Il 29 agosto 1991 Cosa nostra uccide a Palermo Libero Grassi, imprenditore rifiutatosi di pagare il pizzo alla mafia. “Volevo avvertire il nostro ignoto estortore - scriveva Libero nel gennaio 1991 sul Giornale di Sicilia - di risparmiare le telefonate dal tono minaccioso e le spese per l’acquisto di micce, bombe e proiettili, in quanto non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto la protezione della polizia. Ho costruito questa fabbrica con le mie mani, lavoro da una vita e non intendo chiudere. Se paghiamo i 50 milioni, torneranno poi alla carica chiedendoci altri soldi, una retta mensile, saremo destinati a chiudere bottega in poco tempo. Per questo abbiamo detto no al ‘Geometra Anzalone’ e diremo no a tutti quelli come lui”.

È probabilmente la firma sulla propria condanna a morte. Il 29 agosto, nemmeno nove mesi dopo Libero esce di casa per andare al lavoro a piedi, come sempre. Ad attenderlo ci sono Salvino Madonia e Marco Favaloro del clan dei Madonia e l’imprenditore è freddato con quattro colpi alle spalle. Il giorno dopo la sua morte, uscirà sul Corriere della Sera un’altra sua lettera, questa volta più lunga e dettagliata, dove Grassi racconta tutte le vicende accadute in quel complicatissimo 1991.

Il 20 settembre Michele Santoro e Maurizio Costanzo organizzeranno una serata dedicata alla sua memoria a reti unificate. Ai suoi funerali parteciperà anche l’allora presidente della Repubblica Francesco Cossiga. Il figlio Davide, con in spalla la bara del padre, alzerà le dita al cielo in segno di vittoria.  Suo padre non era stato sconfitto. Qualche mese dopo la sua morte sarà infatti varato il decreto che porterà alla legge anti-racket 172, con l’istituzione di un fondo di solidarietà per le vittime di estorsione.

Pina Maisano - la moglie - nonostante minacce e intimidazioni, proseguirà fino alla morte la lotta per la legalità in nome del marito, da senatrice e in sostegno delle tante associazioni anti-racket sorte dal 1991 in Sicilia e nel resto d’Italia. A Libero verrà conferita la medaglia d’oro al valore civile con la seguente motivazione: “Imprenditore siciliano, consapevole del grave rischio cui si esponeva, sfidava la mafia denunciando pubblicamente richieste di estorsioni e collaborando con le competenti Autorità nell’individuazione dei malviventi. Per tale non comune coraggio e per il costante impegno nell’opporsi al criminale ricatto rimaneva vittima di un vile attentato. Splendido esempio di integrità morale e di elette virtù civiche, spinte sino all’estremo sacrificio”.

“Giovedì 12 settembre - scriveva Bruno Trentin sui suoi diari - ho partecipato ad una marcia silenziosa promossa dai sindacati a Palermo, con l’adesione, per la prima volta, delle associazioni imprenditoriali, per rilanciare la lotta di massa contro la mafia e un movimento di vigilanza popolare dopo l’assassinio di Libero Grassi. Mi è sembrato cogliere i segni di una ripresa, difficile, sofferta ma reale di un movimento capace di recuperare i vuoti e le discontinuità di questi ultimi anni. Il problema ora è quello di costruire dei momenti di continuità, delle tappe che diano il senso di una iniziativa propositiva e di una solidarietà in progresso. Se no la credibilità del sindacato rischia di essere compromessa per un lungo periodo e la mafia può incassare un nuovo successo politico”.

Bruno sarà di nuovo a Palermo pochi mesi dopo quando la mafia tornerà a colpire uccidendo Giovanni Falcone. Il 27 giugno 1992, una grande manifestazione unitaria (“Italia parte civile”) vede sfilare a Palermo oltre 100 mila persone contro la mafia e per la legalità. “Il potere mafioso deve essere isolato nelle coscienze - è la richiesta di Cgil, Cisl e Uil contenuta in un documento diffuso in quei giorni - indebolito nelle sue connivenze con i settori inquinati delle istituzioni, della pubblica amministrazione, dell’imprenditoria, dei partiti”. 

La partecipazione alla manifestazione è così massiccia che migliaia di persone non riescono neppure a raggiungere piazza Politeama, punto di confluenza dei cinque cortei, e si assiepano lungo le strade circostanti. L’afflusso ininterrotto di manifestanti prosegue anche dopo gli interventi dei segretari generali di Cgil, Cisl e Uil. “Un groppo in gola strozza la voce a Bruno Trentin -riporterà il giorno dopo l’Unità - a lui che da decenni grida sulle piazze i diritti dei lavoratori, quando evoca nel nome dell’amico scomparso un futuro riscatto: caro Giovanni, quel giorno verrà…”.  Quel giorno verrà, noi continuiamo ad esserne convinti.