Il 12 marzo del 2013 muore - ultima donna rimasta in vita fra le 21 che avevano partecipato alla stesura della Costituzione - Teresa Mattei, partigiana, nome di battaglia Chicchi, femminista, politica, pedagogista e madre costituente, la più giovane, appena venticinquenne.

Il 2 giugno 1946 in Italia si vota per il referendum istituzionale tra monarchia o repubblica e per eleggere l’Assemblea costituente. Le donne elette sono 21 su un totale di 556 deputati: 9 del Partito comunista, 9 della Democrazia cristiana, due del Partito socialista, una dell’Uomo qualunque. Pur tenendo conto delle istanze dei rispettivi partiti, le costituenti faranno spesso fronte comune sui temi dell’emancipazione femminile, per superare i tanti ostacoli che rendevano difficile la partecipazione delle donne alla vita politica e non solo.

L’esempio forse più pregnante di questo lavoro è la formulazione dell’articolo 3 della Costituzione.  Se si deve a Lina Merlin l’introduzione della locuzione “di sesso” nell’elenco delle discriminazioni da superare, sarà Teresa Mattei a volere la fondamentale aggiunta “di fatto” alla frase “limitando la libertà e l’uguaglianza dei cittadini”, nel comma sugli ostacoli di ordine economico e sociale da rimuovere per consentire lo “sviluppo della persona umana” e la partecipazione dei lavoratori alla vita del Paese.

Diceva Teresa nel suo intervento coerente e appassionato in aula:

Noi salutiamo quindi con speranza e con fiducia la figura di donna che nasce dalla solenne carta costituzionale nazionale. Nasce e viene finalmente riconosciuta nella sua nuova dignità, nella conquista pienezza dei suoi diritti, questa figura di donna italiana finalmente cittadina della nostra Repubblica. Ancora poche Costituzioni nel mondo riconoscono così esplicitamente alla donna la raggiunta affermazione dei suoi pieni diritti. Le donne italiane lo sanno e sono fiere di questo passo sulla via dell’emancipazione e insieme dell’intero progresso civile e sociale. È, questa conquista, il risultato di una lunga e faticosa lotta di interi decenni. (…) In una società che da lungo tempo ormai ha imposto alla donna la parità dei doveri, che non le ha risparmiato nessuna durezza nella lotta per il pane, nella lotta per la vita e per il lavoro, in una società che ha fatto conoscere alla donna tutti quei pesi di responsabili e di sofferenza prima riservati normalmente solo agli uomini, che non ha risparmiato alla donna nemmeno l’atroce prova della guerra guerreggiata nella sua casa, contro i suoi stessi piccoli e l’ha spinta a partecipare non più inerme alla lotta, salutiamo finalmente con un riconoscimento meritato e giusto l’affermazione della completa parità dei nostri diritti. (…) La nostra esigenza di entrare nella vita nazionale, di entrare in ogni campo di attività che sia fattivo di bene per il nostro paese, non è l’esigenza di affermare la nostra personalità e qui contrapponendola alla personalità maschile.  (…) Noi non vogliamo che le nostre donne si mascolinizzino, non vogliamo che le donne italiane aspirino ad una assurda identità con l’uomo; vogliamo semplicemente che esse abbiano la possibilità di espandere le proprie forze, tutte le loro energie, tutta la loro volontà di bene nella ricostruzione democratica del nostro Paese. Perciò riteniamo che il concetto informatore della lotta che abbiamo condotta debba stare alla base della nostra nuova Costituzione, rafforzarla, darle un orientamento sempre più sicuro. È nostro convincimento che nessuno sviluppo democratico, nessun progresso sostanziale si produce nella vita di un popolo se esso non sia accompagnato da una piena emancipazione femminile.

Particolarmente accesa sarà in fase costituente la discussione relativa all’accesso in magistratura, per la quale le donne erano ritenute troppo emotive e sensibili.

“La donna - affermava l’onorevole Molè nella seduta del 20 settembre 1946 - deve rimanere la regina della casa, più si allontana dalla famiglia più questa si sgretola. Con tutto il rispetto per la capacità intellettiva della donna, ho l’impressione che essa non sia indicata per la difficile arte del giudicare. Questa richiede grande equilibrio e alle volte l’equilibrio difetta per ragioni anche fisiologiche”.

La scelta delle costituenti di mettere ai voti un doppio emendamento riuscirà a garantire il risultato che le donne volevano raggiungere: bocciato l’emendamento Rossi-Mattei (120 voti su 153) che dichiarava esplicitamente il diritto femminile di accesso a tutti i gradi della magistratura (“Noi non possiamo ammettere - affermava la Mattei - che alle donne rimangano chiuse porte che sono invece aperte agli uomini. Sia tolto ogni senso di limitazione e sia anzi affermato, in forma esplicita e piena, il diritto alle donne ad accedere ad ogni grado della magistratura come di ogni altra carriera”), passerà quello della Federici, che sopprimeva la parte limitante dell’articolo in discussione.

Il dissenso verso lo stalinismo di Togliatti e del gruppo dirigente le procurerà nel 1955 la radiazione dal Pci, ma nonostante l’amarezza per quella decisione, Teresa, pur scomparendo dall’ufficialità della scena politica italiana, continuerà negli anni il suo impegno sul piano sociale (“Nell’inverno del 1947 - si legge ne L’enciclopedia delle donne - era rimasta incinta dalla relazione con un uomo sposato e Togliatti aveva deciso che l’impudente doveva abortire (e non fu la sola donna a cui impose quella scelta). Teresa reagì: "Le ragazze madri in Parlamento non sono rappresentate, dunque le rappresento io". La situazione fu poi regolarizzata all’estero con un espediente, ma Teresa non perdonò. La “maledetta anarchica” (come la chiamava Togliatti) ubbidì, ma non accettò passivamente l’imposizione del voto a favore dell’inserimento dei Patti Lateranensi nella Costituzione (art. 7); per questo rifiutò di candidarsi alle elezioni del 18 aprile 1948”).

Diceva Chicchi nel 2006 in una bellissima intervista: “Le donne hanno, rispetto agli uomini, un atteggiamento e un modo di agire differente. Hanno una mentalità che definirei 'orizzontale', guardano quello che le circonda e si rimboccano le maniche per fare. Gli uomini guardano al potere e questo li porta ad avere un atteggiamento verticistico. Le donne, invece, preferiscono la conoscenza, il sapere; non vogliono comandare, ma condividere le scelte e i progetti. Vogliono costruire un mondo migliore per i loro figli, per i futuri cittadini. Per questo dovrebbero essere di più in Parlamento. Per questo dovrebbero essere ascoltate maggiormente e con più attenzione”. Come darle torto anche oggi, soprattutto oggi?