L’8 dicembre del 1981 muore a Roma Ferruccio Parri, capo partigiano durante la guerra di Liberazione, primo presidente del Consiglio dei ministri a capo di un governo di unità nazionale istituito alla fine della seconda guerra mondiale, redattore del Corriere della Sera. Insieme a Carlo Rosselli, Sandro Pertini e Adriano Olivetti, è tra gli organizzatori della celebre fuga di Filippo Turati in Francia, navigando da Savona con un motoscafo guidato da Italo Oxila.

Promotore del Partito d’Azione, suo rappresentante nel Comitato militare del Comitato di liberazione nazionale Alta Italia, poi vice comandante del Corpo volontari della libertà, partecipa attivamente alla fase conclusiva della Resistenza e all’insurrezione di Milano. Consultore nazionale, dal 19 giugno al 22 novembre 1945 è presidente del Consiglio. Uscito dal Partito d’Azione nel marzo del 1946 è tra i fondatori del nuovo Partito della democrazia repubblicana, per il quale sarà deputato alla Costituente. Eletto senatore nel maggio 1958, sarà nominato senatore a vita dal 1963.

Sua è la definizione di "macelleria messicana" coniata di fronte ai corpi di Mussolini, di Claretta Petacci e dei gerarchi appesi al distributore di benzina di Piazzale Loreto, sua l’orazione funebre ai funerali di papà Cervi, suo uno dei ricordi - fra i più belli - di Giuseppe Di Vittorio a pochi giorni dalla morte.

Seguivo con interesse lo sforzo della Confederazione per elaborare un piano nazionale di riforme. Sentivo il danno della nostra vita politica a spaccature così nette, di dialettica e superamento così difficile, facendo io qualche rimprovero a Di Vittorio ed ai suoi compagni di non cercare più ampiamente collegamenti, e possibilità di controllo e confronto con i nostri ambienti di studio. Quando il sindacato oltrepassa il piano delle rivendicazioni salariali ha bisogno di appoggi non solo numerici. Ma il rimprovero maggiore, di mancanza di coraggio, lo dovevo rivolgere a me stesso ed ai nostri ambienti. A noi sarebbe spettato il dovere dell’avvicinamento cordiale per una collaborazione sul piano dello studio. E questo rimorso mi rimane ora che Di Vittorio se n’è andato. Egli era fortemente impegnato, sinceramente impegnato, senza riserve mentali, nello sforzo che un Turati moderno avrebbe detto di “rifare l’Italia”. Era ancora il sogno generoso del bracciante di Cerignola. Quale forza viene a mancare al proletariato italiano! Quando il popolo di Roma seguiva il suo carro funebre sentivo ben chiara qual’era la sorgente di quell’affetto, di quell’attaccamento, di quella ovazione spontanea. Era la ricchezza generosa dell’anima mai inaridita, la prima fonte della fiducia dei lavoratori nel combattente unicamente e sempre devoto alla loro liberazione, ed alla loro ascensione. La sua forza e la sua autorità non erano mai declinate perché non si era mai oscurato il suo vigore morale. Ed è questa la lezione prima che egli lascia anche a noi, che ne serbiamo cara ed affettuosa l’immagine nella memoria del cuore; che egli lascia ai lavoratori: il socialismo vince se la sua spina dorsale è data dalle verità superiori ed umane delle quali deve esser portatore

Il 14 maggio 1960 il Movimento sociale italiano ufficializza il suo sesto congresso per il 2 luglio a Genova, città medaglia d’oro alla Resistenza. Gli ex partigiani, appoggiati dalla popolazione e dalla nutrita comunità dei portuali, iniziano a picchettare ogni angolo del capoluogo ligure; i sindacati di categoria fanno la voce grossa con il governo: quel congresso a Genova non si deve tenere, a qualunque costo. Dopo due cortei, il primo svoltosi il 25 giugno, e il secondo, il 28 giugno, concluso con un comizio di Sandro Pertini, il 30 giugno la Camera del lavoro proclama lo sciopero generale ed alla fine della giornata il prefetto di Genova si vede costretto ad annullare il Congresso del partito neofascista.

Trascorrono solo pochi giorni (è il 5 luglio) e a Licata, in provincia di Agrigento, durante una manifestazione unitaria di braccianti e operai, la polizia uccide Vincenzo Napoli. Il 6 luglio a Roma viene negata l’autorizzazione a una manifestazione di protesta per i fatti appena accaduti a Genova e in Sicilia. La manifestazione però si tiene ugualmente: sfidando apertamente il divieto i romani scendono per le strade. Porta San Paolo si presenta accerchiata da celerini e carabinieri, per la prima volta vengono utilizzati i carabinieri a cavallo.

In solidarietà con quanto successo a Genova, Roma e Licata, il 7 luglio 1960 a Reggio Emilia è indetto lo sciopero generale. La polizia spara nuovamente contro i dimostranti e cinque persone rimangono a terra uccise: Lauro Farioli (22 anni), Ovidio Franchi (19), Emilio Reverberi (39), Marino Serri (41) e Afro Tondelli (36). Tutti e cinque operai e comunisti, alcuni ex partigiani. 

“A Genova e altrove in prima linea - scriveva Parri - erano apparsi giovani studenti e operai, nei quali il partito, dove c’era, era visibilmente soverchiato da un comune anche se spesso generico combattentismo giovanile. In tutte le manifestazioni, prevalentemente pacifiche, tenute in questi giorni in un gran numero di città d’Italia, si son visti assai più giovani che in passato. Sono minoranze forse ancor piccole nelle regioni più povere, dove la maggior incertezza dell’avvenire, oltre alla cappa di piombo di ambienti arretrati, e perciò retrivi, toglie autonomia critica ed irreggimenta nel conformismo. Ma in tutto il mondo tira una certa aria come se ai giovani gli prudessero le mani: i teddy boys sono un poco come i campioni di scarto di questo immenso esercito senza bandiera. Io sono certo che anche in Italia, almeno in quella che ho visto e conosco, soffia questo vento. Sorgono problemi di grande portata e responsabilità serie. Saper orientare, non deludere le attese, è forse condizione che il vento non si risolva in una ventata. Forse qui si prepara la vittoria per le battaglie di domani. Vincerà chi saprà avere con sé lo spirito dei giovani, o almeno la parte più eletta e consapevole di essi. Ardua conquista di coscienze che, almeno in questi tempi, sembra più difficile nell’ambito dei partiti che fuori di essi”.