Da lunedì più di mezza Italia è tornata in lockdown con le scuole chiuse e gli studenti in Dad, le restrizioni rigide sugli spostamenti e molti lavoratori – quelli ai quali le aziende lo permettono –  che hanno ripreso a lavorare da casa. In smart working si dice, anche se proprio smart working non è, ma è un lavoro banalmente remotizzato senza alcuna preparazione specifica, senza competenze o strumentazione adeguata, senza un'organizzazione e sistemi di verifica pensati per il lavoro a distanza. Quindi più difficile, stressante, faticoso. Per raggiungere i medesimi risultati e garantire alle aziende la medesima “soddisfazione”, si è dovuto lavorare di più sia in termini di orario che di impegno.

Ed è per questo che non è accettabile che nel Dl Sostegni, un provvedimento normativo, si equipari il congedo per occuparsi dei
figli in Dad allo smart working. Le due cose non possono essere alternative. Lo sanno bene le lavoratrici e i lavoratori che dallo scorso anno si sono ritrovati in casa a condividere spazi, dispositivi, tempo, e cura. Le lavoratrici soprattutto, perché, inutile girarci attorno, in Italia il lavoro di cura è ancora e soprattutto un lavoro per donne.

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Se servissero le prove, basterebbe guardare ai dati sull’occupazione femminile che negli ultimi mesi hanno registrato un crollo e uno scostamento senza precedenti nel divario uomini/donne. Così come basterebbe riguardare quelli sul rientro al lavoro dopo il primo lockdown dello scorso anno quando, a scuole ancora chiuse, il 75% dei lavoratori è tornato in azienda ma non così per le donne che sono rimaste a casa a occuparsi dei figli in Dad. Così come basterebbe parlare con le strutture territoriali della Cgil alle quali tante, troppe mamme lavoratrici si sono rivolte in questi mesi perché obbligate a rinunciare al lavoro per occuparsi dei figli in didattica a distanza dopo avere esaurito congedi, permessi e ferie.

Dinamiche che non sono dovute solo a pregiudizi e stereotipi che continuano a individuare nelle donne il prevalente se non unico
soggetto di cura e a declinare il lavoro femminile come secondario e quindi rinunciabile rispetto a quello maschile, ma anche all’assenza di figure femminili sufficientemente autonome dai leader maschi nei centri decisionali. Non si spiega altrimenti la facilità con cui nel Dl Sostegni, il governo equipari di fatto per i genitori di studenti under 14 in Dad da emergenza Covid, lo smart working ai congedi o al bonus baby sitter. Come se si potesse lavorare mentre ci si occupa di un bambino. Ecco perché è importante che in sede di conversione della legge si apportino alcune modifiche fondamentali. A partire dall’eliminazione dell’incompatibilità tra l’accesso ai congedi e lo smart working o tra lo smart working e il bonus baby sitter. Resta già difficile accettare un congedo che copra appena il 50 per cento della retribuzione ordinaria, ma renderlo incompatibile con il lavoro da casa è davvero un prezzo intollerabile.

Così come stupisce che ancora non si sia provveduto a rendere automatico il meccanismo che consente ai genitori degli studenti under 14 di poter accedere allo smart working e ai congedi in caso di chiusura delle scuole per emergenza Covid. In questo modo, si eviterebbe di dover poi ricorrere a provvedimenti retroattivi ma anche, e soprattutto, a frizioni o problemi tra aziende e lavoratrici
e lavoratori. Il presidente Draghi lo scorso 8 marzo durante la presentazione della Strategia nazionale per la parità ha speso parole importanti sulla drammatica condizione dell’occupazione femminile. Ci auguriamo che adesso voglia passare dalle parole ai fatti.

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