Bruno Buozzi nasce a Pontelagoscuro, provincia di Ferrara, il 31 gennaio 1881. Aderisce nel 1905 al sindacato degli operai metallurgici e al Partito socialista italiano, militando nella frazione riformista di Turati che proprio in casa sua, nel 1932, si spegnerà. Così Buozzi lo ricordava così sulle pagine de L’operaio italiano: “Filippo Turati più che un capo politico deve essere considerato un altissimo maestro di vita e di morale. Grande cuore, non sapeva odiare. Contro lo stesso fascismo più che odio nutriva ripugnanza e disprezzo. Amava i giovani e in esilio era costantemente preoccupato che il movimento antifascista non ne avesse abbastanza”.

“Mio padre - ricorderà anni dopo la figlia Iole Buozzi Martinet - era un socialista riformista, era grande ammiratore e amico di Turati. Più tardi anzi a Parigi Turati venne a vivere con noi. Io lo ricordo come un nonno dolcissimo, facile a commuoversi, mi aiutava a fare i compiti, giocava con noi. A Parigi la comunità italiana era molto legata: vedevamo spesso la famiglia Nitti, i Rosselli, Modigliani, la famiglia Saragat. La moglie di Saragat mi cucì l’ abito da sposa. Una volta venne anche Pertini, è stato proprio lui a ricordarmelo quando ci siamo rivisti qui a Roma”.

“Aveva un carattere molto calmo - prosegue Iole - cercava di creare in casa un clima sereno, disteso. Con noi era un padre adorabile, molto affettuoso. Malgrado questo i miei primi ricordi della nostra vita famigliare sono dei ricordi di paura: lui che torna a casa, una sera, e ha il viso e le mani insanguinate. Era stato a una riunione sindacale, non rammento bene la data, ma sarà forse stato il 1920, o il ’21, gli anni dei primi assalti fascisti alle camere del lavoro: i fascisti avevano appunto fatto un’incursione e l’avevano picchiato duramente” .

Nel 1920 Buozzi è tra i promotori del movimento per l’occupazione delle fabbriche. Più volte eletto deputato socialista prima della presa del potere da parte del fascismo, nel 1926 espatria in Francia (è fra i pochissimi sindacalisti che Mussolini corteggia, ma rifiuterà con convinzione ogni coinvolgimento con il nuovo regime).

Qui apprende la notizia della decisione da parte del vecchio gruppo dirigente della Cgdl di proclamare l’autoscioglimento dell’organizzazione. Contro tale decisione ne decreta la ricostituzione a Parigi. Nel 1940 alla vigilia dell’occupazione tedesca di Parigi, si trasferisce a Tours nella cosiddetta "Francia Libera". Nel febbraio del 1941 torna nella capitale francese, spinto dal desiderio di far visita alla figlia partoriente.

Il 1º marzo del 1941 viene arrestato dai tedeschi su richiesta delle autorità italiane e rinchiuso nel carcere de La Santé, dove ritrova Giuseppe Di Vittorio insieme al quale è trasferito in Germania e, di qui, in Italia. Il regime fascista lo assegna al confino a Montefalco in provincia di Perugia, dove rimarrà per due anni. Dopo il rovesciamento di Mussolini del 25 luglio 1943, sarà liberato il 30 luglio ed insediato dal governo Badoglio al vertice della organizzazione dei lavoratori dell’industria.

Dopo gli scioperi di Torino è lui a siglare con gli industriali un importante accordo interconfederale per il ripristino delle Commissioni interne. L’accordo (il cosiddetto patto Buozzi-Mazzini) reintroduce nel campo delle relazioni industriali l’organo di rappresentanza unitaria di tutti i lavoratori, impiegati e operai nelle aziende con almeno 20 dipendenti, attribuendogli anche poteri di contrattazione collettiva a livello aziendale.

Attivo nel tentativo di contrastare l’ingresso dei tedeschi a Roma a Porta San Paolo, Buozzi entra in clandestinità durante l’occupazione della Capitale col falso nome di Mario Alberti. Qui, il 13 aprile 1944, viene arrestato. Sarà ucciso poco meno di due mesi più tardi.