In anticipo rispetto al resto d’Italia, da diversi giorni l’alto numero dei contagi sta riportando l’Emilia-Romagna in una condizione sanitaria di estrema emergenza. Le situazioni più critiche si registrano a Bologna, Modena e in alcune zone della Romagna. Ma tutta la regione è in grave difficoltà.

"Il picco dei contagi - ci dice Luigi Giove, segretario generale della Cgil Emilia-Romagna - ha portato una settimana fa all’istituzione della cosiddetta zona arancione scuro, che in estrema sintesi vuol dire negozi di ogni tipo aperti e scuole chiuse, compresi nidi e materne. Pure in Emilia-Romagna, quindi e purtroppo, si è scelto di chiudere le scuole, e solo dopo il resto. Un’incongruenza evidente a tutti. Eppure i dati ci dicono anche altro: c’è stato sì un aumento dei contagi nell’età scolare, che sono dell'11%, ma il maggior numero dei nuovi positivi si concentra ancora e soprattutto nelle altre classi d’età e in ambiente lavorativo, con l’89% dei casi. C’è quindi una domanda che riguarda tutti, a partire dalle istituzioni che stanno gestendo la pandemia: dove ci si ammala? Al 21 febbraio a Bologna erano 58 i focolai attivi nei luoghi di lavoro, secondo i dati forniti dall’Azienda sanitaria locale. È di primaria importanza localizzare questi focolai, per capire cos’è accaduto e se i protocolli di sicurezza sono ancora efficienti o vanno aggiornati".

E invece? "Invece assistiamo a un altro schema che ha portato all’immediata chiusura delle scuole e quindi anche a cambiare il livello di priorità: prima l’economia, poi la formazione e l’istruzione, ossia le basi per costruire il futuro del nostro Paese. In questa fase, non è da invidiare chi ha responsabilità di governo, a qualsiasi livello. Ma osservando quanto successo qui in Emilia-Romagna, con gli ultimi provvedimenti regionali, alcune considerazioni vanno fatte: quando le decisioni si susseguono a ritmo serrato, quando si cambiano in corso d’opera e quando appaiono incoerenti, non solo rischiano di risultare inefficaci, ma nella migliore delle ipotesi generano frustrazione, nella peggiore rabbia".

"Certo, è vero - è la considerazione di Luigi Giove - non staremmo a parlare di tutto questo con un piano vaccinale rapido e ordinato. Di sicuro il problema principale, anche in Emilia-Romagna, è l’approvvigionamento dei vaccini. Su questo converrebbe fare un ragionamento più generale a livello europeo, rivedendo il tema dei brevetti perché non possiamo arrenderci all’idea che la salute dei cittadini passi dalle regole del mercato. Su questo è necessario agire in forma coordinata a livello europeo, senza fughe in avanti di nessuno. In Emilia-Romagna abbiamo avviato una campagna di informazione con il personale scolastico perché riteniamo che vaccinarsi sia un atto di responsabilità. Sosteniamo e sosterremo tutte le iniziative per far comprendere meglio e aumentare la condivisione della campagna vaccinale. Consapevoli che in questa fase, il problema non sono i diffidenti ma il numero adeguato di dosi".