Siccome siamo una Repubblica democratica fondata sul lavoro e antifascista per Costituzione, lo chiederemo sempre finché non verremo ascoltati: le organizzazioni che si richiamano al fascismo, come Forza Nuova, vanno sciolte”, diceva il segretario generale Maurizio Landini durante le conclusioni di Futura 2020 nel novembre scorso.

Un appello ripreso durante l’assemblea generale convocata d’urgenza il giorno successivo all’attacco alla sede confederale di sabato scorso, ribadito al premier Draghi in visita alla Confederazione lunedì scorso e fatto proprio da personaggi importanti della politica e della società civile.

Il Pd ha presentato, alla Camera e al Senato, una mozione per chiedere al governo di sciogliere l’organizzazione neofascista Forza Nuova e le altre formazioni che si richiamano al fascismo. Nella mozione, firmata da tutti i deputati dem, si impegna il governo “a dare seguito al dettato costituzionale in materia di divieto di riorganizzazione del disciolto partito fascista”. E si impegna l’esecutivo a dare seguito “alla conseguente normativa vigente adottando i provvedimenti di sua competenza per procedere allo scioglimento di Forza nuova e di tutti i movimenti politici di chiara ispirazione neofascista artefici di condotte punibili ai sensi delle leggi attuative della XII disposizione transitoria e finale della Costituzione repubblicana”.

La sindaca di Marzabotto, Valentina Cuppi, prima cittadina del paese dell’Appennino bolognese colpito dal grande eccidio nazifascista alla fine della Seconda Guerra Mondiale nonché presidente del Partito democratico, ha lanciato su Change.org una petizione per sciogliere organizzazioni e partiti neofascisti.

“I fatti di Roma - scriveva sul suo profilo facebook - sono solamente l’ultima goccia.  È ora di dire basta alla violenza squadrista e fascista. Un basta definitivo. È ora, come già richiesto dall’Anpi nell’appello “Mai più fascismi”, di sciogliere Forza Nuova, CasaPound, Lealtà Azione, Fiamma Tricolore e tutti i partiti e movimenti che si rifanno alle idee e alle pratiche del fascismo. È ora di sostenere le iniziative parlamentari finalizzate a bandire le organizzazioni neofasciste di estrema destra. È ora, insomma, di fare semplicemente questo: di applicare la Costituzione e la legge contro chi dalla legge è fuori da sempre”. 

Applicare la legge, sì, perché l’apologia del fascismo - lo ha giustamente ricordato Maurizio Landini domenica scorsa - nell’ordinamento giuridico italiano è un reato previsto dall’art. 4 della legge Scelba attuativa della XII disposizione transitoria e finale della Costituzione. Un appello, quello del segretario generale della Cgil, che fonda le sue radici in una lunga tradizione della Confederazione, antifascista ieri, oggi, sempre.

“Perché abbiamo combattuto contro i fascisti e i tedeschi? - diceva nell’aprile 1978 Luciano Lama nei terribili giorni del rapimento Moro - Perché abbiamo rischiato la vita, perduto, nelle montagne e nei crocevia delle nostre campagne, nelle piazze delle nostre città migliaia dei nostri compagni e fratelli, i migliori? Perché siamo insorti, con le armi, quando il nemico era più forte di noi? Noi abbiamo lottato allora per la giustizia e per la democrazia, per cambiare l’Italia, per renderla libera (…) Oggi, in un momento drammatico della nostra storia, guardiamo con grande preoccupazione al presente e ricordiamo con giusta fierezza, anche se senza trionfalismo, la lotta di trent’anni fa. (…) I giovani devono crescere con questi valori, e sapere che la nostra generazione, pur con tutti i suoi limiti ed errori, ha creduto in qualche cosa e continua a crederci ed è capace di sacrificarsi e continua a sacrificarsi per questi valori”.

