Agire su più livelli per fermare maltrattamenti e femminicidi. In Italia una donna uccisa ogni tre giorni. L'associazione Differenza Donna: “Più investimenti nelle case rifugio e impegno contro gli stereotipi. Manca una politica sistemica per intaccare il substrato culturale”
Il tema della violenza domestica è esploso a seguito della pandemia sanitaria, in molti casi aggravando situazioni che già prima del lockdown erano caratterizzate da abusi e maltrattamenti ai danni delle donne. Soltanto nel primo semestre del 2020, in Italia, sono state oltre 20 mila le donne che si sono rivolte ai centri antiviolenza. La maggioranza di queste strutture ha proseguito nell’erogazione dei servizi anche durante il periodo di confinamento, mettendo in campo nuove strategie di supporto e intensificando la collaborazione con le reti territoriali per fronteggiare le numerose richieste.
I dati ufficiali forniti da Differenza Donna – associazione che dal luglio 2020 gestisce il 1522, numero nazionale antiviolenza e stalking attivato nel 2006 dal Dipartimento per le Pari Opportunità – riportano una crescita esponenziale delle chiamate, aumentate dell’80 per cento rispetto al 2019. Elisa Ercoli, presidente di Differenza Donna, sottolinea come i casi di violenza contro le donne siano cresciuti a dismisura in concomitanza con l’emergenza Covid-19, con picchi spaventosi nei mesi di aprile e maggio 2020. “Durante la quarantena – dichiara Ercoli – il numero di pubblica utilità ha rappresentato uno strumento di grande sostegno alle vittime di violenza. Anche nei primi mesi del 2021, il numero delle telefonate e delle richieste di aiuto tramite chat è aumentato, seppur non come il secondo trimestre 2020. A chiamare il 1522 sono donne di ogni età, origine, istruzione, estrazione sociale o appartenenza culturale. Riferiscono violenza fisica, psicologica, sessuale, economica, minacce, mobbing sul lavoro e altro. Le violenze sono agite prevalentemente da partner o ex partner, in casa e spesso in presenza dei figli. Da quando gestiamo il 1522 ci siamo prefissate l’obiettivo di facilitarne l’accesso utilizzando tutti i canali social e la messaggistica”.
Il lavoro di qualità, ben retribuito, è essenziale per l'autonomia. Vorremmo poter festeggiare gli uomini che si interrogano sulla loro mascolinità, sul possesso, sulla complicità. Uomini che si mettono in discussione
Sull’incremento globale della violenza di genere a seguito della pandemia si era espresso anche António Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, che aveva parlato di “pandemia ombra che minaccia metà della popolazione mondiale”. In questi giorni in Italia, in prossimità della ricorrenza del 25 novembre, assistiamo a un’inquietante escalation dei femminicidi: quattro donne uccise in meno di una settimana, dall’inizio dell’anno a oggi sono 109 le vittime e tristemente si conferma la statistica di una donna uccisa ogni tre giorni. Secondo il report del Viminale la maggioranza dei delitti legati al genere avviene in ambito familiare, 63 sono le donne uccise da partner o ex partner.
Che ci sia l’urgenza di fermare il fenomeno della violenza è evidente a chiunque e per farlo bisogna agire su più livelli. Le operatrici delle case rifugio, che quotidianamente assistono vittime di violenza, sottolineano come sia indispensabile investire di più negli spazi per accogliere chi denuncia. Parallelamente è necessario operare in ambito educativo e sociale per decostruire stereotipi diffusi. “Differenza Donna – prosegue la presidente Ercoli – gestisce sin dal 1992 case rifugio e centri antiviolenza e da qualche anno anche le case di semi-autonomia. I centri antiviolenza accolgono donne che vogliono fare un percorso per riconoscere la violenza subita, prenderne consapevolezza e sottrarsi in sicurezza insieme ai propri figli. Si tratta di luoghi di donne per le donne, luoghi di parte perché devono sottrarsi da una società ancora piena di pregiudizi, mistificazioni e valori patriarcali. Abbiamo tantissime buone leggi, alcune sono in via di arrivo, ma manca completamente una politica sistemica che vada a intaccare il substrato culturale”.
Uno spaccato molto autentico dello stato psicologico di una donna vittima di violenza domestica è rappresentato nella serie Maid, ispirata al libro autobiografico di Stephanie Land dal titolo Donna delle pulizie. Lavoro duro, paga bassa e la volontà di sopravvivere di una madre, pubblicato in Italia dalla casa editrice Astoria. La protagonista dimostra come il cammino di una donna vittima di maltrattamenti sia costellato di ostacoli. Oltre a tutte le difficoltà legali e burocratiche, a complicare la situazione si aggiunge il processo di autoconsapevolezza per riacquistare la libertà annientata da una relazione tossica, nonché i problemi che derivano dalla disoccupazione o da impieghi precari che non permettono la conciliazione con l’impegno genitoriale.
Dell’esperienza all’interno di un centro antiviolenza, di come sia articolato il percorso di autodeterminazione, parla con cognizione di causa Pamela Amoroso, responsabile del centro antiviolenza del Comune di Roma intitolato alla memoria di Donatella Colasanti e Rosaria Lopez. “Questo è uno spazio storico nell’accoglienzaalle donne vittime di violenza – afferma Pamela Amoroso – e inoltre siamo anche una casa rifugio perché ospitiamo donne e bambini. Da noi arrivano donne che ci hanno contattato direttamente, tramite internet o attraverso il numero 1522, oppure che sono state indirizzate dalle forze dell’ordine, dai pronto soccorso dove è attivo il codice rosa, dal terzo settore o dalla rete amicale. Le donne vittime di violenza hanno il comune denominatore di trovarsi invischiate nella cosiddetta spirale di violenza agita da uomini maltrattanti, sono in forte stato di confusione perché hanno vissuto una continua alternanza di momenti di normalità con momenti di abuso, sia fisico che psicologico. Il nostro compito è quello di portarle a riconoscere che meritano e hanno il diritto di essere felici per sé stesse e per i propri figli. La fase iniziale in una casa rifugio è quella più difficile, spesso durante la prima settimana le donne si sentono protette, ma al tempo stesso molto spaesate. Ognuna ha il suo tempo, l’importante è che sia accompagnata nel ritrovare l’autostima e supportata attraverso un progetto personale che passa attraverso la conquista della libertà mentale e dell’indipendenza”.
Nei centri antiviolenza e nelle case rifugio le utenti sono assistite anche nell’aspetto di formazione, con corsi di lingua italiana per le donne migranti e laboratori professionali. Nel caso di donne precedentemente già occupate si attiva la richiesta di congedo che l’Inps prevede per le vittime di violenza e se è possibile si valuta il trasferimento presso altra sede di lavoro.