Il 9 maggio 1978 l’Italia assisteva attonita a due tragedie che avrebbero cambiato, nel breve e nel lungo periodo, la storia del nostro Paese: il ritrovamento del corpo senza vita di Aldo Moro e l’uccisione del giornalista Peppino Impastato per mano della mafia.

I 55 giorni iniziati in via Fani termineranno nel peggiore dei modi e il cadavere di Aldo Moro sarà fatto rinvenire dalle Br in via Caetani, all’interno di una Renault rossa. La tristemente nota immagine del ritrovamento del corpo (è probabilmente la fotografia che ha avuto il maggior numero di riproduzioni nel mondo) è di Rolando Fava, uno dei fotografi storici dell’Ansa. Racconterà lui stesso anni dopo:

Alle 13 ero in piazza Venezia, libero da impegni professionali, e mi accingevo a tornare a casa. C’era un traffico eccezionale. Mi informai su cosa stesse succedendo: era stata segnalata in via Caetani un’auto con una bomba … La strada era stata subito chiusa da entrambi i lati dalle forze dell’ordine. In realtà, c’era già stata la rivendicazione delle Br e a Via Caetani erano arrivati Cossiga, Colombo, Gonella. Mi colpì subito il silenzio irreale. Ma io non avevo alcuna idea che potesse trattarsi di Moro, quando entrai in Palazzo Caetani (e ho potuto farlo solo passando da una entrata secondaria che conoscevo, sul retro) e ho chiesto al portiere il favore di affacciarmi da una finestrella un metro per un metro del suo appartamento, al piano rialzato. Da lì ho scattato le immagini degli artificieri che aprivano prima il cofano anteriore, poi il portabagagli. Solo allora qualcuno ha levato la coperta e ho visto Aldo Moro in quella posizione un po’ innaturale, credevo ancora che fosse drogato, che dormisse… ma è stato per poco, subito la strada si è riempita del dolore di tutti.

La reazione popolare è immediata: scioperi e manifestazioni si susseguono nelle principali città italiane. Nelle grandi fabbriche gli operai decidono di sospendere autonomamente il lavoro per due ore, mentre per il giorno dopo la Federazione unitaria e la Flm proclamano lo sciopero generale, il blocco immediato delle aziende e il presidio per tutta la notte delle fabbriche fino alla ripresa del lavoro l’indomani mattina.

Così, dallo stesso palco di Piazza San Giovanni a Roma dal quale aveva parlato il giorno del rapimento, dirà il 10 maggio Luciano Lama: “Anche oggi, come il 16 marzo, Roma è qui in questa piazza per esprimere alla famiglia Moro e alla Democrazia cristiana la solidarietà dei lavoratori e per ribadire con fermezza incrollabile la volontà del nostro popolo di difendere lo Stato democratico, le nostre libertà”.

Mentre l’Italia è sotto shock per il ritrovamento a Roma del cadavere di Aldo Moro, a Cinisi - piccolo paesino della Sicilia affacciato sul mare a 30 chilometri da Palermo - muore dilaniato da una violenta esplosione il giornalista Peppino Impastato. Stampa, forze dell’ordine e magistratura considerano in un primo momento la sua morte conseguenza di un atto terroristico suicida.

“I ricordi di quel periodo sono terribili - racconterà Giovanni Impastato, fratello di Peppino - È stato anche il giorno della morte di Aldo Moro. Per noi è stato un fulmine a ciel sereno, non ce l’aspettavamo. Ricordo che siamo anche stati trattati male dagli investigatori, che hanno perquisito le nostre abitazioni. Ci hanno preso per dei terroristi. Verso di noi sono stati brutali”.

Contemporaneamente, però, comincia a delinearsi un’altra storia e la matrice mafiosa del delitto viene individuata anche grazie all’attività di Giovanni e di Felicia Bartolotta che rompono pubblicamente con la parentela mafiosa e rendono possibile la riapertura dell’inchiesta giudiziaria. Le indagini si concluderanno solo nel 2002, con la condanna all’ergastolo di Tano Badalamenti, poi deceduto nel 2004. “È il primo compleanno che vivo con la pace nel cuore”, dirà il 24 maggio 2002 mamma Felicia, prima donna in Italia a costituirsi parte civile in un processo di mafia, festeggiando il suo 86° compleanno.

Scriverà la giornalista de l’Unità Sandra Amurri: “È ancora viva nella memoria dei cronisti che hanno assistito al processo, quella piccola donna, che gli anni hanno reso curva, vestita di nero, mentre saliva sul pretorio accompagnata dagli avvocati per rendere la sua coraggiosa testimonianza. Don Tano la osservava, muto, in video conferenza, mentre se ne stava seduto in una stanza del carcere americano”.