Il 25 aprile del 1946, in occasione del primo anniversario della Liberazione, era Giuseppe Di Vittorio ad affermare: “Il popolo italiano ha celebrato il primo anniversario della conclusione vittoriosa dell’insurrezione nazionale, che costituisce una delle pagine più significative e gloriose della storia d’Italia. L’aspetto più saliente e nuovo della vittoria italiana del 25 aprile non è tanto nel fatto in sé della liberazione del nostro Paese dal feroce invasore tedesco e dai suoi tristi complici italiani, quanto nel fatto che questa memorabile vittoria è stata conseguita dagli stessi italiani, dalle masse profonde del nostro popolo”.

È soprattutto qui il motivo che fa del 25 aprile 1945 una data completamente differente da tutte le altre: perché la Liberazione, sempre a giudizio del leader sindacale, ha chiuso definitivamente una fase della storia d’Italia e ne ha aperta una nuova, della quale le masse popolari italiane sono l’autentico protagonista. 

“L’insurrezione vittoriosa di tutto il popolo dell’Italia del Nord - proseguiva Di Vittorio - realizzò la premessa essenziale della rinascita e del rinnovamento democratico e progressivo dell’Italia, come della sua piena indipendenza nazionale. È per noi motivo di grande soddisfazione ricordare che a questo movimento di riscossa nazionale, il contributo più forte e decisivo fu portato dai lavoratori italiani”.

“Chi può dire - si chiedeva il segretario generale della Cgil - se la clamorosa vittoria del 25 aprile sarebbe stata possibile, senza gli scioperi generali grandiosi che, dal marzo 1943, si susseguirono, a breve distanza, sino al 1945? Quegli scioperi, che contribuirono fortemente a paralizzare l’efficienza bellica del nemico e a sviluppare la resistenza armata, costituiscono un esempio unico e glorioso di lotta decisa dalla classe operaia sotto il terrore fascista, sotto l’occupazione nazista e in piena guerra”.

Un esempio “che additava il proletariato italiano all’ammirazione del mondo civile! I lavoratori italiani, manuali e intellettuali, non dimenticano. Essi hanno piena coscienza di essere stati il fattore determinante della liberazione dell’Italia, per opera degli italiani; della salvezza. Dell’onore dell’Italia e dell’attrezzatura industriale del Nord. Essi sono consapevoli dell’obbligo che si sono assunti di essere un pilastro basilare della nuova Italia democratica. Solidamente uniti nella grande Confederazione generale italiana del lavoro, i lavoratori italiani saranno all’altezza della loro funzione di forza coesiva dell’Italia rinnovata; della forza che assicurerà stabilità e ordinato progresso al nuovo regime democratico e che assicurerà al popolo italiano la libertà, il benessere e una più alta dignità civile e umana”.

“L’Italia finalmente si risveglia! - scriveva nel suo journal de guerre un giovanissimo Bruno Trentin nel novembre 1943 - Su tutta la superficie della penisola occupata dagli invasori tedeschi e dai loro degni sicari fascisti, il popolo italiano, quello del 1848, quello di Garibaldi e di Manin è in piedi e lotta (…) A partire da ora, i criminali di Matteotti, gli assassini di Amendola, di Rosselli e di tutte le migliaia di eroi che non hanno voluto piegarsi alla loro ignobile tirannia, cominciano a pagare il pesante tributo dei loro crimini (….)”.

E poco più avanti: “La guerra è aperta, oramai. Sorda, segreta, ma terribile. È lo spirito dei rivoluzionari che si facevano ammazzare nelle barricate ad animare oramai il popolo del Risorgimento. Dopo aver dormito vent’anni, questo popolo martire fa sentire all’immondo aguzzino in camicia nera tutte le terribili conseguenze del suo risveglio. È in piedi oramai. Lo si era creduto morto, servitore, vile e codardo, e invece è là!”.

E invece e là, oggi come ieri, con la consapevolezza di servire una causa grande, una causa giusta.  La causa della Resistenza, dell’antifascismo, della libertà. Una causa che non ha colore, non ha bandiera, non ha confini. Una causa da sempre sostenuta - anche a costo di enormi sacrifici - dalla Cgil. Ieri, oggi, sempre.