Al Piano nazionale di ripresa e resilienza manca "un disegno complessivo del Paese", un progetto che ne delinei con chiarezza il "futuro produttivo, economico, sociale". Gli investimenti, del resto, "hanno senso se sono a supporto di una visione del futuro. Altrimenti sono un elenco di opere". È l'opinione di Stefano Malorgio, segretario generale della Filt Cgil, il sindacato dei trasporti, al quale Collettiva ha chiesto un giudizio sul Pnrr che, sfruttando i finanziamenti europei, è chiamato a risollevare l'Italia dopo la pandemia. "C'è poi un altro tema", aggiunge Malorgio.

Quale?

Un tema di metodo: un piano così ambizioso deve essere discusso con le parti sociali, e questo al momento non è stato fatto. Non si può immaginare che investimenti e riforme di questa portata si gestiscano in un quadro di esclusione, se non di conflitto, con la rappresentanza del lavoro. Ma, anche qui: non basta essere convocati a un tavolo, occorre monitorare gli effettivi risultati. In particolare il rapporto tra investimenti in quantità e qualità del lavoro.

Il Piano è all'altezza della sfida post-Covid?

Durante questo anno di pandemia si è spesso detto che questa avrebbe accelerato un cambiamento nel modello di sviluppo. Questo nel Pnrr si ritrova fino a un certo punto: se da una parte ci sono molti investimenti verdi, positivi, dall’altra rimane una impostazione di politica economica forse non in grado di affrontare le debolezze emerse nella fase di gestione dell'emergenza sanitaria. Sembra invece prevalere una impostazione liberista nei confronti del lavoro ma meno liberista quando si tratta di consentire il rafforzamento di monopoli. In più ci sono riferimenti a una politica europea che non tiene conto del cambio di passo segnato quest’anno proprio dalla Ue in una situazione di emergenza, con la sospensione del patto di stabilità e delle regole fiscali.

Ci sono molte sezioni che riguardano gli investimenti nei trasporti, dal capitolo sulle infrastrutture ai fondi green, ad alcune riforme che interessano il settore. Qual è il vostro giudizio in merito? 

Innanzitutto, bisogna dire che il Pnrr è in linea con il Piano Italia veloce e finanzia investimenti che erano stati già decisi. Speriamo che questo possa dare nuovo impulso alla realizzazione di alcune opere fondamentali, senza legarle troppo a delle condizionalità che prima non c’erano. Ci pare permanga un punto di squilibrio sul sistema della mobilità regionale, secondaria e urbana, al netto dell’investimento sui nuovi mezzi pur importanti. Poco sul settore della logistica e dell’intermodalità, in particolare nella visione di un settore strategico per il futuro del Paese. Poco sulla logistica delle città, nonostante l’imponente sviluppo del e-commerce imponga di immaginare come saranno le città di domani sul piano della distribuzione delle merci. Per quanto riguarda gli investimenti infrastrutturali, nel rapporto tra Nord e Sud del Paese, permane una differenza importante con regioni, come la Sardegna, quasi completamente assenti. Anche qui però, se non si ragiona di quale ruolo deve avere il Sud nello sviluppo del Paese, diventa difficile ragionare di quali infrastrutture sono necessarie. A fare cosa?

Queste criticità non vengono affrontate dalle riforme presenti nel Piano?

No. Anzi, le riforme sono il vero problema del Pnrr. Riguardo alla 'competitività' ad esempio, da dove parte l'Italia rispetto agli altri in Europa? Quanto 'regolare' (e relegare) il ruolo dello Stato ai mercati e non viceversa? La bassa crescita del nostro Paese è davvero semplicemente riconducibile a un problema di poca concorrenza o anche di domanda scarsa, generata negli anni da altissimi livelli di disoccupazione, di povertà e politiche che hanno compresso la spesa pubblica? Nei trasporti e nella logistica ragioni di contendibilità e concorrenza, in un Paese come l’Italia nel quale mancano soggetti industriali che per dimensioni e capitale siano in grado di essere competitivi, rischiano di consegnare il valore aggiunto delle infrastrutture a grandi aziende multinazionali. Questo significa che non ci sarà proporzionalità fra investimenti, qualità del lavoro e qualità del rapporto con il territorio. E’ semplicemente inaccettabile. In questo senso colpisce soprattutto ciò che nelle riforme del Pnrr manca.

Di cosa abbiamo bisogno?

Di accompagnare gli investimenti con una politica industriale che punti a costruire player nazionali nei settori strategici dei trasporti e della logistica, di un assetto normativo che produca qualità del lavoro, a partire dall’applicazione dei contratti nazionali delle organizzazioni più rappresentative. Abbiamo bisogno di ridurre la precarietà e di aumentare i salari, e di un coordinamento tra le istituzioni che eviti una “colonizzazione” del territorio senza governo.