Dal 5 all’8 maggio 1977 si tiene ad Ariccia il X Congresso nazionale della Federbraccianti. Donatella Turtura viene eletta segretaria generale della Federazione, la prima donna a guidare l’organizzazione facendo propria un’eredità importante, quella di Argentina Altobelli, fondatrice della Federazione nazionale lavoratori della terra e membro del Consiglio direttivo della CGdL fin dalla fondazione.

Prima donna nella lunga storia del sindacato a entrare a far parte nel 1980 della segreteria nazionale della Cgil, l’intensa stagione politica e sindacale di Donatella si intreccia con una parte importante della storia italiana del dopoguerra: è a capo dell’Ufficio lavoratrici negli anni del boom economico, segretaria generale della Federbraccianti nella complessa fase del processo unitario, segretaria confederale nel difficile tornante rappresentato dagli anni Ottanta, segretaria generale aggiunta della Filt in un momento cruciale per il sindacalismo confederale posto di fronte alla sfida dei sindacati autonomi, quando a Genova si confrontava senza timidezze con i camalli inferociti.

Tornata nella Cgil nazionale si occuperà della lotta alla criminalità. Il 21 aprile 1992 la Confederazione la designerà, infatti, a rappresentarla nel Consiglio nazionale dell’economia del lavoro dove coordinerà l’Osservatorio socioeconomico sulla criminalità.

A indirizzare la sua vita saranno - racconterà lei stessa - “nel terribile inverno 1944-45” le parole pace e giustizia “scritte malamente con la calce” su una saracinesca di un negozio di via Santo a Bologna. Prole che cercherà sempre di tradurre in azione prima nel Partito (“Il partito - racconterà a a Guido Gerosa nel 1979 - ci mandava nelle risaie, nelle fabbriche, a diffondere i giornali, a parlare con le donne, a discutere, soprattutto ad ascoltare ... Noi studentelli andavamo a conoscere il mondo del lavoro, (…) a imparare dal movimento”), poi nel Sindacato.

Recita un bel ricordo di Giuseppe Colasante, già segretario regionale della Federbraccianti campana:

Si chiamava Donata Turtura, per tutti era Donatella, portava delle lenti assai spesse che deturpavano la bellezza dei suoi occhi celesti, non si curava molto di come si vestiva, non usava truccarsi e anche dal parrucchiere non andava molto spesso. Era emiliana ma io la conobbi negli uffici del Sindacato dove lavorava, la sede della Federbraccianti Cgil  (…) La sua conoscenza più vera la feci a Salerno, quando venne nella mia provincia per seguire le vicende di una lotta molto impegnativa per il rinnovo del contratto di lavoro dei braccianti e salariati agricoli. L’impressione che fosse una donna algida fu subito fugata, ebbi modo di scoprire la sua umanità, il suo calore umano (…) Era una comunista, una “rivoluzionaria professionale”, come si definivano i funzionari del Partito (…) Io ed altri compagni andavamo nella Piana del Sele, a Eboli, a Battipaglia, alle quattro del mattino, per parlare con le lavoratrici che provenivano dai comuni collinari, per convincerle ad aderire allo sciopero in corso. Era difficile convincerle, poche volte ci riuscivamo. Erano sottopagate dai caporali che le trasportavano nella piana con pulmini sgangherati e le facevano lavorare fino a dopo che era calato il sole. Tornavano nelle loro case a sera tardi, spossate dal troppo lavoro della giornata. Inutilmente provai a convincere Donatella a restarsene nell’albergo in cui alloggiava, volevo risparmiarle la levataccia mattutina, non mi sembrava che fosse necessario, ma lei non mi consentiva di finire il mio ragionamento, con voce calma ma ferma mi interrompeva dicendo: “Domattina alle 3.30 io sono pronta, vieni a prendermi in albergo con la tua auto e andremo”. Nel corso del viaggio si parlava di tutto, non solo di come procedeva la lotta per il rinnovo del contratto, si parlava di Feliciano Rossitto, che era il segretario generale della Federbraccianti o ricordavamo la figura di prestigiosi dirigenti del movimento sindacale e del compagno Giuseppe Di Vittorio che era, ovviamente, quello più citato.

Proprio nella terra di Giuseppe Di Vittorio, il 19 maggio 1980, sulla superstrada Taranto-Brindisi nei pressi di Grottaglie, un pulmino che trasporta 16 braccianti agricole - reclutate per la raccolta delle fragole al di fuori del Collocamento tramite il caporale - viene coinvolto in un terribile incidente.

Moriranno in tre, su 16 - forse anche di più - passeggere, stipate in un furgone omologato per 9 posti: Lucia Altavilla di 17 anni, Pompea Argentiero di 16 anni e Donata Lombardi di 23 anni. Tutte e tre di Ceglie Messapica. La preparazione della manifestazione sindacale organizzata in risposta a quelle tragiche morti sarà ripetutamente disturbata dalle provocazioni dei caporali.

Il giorno successivo all’incidente Donatella Turtura farà visita alle tre famiglie delle lavoratrici. “Le parole di cordoglio perdono ogni senso - dirà in Piazza Plebiscito a conclusione del comizio - E’ da anni che i lavoratori agricoli si battono per il potenziamento del collocamento ma i ministri del lavoro hanno sempre deliberatamente ignorato il problema”.

Pompea, Lucia e Donata partivano alle 4 del mattino e rientravano tra le 18 e 19 della sera, rimanevano fuori di casa ogni giorno anche 14-15 ore. Guadagnavano da 6-8mila lire a fronte di una paga sindacale di 27mila lire.

Una storia tristemente simile a quella di Paola Clemente, vittima di una tragedia consumatasi esattamente 35 anni dopo. “Andava via di casa alle 2 di notte - raccontava pochi giorni dopo la sua morte il marito Stefano Arcuri - Prendeva l’autobus alle 3. Ai campi, ad Andria, da San Giorgio Jonico, arrivava intorno alle 5.30. Noi a casa la rivedevamo non prima delle 3 del pomeriggio, in alcuni casi anche alle 6. Guadagnava 27 euro al giorno. Poco. Ma per noi quei soldi erano importanti, erano soldi sicuri, assolutamente indispensabili”.

Pompea, Lucia, Donata e Paola sono morte di fatica, di necessità, di lavoro, purtroppo. Non sono state le prime. Non sono state e non saranno neanche le ultime come le tristissime vicende di questi giorni ci hanno dimostrato. “Non è accettabile quello che sta succedendo”, lo diceva anni fa Donatella Turtura, lo ha ribadito in questi giorni Maurizio Landini, lo gridiamo tutti e tutte noi. E continueremo a gridarlo, a ribadirlo, a ripeterlo.

Perché sul lavoro si muore come 50 anni fa. Perché purtroppo la regola del tre (tre persone al giorno) continua a mietere vittime e tutto questo era ed è inaccettabile. “Si noti - tuonava Giuseppe Di Vittorio all’indomani dell’eccidio di Modena del gennaio 1950 - che tutti questi lavoratori sono stati uccisi unicamente perché chiedevano di lavorare, gli uni sulla terra incolta, gli altri nella fabbrica serrata (…). I lavoratori sono stanchi di piangere i loro morti e non sono affatto disposti a lasciar soffocare nel sangue i loro bisogni di lavoro o di vita”. Ieri, oggi, con la speranza di non doverlo ripetere domani.