“Siamo da sempre dalla parte di chi lotta per la libertà e la democrazia. Con la Costituzione nel cuore. Siamo da sempre in prima fila nel fare e trasmettere buona memoria: antifascismo e Resistenza. Specialmente in questo tempo. Siamo e saremo sempre generazioni diverse che s’incontrano e lavorano uniti con speranza, entusiasmo e forza partigiana. Siamo l’Anpi, e invitiamo tutte le cittadine e i cittadini di buona volontà democratica a partecipare alle nostre giornate del tesseramento del 27 e 28 febbraio”.

Così l’Associazione nazionale dei partigiani d’Italia chiama oggi - come ogni anno - alla lotta l’Italia antifascista che nella Associazione si riunisce e riconosce. Quell'Italia che nei valori della Resistenza oggi più che mai si stringe con la consapevolezza di servire una causa grande, una causa giusta, una storia gloriosa. Una storia fatta di combattimenti, rappresaglie, repressioni, silenzi e grandi eroismi. Una storia fatta da uomini e donne ai e alle quali tutti noi dobbiamo molto. 

“L’Italia finalmente si risveglia! - scriveva un giovanissimo Bruno Trentin sul suo diario nel novembre del 1943 - Su tutta la superficie della penisola occupata dagli invasori tedeschi e dai loro degni sicari fascisti, il popolo italiano, quello del 1848, quello di Garibaldi e di Manin è in piedi e lotta (…) A partire da ora, i criminali di Matteotti, gli assassini di Amendola, di Rosselli e di tutte le migliaia di eroi che non hanno voluto piegarsi alla loro ignobile tirannia, cominciano a pagare il pesante tributo dei loro crimini”. E poco più avanti: “La guerra è aperta, oramai. Sorda, segreta, ma terribile. È lo spirito dei rivoluzionari che si facevano ammazzare nelle barricate ad animare oramai il popolo del Risorgimento. Dopo aver dormito vent’anni, questo popolo martire fa sentire all’immondo aguzzino in camicia nera tutte le terribili conseguenze del suo risveglio. È in piedi oramai. Lo si era creduto morto, servitore, vile e codardo, e invece è là!”.

“Perché abbiamo combattuto contro i fascisti e i tedeschi? - diceva Luciano Lama in uno dei momenti più drammatici per la vita del nostro Paese, il 25 aprile 1978, durante i terribili giorni del rapimento Moro - Perché abbiamo rischiato la vita, perduto, nelle montagne e nei crocevia delle nostre campagne, nelle piazze delle nostre città migliaia dei nostri compagni e fratelli, i migliori? Perché siamo insorti, con le armi, quando il nemico era più forte di noi? - chiede ad un immaginario interlocutore il segretario generale della Cgil - Noi abbiamo lottato allora per la giustizia e per la democrazia, per cambiare l’Italia, per renderla libera. (…) Oggi, in un momento drammatico della nostra storia, guardiamo con grande preoccupazione al presente e ricordiamo con giusta fierezza, anche se senza trionfalismo, la lotta di trent’anni fa. (…) I giovani devono crescere con questi valori, e sapere che la nostra generazione, pur con tutti i suoi limiti ed errori, ha creduto in qualche cosa e continua a crederci ed è capace di sacrificarsi e continua a sacrificarsi per questi valori. La nostra gioventù, così incerta e senza prospettive anche per nostre manchevolezze, deve ricevere da noi in questo momento una lezione, deve trovare in noi un esempio che come nel ‘43-’44 non è fatto di parole, ma di scelte dolorose, di sacrificio anche grande perché c’è qualcosa che vale di più di ciascuno di noi, conquiste faticate nella storia degli uomini, che ci trascendono e si chiamano democrazia, libertà, uguaglianza”.

Valori nei quali non smetteremo mai di credere e che non smetteremo mai di difendere. Anche oggi, soprattutto oggi. Perché il fascismo è un virus mutante purtroppo.

“La discussione sul fascismo mai morto - diceva qualche tempo fa Luciano Canfora - non è cominciata avantieri, ma dura da quando Mussolini è stato appeso a Piazzale Loreto. Nel suo Golia, tradotto in Italia nel 1946, Giuseppe Antonio Borgese volle dare un messaggio chiaro: il fascismo è caduto, ma dipenderà da noi la sua definitiva scomparsa. Devo ricordare l’intervento parlamentare di Concetto Marchesi nel 1949: il fascismo non è morto, ma ha varcato l’Atlantico? E ci siamo dimenticati del conflitto violentissimo suscitato nel 1960 dall’allora premier Tambroni con la sua apertura al Movimento sociale? (…) Esistono varie forme e incarnazioni del fascismo ma l’elemento comune ai diversi movimenti e alle diverse personalità è il sentimento razzistico del rifiuto del diverso”.

Razzismo al quale noi contrapponiamo la Resistenza. Una Resistenza - oggi come ieri - multietnica, internazionalista, migrante. Probabilmente non tutti lo sanno, ma sono oltre 50 le nazionalità rappresentate nella Resistenza italiana. Il caso più numeroso, più noto e studiato è quello dei partigiani sovietici. Ma hanno contribuito alla nostra liberazione uomini e donne jugoslavi, polacchi, cechi, slovacchi, ungheresi, danesi, olandesi, austriaci, tedeschi, indiani, australiani, irlandesi, africani.

Allo stesso modo numerosi sono stati gli italiani che hanno aiutato i partigiani di altre nazioni nella loro battaglia contro il fascismo e i suoi alleati: i volontari antifascisti nella guerra di Spagna sono l’esempio più noto ma non l’unico ma non l’unico. Un internazionalismo - inteso senza connotazione politica come aspirazione alla solidarietà e alla cooperazione tra i popoli - che a causa, o forse in questo caso potremmo dire grazie, al coronavirus abbiamo recentemente riscoperto. “È vero che tutti sono rinchiusi dentro le loro frontiere. Anche Paesi ricchissimi hanno girato la schiena agli altri. Ma forse perché non siamo ricchi ma neanche privi di memoria non ci possiamo permettere di non dimostrare all’Italia che gli albanesi e l’Albania non abbandonano mai l’amico in difficoltà”, diceva qualche mese fa il presidente albanese distruggendo nei fatti, in meno di un minuto, anni di retorica e populismi.

Forse c’è ancora qualche speranza di tornare ad essere umani. Tutti, nonostante tutto. Forse.