Carlo Ruggiero

La scienza dimostra che senza collaborazione tra Paesi ricchi e Paesi poveri i morti per covid rischiano di raddoppiare. Non è solo un problema etico, un siero meno diffuso avrebbe meno effetto anche nelle aree ad alto reddito. L'esperienza dell'Hiv insegna. In molti chiedono una moratoria sui brevetti

(coordinamento editoriale Maurizio Minnucci, foto Marco Merlini, grafiche Massimiliano Acerra)

Il Covid non concede tregua al mondo e spinge i produttori di vaccini a ritmi lavorativi forsennati, accompagnati da ampliamenti di stabilimenti o realizzazione di nuove linee produttive. Per tenere testa a una domanda sempre crescente e a numeri finora inimmaginabili ci sono al momento solo una manciata di aziende farmaceutiche: Pfizer-Biontech, Moderna e AstraZeneca. Il mondo occidentale vive qunidi con angoscia i ritardi e le decurtazioni dei lotti pattuiti, ma in questo contesto si fa sempre più evidente anche l’abbandono a se stessi dei Paesi a basso reddito. Non è un caso se su 42 stati che hanno iniziato a inoculare il siero contro il covid, 36 siano ad alto reddito.

Uno dei problemi più evidenti dell’accesso ai vaccini è il costo che le economie più povere non possono permettersi. I prezzi, fino a poco tempo fa coperti dal segreto, sono sfuggiti a Eva De Bleeker, segretario di Stato belga, in un tweet: il prezzo per dose sarebbe 1,78 euro per AstraZeneca (il vaccino meno innovativo), 14,68 per Moderna e 12 per Pfizer-Biontech. Per prevenire le maggiori disparità nella diffusione del vaccino, nel 2020 era stata avviata l'Access to Covid-19 tool accelerator (Act), una collaborazione internazionale che vede la fondamentale partecipazione dell’Oms insieme al coinvolgimento di diverse associazioni e fondazioni. Act ha creato Covax, un progetto per mettere insieme 2 miliardi di vaccini per oltre 90 nazioni povere. I risultati, però, sono al momento a dir poco sconfortanti. E i problemi di produzione cominciano a intrecciarsi in maniera sempre più evidente con quelli relativi alla proprietà intellettuale.

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Secondo Elda Baggio, docente all’Università di Verona, chirurgo con un'ampia esperienza in contesti di conflitto e vicepresidente di Medici senza frontiere Italia, infatti, “è vero che alcuni vaccini sono stati realizzati utilizzando una tecnica molto sofisticata, ma è anche vero che i governi hanno versato milioni e milioni di dollari alle aziende farmaceutiche per realizzarli. Quindi il diritto alla proprietà intellettuale e al profitto in questo caso si può ridiscutere”. La soluzione per Medici senza frontiere è semplice: produrre vaccini a basso costo per i Paesi a medio e basso reddito. “In passato - conclude Baggio - abbiamo avuto migliaia di morti per Hiv in Africa prima che si vincesse la battaglia sul farmaco generico per la terapia. Questa deve essere la strada: congelare per un periodo le proprietà intellettuali e permettere a Paesi come l'India e il Sudafrica di accedere alla tecnologia per produrre il generico del vaccino e di una futura terapia. Perché lo stesso problema si presenterà quando troveremo una cura per il covid”.

La produzione e la commercializzazione dei farmaci sono protetti dai diritti proprietari che, considerando le regole che si è dato il Wto con gli accordi Trips, e durano 20 anni. In particolari condizioni queste regole possono anche essere superate, tuttavia non è così semplice. Secondo Andrea Capocci, giornalista scientifico che di questi temi scrive per il Manifesto, il problema dei costi e del proprietario del regime non riguarda solo i paesi a basso reddito “Certamente li riguarda in misura maggiore - dice -, sono quelli sui quali il problema della scarsa capacità produttiva e dell'innalzamento dei costi . E quindi dell'asta che avviene a livello internazionale ha un impatto maggiore. Però il problema interessa anche Paesi come l'Italia”.

“Sicuramente noi avremo più vaccini del Kenya - spiega -, ma nonostante questo vediamo come la campagna vaccinale proceda lentamente per coprire una parte sostanziale della popolazione. Tutto ciò non è una variabile indipendente: questa situazione deriva dalle politiche delle aziende e dal regime di proprietà intellettuale dei brevetti. Se per ipotesi domani il Wto decidesse di derogare in questo caso ai brevetti, sarebbe più facile anche nei Paesi ricchi allargare la produzione”.

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Le regole del Wto prevedono 20 anni di diritti di proprietà sui farmaci. Ma è giusto in una situazione di crisi sanitaria globale come quella che stiamo attraversando? Derogare a queste norme, spiega Andrea Capocci, giornalista scientifico del «Manifesto», sarebbe importante per i Paesi più poveri ma permetterebbe anche di allargare la produzione in quelli più ricchi

Oltre alla questione etica, tra l'altro, ce n'è una più meramente scientifica. Il Network science institute della Northeastern University di Boston, sotto la guida dell’italiano Alessandro Vespignani, ha elaborato un modello per indagare le conseguenze di una distribuzione squilibrata dei vaccini. Gli scienziati hanno sondato due possibilità partendo da una disposizione di 3 miliardi di dosi. Nel primo scenario 2 miliardi di vaccini sono divisi tra 50 nazioni ad alto reddito, mentre il restante miliardo distribuito equamente nel resto del globo. Nel secondo scenario tutte le dosi sono distribuite equamente in tutti i paesi, senza fare leva sul meccanismo del maggior offerente, ma in proporzione alla popolazione. Nel primo caso, si eviterebbe il 33% dei decessi prevedibili a livello globale, mentre nel secondo caso si arriverebbe a impedire la morte del 61%, quasi il doppio.

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“Le decisioni su come si assegnano i vaccini non possono essere prese sulla base di un solo modello”, dicono oggi gli studiosi. Anche perché, oltre alle risorse per l'acquisto, i Paesi hanno bisogno di fondi e coordinamento per distribuire il vaccino. Ma per ora, i risultati appaiono chiari: "Quando il mondo collabora, il numero di morti si dimezza”.