Il magistrato Franca Imbergamo ricorderà così quel momento: “Era un momento storico perché abbiamo assistito al riconoscimento da parte di una madre coraggio e alla capacità delle istituzioni di darle una risposta. Era commovente ed emozionante perché Felicia portava con sé il dolore più grande per una donna, quello di vedere ucciso un figlio. E poi c’era in collegamento dagli Stati Uniti, in video, Gaetano Badalamenti, che la osservava. Abbiamo scritto secondo me una pagina di storia, della storia della lotta alla mafia”. Ma il 10 maggio, il giorno del funerale, Peppino è solo.

“Eravamo più di mille persone - racconterà Umberto Santino - ma (…) di Cinisi e Terrasini c’erano pochissime persone. Non c’era una comunità che si appropriava del proprio eroe, non c’erano nemmeno le scuole. Non c’era niente di istituzionalizzato, come del resto non c’è alle iniziative che facciamo adesso”. Non c’erano le istituzioni, impegnate a Roma nell'organizzazione di un altro funerale. Il 13 maggio 1978 si tengono i funerali solenni di Aldo Moro, officiati dal cardinale vicario di Roma Ugo Poletti nella basilica di San Giovanni in Laterano, alla presenza del pontefice Paolo VI che, rompendo un protocollo plurisecolare, eccezionalmente accetta di presenziare a una messa in suffragio fuori dalle mura vaticane.

Dirà nel 1996 lo storico Piero Craveri : “L’intensità religiosa e umana della figura del pontefice faceva da singolare contrasto con l’immagine anonima del pubblico illustre che occupava la navata della Chiesa. Poteva ben dirsi che lì, in un momento così drammatico e significativo, la Repubblica era scomparsa, senza più immagine e parola (…)”.

Alle esequie partecipano autorità istituzionali e uomini politici, ma manca la famiglia e, soprattutto, manca Aldo Moro, quello stesso Moro che in una lettera a Benigno Zaccagnini scriveva il 24 aprile 1978: “per una evidente incompatibilità, chiedo che ai miei funerali non partecipino né autorità dello Stato né uomini di partito. Chiedo di essere seguito dai pochi che mi hanno veramente voluto bene e sono degni perciò di accompagnarmi con la loro preghiera e con il loro amore”.

Assecondando le volontà del defunto, i funerali si erano già tenuti a Torrita Tiberina (piccolo borgo alle porte di Roma) in gran segreto il 10 maggio, con la semplice bara portata a spalla al cimitero dai familiari sotto la pioggia battente, dopo una breve e commovente funzione celebrata dal parroco locale nella chiesa di San Tommaso. Curiosamente sempre al fotografo Rolando Fava toccherà l’esclusiva dei funerali a Torrita Tiberina: in vista dei funerali, che non erano stati fissati, si era recato al cimitero di Torrita per un sopralluogo, racconterà in seguito. Ma le liturgie non sono finite ed il 16 maggio la famiglia Moro promuove la celebrazione a Roma di una messa presso la basilica del Sacro Cuore di Cristo Re.

Questa volta è la moglie Eleonora a parlare: “Per i mandanti, gli esecutori e i fiancheggiatori di questo orribile delitto - dirà - per quelli che per gelosia, per viltà, per paura, per stupidità hanno ratificato la condanna a morte di un innocente; per me e i miei figli perché il senso di disperazione e di rabbia che ora proviamo si tramuti in lacrime di perdono, preghiamo”.

Con la legge numero 56 del 2007, la giornata del 9 maggio è stata dedicata a “tutte le vittime del terrorismo, interno e internazionale, e delle stragi di tale matrice”. “Questo giorno - diceva il 9 maggio 2018 il presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione del 40° anniversario della morte di Aldo Moro e Peppino Impastato - vuol essere segno autentico di una comunità che ricorda gli eventi, lieti o dolorosi, che ne hanno attraversato la vita, che sa guardare al futuro proprio perché capace di collegarsi alle proprie radici e di condividere, attraverso momenti difficili e anche dolorosi, un’ideale di persona e di giustizia”.

“Abbiamo appreso - proseguiva il presidente pronunciando parole di un’attualità disarmante - che ci sono momenti in cui l’unità nazionale deve prevalere sulle legittime differenze (…) Anche in questa stagione, la democrazia può e deve difendersi senza rinunciare ai propri valori, alla propria civiltà, all’idea di persona che si fonda sui diritti inviolabili (…) saremo ancora più forti se saremo capaci di far crescere la consapevolezza comune, e di assumerci la responsabilità (…) di favorire la pace e di costruire un equilibrio migliore nel pianeta. Far memoria è parte di questa preziosa opera costruttiva”.