'idea nata per far fronte alle emergenze e già sperimentata efficacemente nel periodo della pandemia, con l'individuazione di circa 200 strutture destinate all’ospitalità di pazienti Covid". "Si tratta - aggiunge - di strutture presenti su quasi tutto il territorio nazionale con una concentrazione significativa in Sicilia, dove insiste circa un terzo del totale dei beni confiscati. Impossibile per ora fare stime precise, ma nelle strutture individuate - conclude il prefetto - potrebbero trovare accoglienza diverse migliaia di profughi".

Silvestri, indicato da Cgil Cisl e Uil a far parte del Comitato di indirizzo dell’Agenzia dei beni confiscati e sequestrati, pur apprezzando l’idea, proprio nel corso dell’ultima riunione del Comitato ha sottolineato tre criticità che ci illustra. “Da un lato – appunto – il rischio che si creino rifugiati di seria A e di serie B. Per noi ha lo stesso diritto all’accoglienza chiunque arrivi nel nostro Paese fuggendo da guerre o povertà”. Il secondo problema riguarda chi è nato in Italia: “Non possiamo dimenticarci che esiste una vera e propria emergenza abitativa, acuitasi con la crisi economica scaturita dalla pandemia. Ci sono molti cittadini e cittadine italiane in attesa dell’assegnazione di una casa popolare e che non riescono ad averla viste le graduatorie lunghissime. Anche questa potrebbe essere un’altra faccia della guerra tra poveri”. Infine, la terza criticità, in qualche modo adombrata anche dal prefetto Corda, molti dei beni non sono affatto utilizzabili. Non solo perché mancano gli allacci a luce, gas e acqua, ma anche perché molti di loro sono rimasti in attesa della confisca definitiva e poi dell’assegnazione per molti anni e sono deperiti, occorrerebbero opere di ripristino anche costose, e siccome l’Agenzia non può accedere al Fondo unico per la giustizia, le risorse per i restauri non ci sono e molti manufatti non sono agibili. E poi c’è anche il fatto che su molti sequestri grava la questione dei creditori incolpevoli, e quindi spesso gli amministratori giudiziari sono costretti a venderli per saldarli.

“Insomma - conclude Luciano Silvestri - questa può essere davvero l’occasione per fare quello che da tempo chiedono i sindacati, da un lato una ricognizione più puntuale del patrimonio in capo all’Agenzia, dall’altro velocizzare il percorso di assegnazione e di riconsegna alla collettività di quanto sottratto alla criminalità organizzata, consentendo l’accesso al Fondo per la giustizia, così da avere le risorse per manutenere i beni”.