“Il paese non c’è più, Amatrice non c’è più”, sono le prime parole del sindaco della cittadina laziale Sergio Pirozzi, raggiunto per primo dai microfoni di Radio Rai, poco dopo le 4 del mattino del 24 agosto 2016. “Vedo crolli dappertutto, siamo inermi, non abbiamo mezzi, c’è gente sotto le macerie”, gli fa eco con voce rotta il primo cittadino di Accumoli, Stefano Petrucci. “Non c’è più niente”, dice una donna tra le lacrime, “non ci sono più i bambini che giocavano, non ci sono più le loro strade, i prati dove li vedevo correre. Non c’è più niente”. 

Alle ore 3:36 una scossa di terremoto di magnitudo 6 aveva squassato il centro Italia coinvolgendo quattro regioni: Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria. 299 sono i morti (239 dei quali concentrati nel solo territorio di Amatrice), centinaia i feriti, migliaia gli sfollati. Amatrice, Accumoli, Arquata del Tronto sono l’epicentro di una immane tragedia. I vigili del fuoco scavano per ore ed ore consecutive, senza cercare riposo, senza stipendi degni.

“Qui è molto peggio dell’Aquila - racconta un soccorritore della Protezione civile - Non ho mai visto una distruzione come questa”. I funerali di Stato saranno celebrati in due diverse funzioni: il 27 agosto la cerimonia di commemorazione delle 50 vittime di Arquata e Pescara del Tronto, tre giorni più tardi, il 30 agosto, i funerali delle 249 vittime di Amatrice e Accumoli. Ad entrambe le funzioni prenderanno parte il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e le più alte cariche dello Stato.

Tra le bare, anche tante, troppe, piccole casse bianche. Fra queste quella di Giulia, che con il suo corpo è riuscita a salvare la sorellina, e Marisol, la cui mamma era riuscita a salvarsi dal terremoto de L’Aquila. 9 anni una, 18 mesi l’altra, vittime innocenti della devastazione. “Ciao piccola, scusa se siamo arrivati tardi, purtroppo avevi smesso di respirare. Ma voglio che tu sappia da lassù che abbiamo fatto tutto il possibile per tirarti fuori di lì. Ciao Giulia, anche se non mi hai conosciuto ti voglio bene. Andrea”, recita la lettera deposta sulla bara da un vigile del fuoco. Il più piccolo di tutti si chiamava Stefano Tuccio e aveva 8 mesi. Viveva nella casa accanto alla Chiesa di Accumoli il cui campanile si era abbattuto sulla sua abitazione distruggendola insieme all’intera famiglia.

“Quando muoiono i bambini la vita si ferma davvero”, dice qualcuno.  Eppure vita e morte si intrecciano, dolore e speranza, piccoli miracoli ed enormi tragedie. “Coraggio, siamo con voi. Non abbiate timore, non vi abbandoniamo”, dichiara il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ad Amatrice, confortando i familiari delle vittime al termine dei funerali.  “Il paese lo ricostruiamo, pezzo per pezzo, ma lo ricostruiamo”, afferma quel giorno il premier Matteo Renzi.

Una promessa purtroppo non mantenuta e, a 5 anni dal sisma, si attende ancora la ricostruzione. “I cantieri e le gru ci sono - scriveva lo scorso anno Fabrizio Colarieti - i lavori vanno avanti, ma percorrendo le strade di montagna che attraversano il territorio colpito dalla scossa del 24 agosto 2016, e dalle migliaia che ne seguirono, si è ancora costretti a fare i conti con una ferita non rimarginata. Anche se non c'è più il grosso delle macerie, alcune frazioni, ormai disabitate, sono rimaste tali e quali. Come se il tempo si fosse fermato quella notte, a memoria del dolore e della vastità del danno inferto dal terremoto alle comunità dell'Alto Velino. Un processo lento, quello della ricostruzione, che sembra ripercorrere una storia già vissuta, a poca distanza dal Reatino, al di là delle montagne di confine, a L’Aquila”.

“Non deve ripetersi quello che è avvenuto nel Belice - diceva nel novembre del 1980 l’allora presidente della Repubblica Sandro Pertini - Io ricordo che sono andato in visita in Sicilia. Ed a Palermo venne il parroco di Santa Ninfa con i suoi concittadini a lamentare questo: che a distanza di 13 anni nel Belice non sono state ancora costruite le case promesse. I terremotati vivono ancora in baracche: eppure allora fu stanziato il denaro necessario. Le somme necessarie furono stanziate. Mi chiedo: dove è andato a finire questo denaro? Chi è che ha speculato su questa disgrazia del Belice? E se vi è qualcuno che ha speculato, io chiedo: costui è in carcere, come dovrebbe essere in carcere? Perché l’infamia maggiore, per me, è quella di speculare sulle disgrazie altrui. Quindi, non si ripeta, per carità, quanto è avvenuto nel Belice, perché sarebbe un affronto non solo alle vittime di questo disastro sismico, ma sarebbe un’offesa che toccherebbe la coscienza di tutti gli italiani, della nazione intera e della mia prima di tutto”.

“Non deve ripetersi quello che è avvenuto nel Belice”.  Quante volte ancora saremo costretti a ripeterlo?