Lella Palladino è sociologa femminista, attivista dei centri antiviolenza. Ha fondato nel 1999 la Cooperativa sociale E.V.A. che gestisce in Campania centri antiviolenza e case rifugio. È stata presidente dell’associazione D.i.Re, donne in rete contro la violenza, è componente del Forum Disuguaglianze Diversità. Ha preso parte in qualità di componente nominata del tavolo tecnico istituito presso la presidenza del Consiglio dei ministri-Dipartimento per le Pari opportunità, ai lavori del Piano strategico nazionale sulla violenza maschile contro le donne 2017-2020. Il sapere accumulato negli anni le serve per costruire, insieme ad altre donne, un destino diverso per quante vittime di violenza e illegalità. La chiave? Il lavoro e un'idea diversa di economia.

Tra le attività fondamentali di Casa Lorena c’è la produzione di “Ghiottonerie”, marmellate e piccola pasticceria, catering con prodotti del territorio. Due allora sembrano essere i pilastri su cui si fonda l’attività della Cooperativa Eva che gestisce la Casa e il laboratorio, oltre ovviamente a dare rifugio alle donne scampate e scappate dalla violenza, lavoro e legalità

All’interno del bene confiscato alla camorra promuoviamo una cultura alternativa e sostenibile attraverso il lavoro stabile e legale. Sul nostro territorio lavoro regolare e non precario non è affatto scontato. Legalità è anche dare dignità al lavoro, renderlo stabile, riconoscerlo valorizzandolo. Questa è una questione fondamentale, il lavoro non è scontato in nessuna parte di Italia, soprattutto per le donne, ma qui da noi lo è ancora meno e allora la creazione di lavoro regolare è un punto che fa differenza, come fa differenza l’uso che noi facciamo del bene confiscato mettendolo a profitto. Un profitto che, ovviamente, è anche economico ma non solo economico. Occupare, utilizzare un bene sottratto al clan dei casalesi significa promuovere una cultura alternativa alle mafie che quindi è attenta alla sostenibilità economica oltre che ambientale, al rispetto e alla valorizzazione del lavoro.

Perché nel contrasto alla violenza nei confronti delle donne il tema della legalità è così importante?

Per uscire dalla violenza è necessario riconoscere che si è immersi in una situazione che è fuori legge. Una delle “fatiche” che facciamo è far percepire alle donne che quello che hanno subito non è solo una prevaricazione ma è un reato. Questo vale sia per la privazione della libertà e della coercizione psicologica, ma anche per la violenza sessuale di cui spesso le donne non sono consapevoli. Insomma tutto quello che la legge ha rubricato come reato, ma che non viene percepito come tale dalle vittime. Capire che, ovviamente nel rispetto dei tempi di ciascuna, arrivare a denunciare è fondamentale. Tanto più in un territorio così omertoso, così chiuso e diffidente rispetto alle istituzioni. A Benevento, ad esempio, abbiamo aperto uno sportello all’interno della Procura perché pensiamo che i centri antiviolenza debbano fare da ponte tra le donne e le istituzioni. Bisogna rafforzare la fiducia verso la giustizia proprio per quel nesso che richiamavi tra uscita dalla violenza maschile e legalità. Ricostruire la fiducia nella giustizia attraverso la mediazione di parte, di cui noi ci facciamo, carico è più facile.

Nelle vostre case accogliete anche vittime di tratta, e dietro la tratta c’è la criminalità organizzata, italiana e straniera.

La criminalità organizzata che gestisce la tratta delle donne è transnazionale, soprattutto nigeriana ma anche rumena, ma ha forti collusioni con quella del territorio. Quando queste donne riescono a denunciare è veramente un successo, però poi arriva la parte per noi più dura, perché sono donne prive di documenti arrivate in Italia dopo aver subito violenze in casa poi il deserto e il mare spesso ancora luoghi di violenza, e quando finalmente arrivano da noi ancora violenza e la schiavitù sessuale. A questo si aggiunge, quando provano ad uscirne, la difficoltà, quasi l’impossibilità di riuscire ad avere i permessi umanitari e il riconoscimento della tutela internazionale e quindi i documenti. Ricostruire il senso di legalità in queste circostanze è assai complicato ma fondamentale. Per fortuna le cose stanno un po’ migliorando e noi riusciamo a collaborare positivamente con le commissioni territoriali per “il referral” (la segnalazione positiva n.d.r.) di cui hanno bisogno le donne. Negli ultimi mesi, grazie anche all’impegno di una straordinaria mediatrice culturale nigeriana, siamo riuscite a far ottenere ad alcune nostre ospiti il permesso umanitario. Ne siamo molto fiere, oltre che contente.

La Campania è una delle regioni con il tasso di occupazione femminile più basso di Europa. Come fare a costruire occasioni di lavoro per le donne?

