Forse non tutti sanno che il genocidio nazista cominciò dai disabili. Le persone con disabilità, minori e adulte, furono le prime cavie designate di tutte le tecniche di annientamento, sterilizzazione ed eutanasia sviluppate poi nella Shoah. Le prime prove documentali degli orrori nazisti, riguardarono proprio la persecuzione e i campi di uccisione dei disabili, anticamera dell’universo concentrazionario. In seguito. le campagne di sterilizzazione, internamento e deportazione delle persone “handicappate”, presero il via nei mesi immediatamente successivi all’ascesa di Hitler, trovando terreno fertile nelle teorie eugenetiche e nella difesa della razza. Dopo un’intensa campagna di sterilizzazione, si passò all’uccisione sistematica dei bambini disabili, uno degli aspetti più oscuri dell’Olocausto.

Il progetto T4, l’eutanasia di massa degli adulti disabili, che condusse alla morte circa 70.000 cittadini tedeschi, iniziò solo nel 1939, per interrompersi poi, anche se soltanto formalmente, su pressione dell’opinione pubblica e delle Chiese, nell’agosto del 1941. Con l’estendersi dei fronti di guerra, lo sterminio dei disabili non risparmiò i Paesi occupati, con drammatici strascichi anche in Italia, come testimonia la deportazione dei disabili ebrei internati negli ospedali psichiatrici di Venezia, deportati ad Auschwitz-Birkenau. Nella tragedia di ognuno, si ritrova la Storia di tutti. L'olocausto degli ebrei e l'eccidio dei disabili. Tanti disabili vennero uccisi solo perché non erano donne e uomini fisicamente e/o mentalmente perfetti, e in più, erano considerati un costo per la società. Il passato non passa se non si costruisce un futuro a memoria del male.

Eppure ancora oggi, la storia contemporanea narra di eccidi, stragi e crudeltà, ingiustizie, diseguaglianze sui deboli e sugli oppressi. Una frase tratta dagli scritti di Baudelaire può esserci di aiuto: “Le disfatte sociali - scriveva il poeta francese - non sono solo imputabili alla sorte di questa o quella istituzione, ma all'avvilimento dei cuori”. Riflettendo su questo, non si può allora lasciarsi soccombere dall'avvilimento del proprio cuore, dalla frustrazione in cui le momentanee sconfitte inducono, correndo il rischio di lasciarsi andare, ancor di più oggi, in cui la pandemia ci ha posto in uno stato di profonda prostrazione e paura, e, a maggior ragione, pensando a coloro che hanno vinto una guerra ritenuta invincibile, che, oltre alle sconfitte morali, pativano anche freddo, fame, persecuzioni, torture, fino al sacrificio della propria vita.

Proprio per quanto detto, sia oggi non solo una giornata in ricordo delle vittime e degli eroi della guerra, ma anche una lezione attualissima per tutti noi, che cerchiamo di resistere a tentativi di ritorno all'indietro per il movimento di liberazione per le persone con disabilità. Credo sia giusto che il sindacato, il movimento delle lavoratrici e dei lavoratori che ancora muove grandi masse, non solo in Italia, debba rafforzare nelle proprie radici la funzione pedagogica e culturale che può avere, facendo leva sulle coscienze degli iscritti e non, promuovendo azioni culturalmente positive sulla tolleranza e il rispetto dell'alterità. La tolleranza è un condizione necessaria del vivere quotidiano, almeno dovrebbe esserlo. Siamo tutti figli della fragilità, fallibili e inclini all'errore. E dunque, non resta altro che perdonarci vicendevolmente.

Oggi non esistono programmi di Stato che dispongono pratiche di propaganda, sterminio ed eutanasia. Le persone con disabilità e i loro familiari, tuttavia, sentono troppo spesso, nella quotidianità, nel senso comune, in dispositivi di legge male o poco applicati, in un certo pietismo, anche se bonario, nelle discriminazioni, nelle stigmatizzazioni, che la propria esistenza non valga nulla, o comunque sempre meno dei così detti normodotati. I piani pandemici, di molti Paesi, che prevedono di salvare in primis i più forti, non considerano le vite dei più deboli come “vite da scarto”?

Con un vissuto di sofferenze e discriminazioni, ritengo che oggi la tolleranza vada amata e perseguita, in ogni azione quotidiana. Il punto, in effetti, è proprio che le nostre vite sono considerate vite da scarto, indegne, e la realtà è che esiste ancora una sorta di pseudo-compassione fortemente discriminante verso le persone con disabilità, ed esiste soprattutto verso i disabili intellettivi, psichici, pluriminorati. La politica dovrebbe tornare a operare con generosità e serietà, difendendo la solidarietà e la giustizia sociale, per una società equa e giusta.

La politica torni al dialogo e al rispetto del lavoro come dignità del cittadino, torni alla radice in cui appare chiaro che la fragilità appartiene a tutti, e che debellare i nemici, le minoranze religiose, gli stranieri che chiedono ospitalità perché perseguitati e affamati, i pesi improduttivi, come a volte siamo definiti, debellare con olocausti popoli diversi - come fu nel caso del popolo ebreo - con eccidi o con norme ingiuste o con discriminazioni, non serve ad altro che a generare crudeltà e atroci sofferenze.  Passato, presente e futuro. Ci saremo sempre, perché ciò che fa veramente paura ai potenti e ai prepotenti, è la forza dei deboli.

Non solo gli ebrei sono sopravvissuti alla Shoah, ma anche i disabili agli eccidi. Perché una società di perfetti e di sani, che poco costano, non è un'idea di crescita spirituale, né un'idea di crescita economica, poiché verrebbe a mancare una categoria che spesso aiuta i sani a trovare il giusto valore negli atti della vita. Che questa giornata sia dedicata alla storia dei grandi, dei nostri martiri, ai quali vogliamo affidare la speranza di un futuro tra passato e presente, un futuro di giustizia sociale, di eguaglianza e di rispetto della vita di ognuno e che il sindacato, il nostro sindacato, oggi come allora, sia protagonista nelle battaglie di libertà e di tolleranza.

Nina Daita è responsabile delle Politiche della disabilità per la Cgil nazionale