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Pnrr

Scuole e licei, quale futuro

Proteste di studenti e professori con lezioni in piazza e presid © Marco Merlini Roma, 11 gennaio 2021 Giornata di mobilitazione per la scuola in presenza con varie iniziative in tutta Italia
Foto: Marco Merlini
D.O.
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Le valutazioni della Cgil sul Piano nazionale di ripresa e resilienza. Il mondo dell'istruzione nel Recovery Plan

Sono molte le misure della Missione 4 (Istruzione e ricerca) del Piano nazionale di ripresa e resilienza del governo che riguardano il mondo della scuola. La Cgil, nelle sue Valutazioni del Pnrr, le analizza e commenta, rilvando che il Piano prevede un intervento straordinario finalizzato alla riduzione dei divari territoriali nei cicli I e II della scuola secondaria di secondo grado. “L’obiettivo – osserva la Cgil – è misurare e monitorare i divari territoriali” per attivare “azioni mirate” a ridurli relativamente “alle competenze di base (italiano, matematica e inglese), oggi inferiori alla media Ocse, in particolare nel Mezzogiorno, e per sviluppare una strategia per contrastare in modo strutturale l’abbandono scolastico”. La Cgil ricorda infatti che il nostro Paese ha un tasso di dispersione e abbandono tra i più alti, “quindi assumere l’obiettivo di ridurli e collocare delle risorse in questa direzione (1,5 miliardi esattamente quanto stanziato per gli Its)” è “importante”. Per la confederazione, però, non è “comprensibile l’uso diffuso a tappeto dei test Invalsi, peraltro già obbligatori, mentre possono essere a campione e che in ogni caso non sono indispensabili per sapere dove occorre intervenire prioritariamente”. Non sarà poi di particolare efficacia l’invio, previsto dal Pnrr, “di figure di mentori, di tutor né di esperti per l’ampliamento del tempo scuola: sarebbero figure, giustificatamente, poco integrate nelle comunità educanti destinatarie”.

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Sugli interventi di orientamento e ampliamento della sperimentazione dei licei e tecnici quadriennali, la valutazione è buona: “È sicuramente una misura positiva da implementare ed estendere a partire almeno dalla scuola secondaria di primo grado. Incomprensibile invece – osserva la Cgil – la ragione di portare da 100 a 1000 le classi sperimentali quadriennali nei licei e nei tecnici. È una scelta che riduce e comprime la formazione quando il Paese dovrebbe semmai portare l’obbligo a 18 anni, come incominciano a fare i Paesi più avanzati”.

“È importante che due ormai storiche battaglie della nostra organizzazione – prosegue la Cgil -, e cioè la riduzione del numero degli alunni per classe e la revisione dei criteri del dimensionamento scolastico, abbiano trovato posto nel Piano. Vero è che, contrariamente ad altre voci, non si trovano poste finanziarie corrispondenti. A maggior ragione, pertanto, dovrà necessariamente seguire un confronto incalzante con i poteri decisionali affinché tali propositi non rimangano sulla carta”.

Luci e ombre, invece, nel capitolo su istituti tecnici superiori e riforma degli istituti tecnici e professionali. Per la Cgil “la misura del Pnrr sugli Its (1,5 miliardi) appare, da un lato, non condivisibile per il modello proposto in quanto scollegato dal sistema di istruzione e ricerca e, dall’altro, molto debole in quanto non affronta in alcun modo l’autoreferenzialità delle Regioni e delle Fondazioni, soprattutto dove vi è un sistema produttivo forte”. A parere della Cgil “l'istruzione tecnica superiore può essere uno dei fattori abilitanti delle politiche di sviluppo e può accrescere il livello di coesione e cooperazione territoriale solo se inserita in un sistema di politiche industriali selettive per il riposizionamento delle specializzazioni produttive”. Per questo motivo “gli interventi sugli Its e in generale sulla formazione tecnica superiore dovrebbero essere caratterizzati dai seguenti elementi distintivi – evidenzia la Cgil –: rafforzamento della governance pubblica, dimensione nazionale del sistema Its, integrazione dell’offerta formativa con centralità alla sinergia con l’Università e gli Enti di ricerca, disponibilità di risorse finanziarie stabili e adeguate a partire da quelle nazionali con contestuale superamento dell’attuale sistema di premialità”.

Quanto proposto sulla riforma dei tecnici e professionali, invece, “va ancora una volta in direzione della frammentazione regionale, inseguendo i bisogni territoriali di manodopera specializzata delle imprese”. Per il sindacato sarebbe invece “necessaria una riforma finalizzata ad armonizzare a livello nazionale i programmi di formazione degli istituti tecnici e professionali valorizzando le competenze professionalizzanti generali, in modo da consentire il raggiungimento di abilità adeguate a rispondere alle diverse esigenze del mondo della produzione”.