Quella del lavoro per noi era ed è una priorità. Per questo dal 2012 ci siamo “inventate” un luogo dove le donne possono sperimentarsi positivamente per poi andarsi a proporsi sul mercato del lavoro. Ma abbiamo costruito un luogo dove poter anche restare perché realmente produttivo. Abbiamo trasformato il garage della villa di Dante Apicella che ci è stata assegnata in un vero e proprio laboratorio di trasformazione alimentare: produciamo marmellate, confettura, prodotti di pasticceria e prepariamo menù completi in catering (ovviamente quest’ultima attività con la pandemia si è fermata ma speriamo di riprendere presto). Siamo riuscite ad affermare il marchio Ghiottonerie di Casa Lorena e a stabilizzare le lavoratrici. Ma non ci fermiamo: in un altro bene confiscato alla famiglia Schiavone, sempre a Casal Di Principe, stiamo facendo partire la produzione di manufatti d’alta gamma del settore moda. Abbiamo stipulato una collaborazione con le Seterie di San Leucio, attività storica fondata dai Borbone a fine ‘700 e oggi gestita da un consorzio di imprese il cui capofila è un imprenditore che ha fatto della responsabilità sociale di impresa la sua missione: vi si producono sete di pregio. Noi trasformeremo i tessuti in accessori di moda, dai foulard ai turbanti, molto ricercati. Abbiamo il sostegno dell’Accademia di Belle Arti di Napoli: docenti e studenti hanno ideato le trame, i colori, i disegni, i modelli e stanno accompagnando le donne nel realizzare i prototipi. Insomma questo è un altro laboratorio di inserimento lavorativo su cui stiamo puntando tanto. Siamo partite con tre tirocini, uno è già stato trasformato in contratto di lavoro. Speriamo di riuscire presto a trasformare gli altri. Insomma la nostra strategia è duplice, creare lavoro ogni volta che ci riusciamo e contemporaneamente dirottare risorse su tirocini formativi, così da consentire alle donne di proporsi nel mercato del lavoro forti della formazione professionale acquisita.

Quanto conta l’autonomia economica per costruire l’autonomia emotiva e psicologica?

Conta molto. Si esce di casa, a volte, anche senza lavoro, avendo trovato l’energia per sottrarsi ad una situazione insopportabile. Ma poi si fanno i conti con la realtà e quindi l’autonomia economica conta tanto. Ma ci tengo a ricordare che a subire violenza non sono solo le povere, può succedere a ciascuna di noi. La differenza è proprio nell’uscita, chi non ha lavoro, non ha studiato e incontra difficoltà assai più grandi, tanto più se vive in un territorio come il nostro. Per questo ci siamo attrezzate a tirar fuori l’acqua dai sassi. Anche perché il lavoro è certo autonomia economica, ma è anche - forse soprattutto – identità.

Nella scelta di Casa Lorena c’è un elemento in più: è un'attività economica riscoprendo i prodotti del territorio, recuperando anche i frutti prodotti dalle piante di arancio che ornano il Parco della Reggia di Caserta. Perché questa scelta e cosa significa dal punto di vista economico?

Penso che un terzo settore sano, sul proprio territorio, debba essere non soltanto volano di cambiamento culturale ma anche volano di sviluppo economico. Non abbiamo mai pensato di poter lavorare nel sociale e con le donne facendo soltanto il lavoro di riparazione di un danno, abbiamo sempre ritenuto di essere agenti di cambiamento. In un territorio come il nostro, quindi, è assolutamente indispensabile farsi promotori di reti di sviluppo sociale ed economico e quindi andare a recuperare la parte migliore, che esiste qui come ovunque, è stato facile: dai prodotti della terra a partire dalle mele annurche tipiche della nostra zona, fino alle Seterie di San Leucio.

E alle arance della Reggia di Caserta come siete arrivate?

La marmellata delle Regine nasce da una chiacchierata tra donne. Nel maggio del 2019 arrivò a dirigere la Reggia una architetta, Tiziana Maffei, me la presentarono e davanti ad una tazzina di caffè, ragionando su come non sprecare il tanto che si trova all’interno del parco e non solo. È nata l’idea di recuperare l’agrumeto, 300 piante, che era abbandonato a se stesso e i suoi frutti finivano al macero, e di utilizzare le arance. Abbiamo fatto il primo raccolto e prodotto i primi barattoli di marmellata e le prime confezioni di scorzette candite. Ma non ci fermiamo. Nulla deve essere buttato e in un processo circolare ogni cosa può essere utilizzata e, nel caso, riutilizzata e continuare a produrre ricchezza. Non solo economica. Un attrattore culturale come la Reggia come luogo vivo e multiforme è proprio una bella idea: le chiacchiere tra donne sono anche questo. Anche il nome della marmellata nasce da un ragionamento di Tiziana Maffei, regine sono quelle che hanno abitato la Reggia, regine sono le donne di oggi che dalla terra traggono ricchezza.

Torniamo al tema della legalità. Perché avete scelto casa in un bene confiscato?

Perché siamo casertane! 

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