Nata a Torino il 29 luglio del 1900, nel Pci dalla sua nascita, Teresa Noce espatria nel 1926 con il marito Luigi Longo prima a Mosca, poi in Francia. Nel 1936, dopo aver fondato a Parigi con Xenia Sereni il mensile Noi Donne è con Longo in Spagna, dove cura la pubblicazione de Il volontario della libertà, giornale degli italiani nelle Brigate internazionali.

Rientrata in Francia allo scoppio della Seconda guerra mondiale, è internata nel campo di Rieucros, lo stesso che ospita Anita Contini, Anna Maria Montagnana, Elettra Pollastrini, Baldina Di Vittorio. Quando, per intervento dei sovietici, è liberata e dovrebbe ricongiungersi ai figli a Mosca, per il cambiamento delle alleanze militari non può farlo. Resta così a Marsiglia, dove, per conto del Partito comunista francese, dirige il Moi (l’organizzazione degli operai immigrati) e si impegna nella lotta armata condotta contro i tedeschi e i collaborazionisti. Durante una missione a Parigi all’inizio del 1943 è nuovamente arrestata e deportata, prima nel lager di Ravensbrück, poi in Cecoslovacchia. Tornata in Italia nel 1945 è nominata alla Consulta e nel 1946 è la prima degli eletti alla Costituente della sua circoscrizione, una delle più votate del Pci a livello nazionale.

Eletta in Parlamento, Estella vi rimane per due legislature, durante le quali presenta la proposta di legge per la tutela fisica ed economica delle lavoratrici madri ed un’altra, insieme a Maria Federici, che prevedeva eguale salario per eguale lavoro per donne e uomini (la legge sulla tutela delle lavoratrici madri, per la quale si era battuta Teresa Noce, verrà  approvata nel 1950. Il testo definitivo, pur se limitativo rispetto alla proposta Noce, rappresenta un importante risultato per le lavoratrici italiane, ma apre un altro fronte di rivendicazioni; molte imprese, infatti, per aggirare la legge, impongono alle assunte la cosiddetta clausola di nubilato, che prevede il licenziamento in caso di matrimonio).

“Questa legge - racconta lei stessa - dovevamo elaborarla noi, donne comuniste elette per la prima volta in parlamento (…). Anche se non avevamo nessuna esperienza legislativa avremmo imparato, studiato, chiesto aiuto. Avremmo certo incontrato molte difficoltà, e saremmo state costrette a superare molti ostacoli, ma la lotta delle masse nel Paese ci avrebbe dato l’aiuto necessario. L’elaborazione del nostro progetto di legge non risultò facile. Ma tutti collaborarono, offrendoci un valido aiuto, anche se dovemmo affrontare discussioni accanite che qualche volta degenerarono in veri e propri litigi. Organizzammo piccole riunioni e grandi comizi, assemblee di operaie nelle fabbriche, commissioni di esperti cioè sindacalisti, medici, giuristi e ci incontrammo ripetutamente soprattutto con i compagni della Fiot”. Sempre per iniziativa di Teresa Noce nel maggio 1952 viene presentato alla Camera il progetto di legge per l’"Applicazione della parità di diritti e della parità di retribuzione per un pari lavoro", ma l’accordo sulla parità sarà raggiunto solo il 16 luglio 1960 relativamente ai soli settori industriali. Le donne otterranno la parità salariale in agricoltura nel 1964). 

Intanto lascia la casa romana e si trasferisce a Milano, dove può occuparsi più da vicino della Fiot, sindacato dei tessili, di cui è eletta segretaria. Nel 1953 scopre da un trafiletto comparso sul Corriere della Sera che “Luigi Longo e Teresa Noce hanno ottenuto a San Marino l’annullamento del loro matrimonio”. Estella - dopo aver chiesto inutilmente che fosse il Partito a farlo - invia al giornale una smentita, salvo poi scoprire che era tutto vero e che addirittura il marito aveva falsificato la sua firma.

Inizia così, tristemente, la sua parabola discendente: i compagni con cui aveva condiviso anni di lotte avalleranno il comportamento di Longo e sarà lei, alla fine, a essere messa sotto accusa e a essere espulsa dal Partito. Alle elezioni del 1958 non sarà ricandidata (per scelta personale, dice lei stessa) e nel 1955 abbandonerà anche l’incarico alla Fiot, allontanandosi gradualmente dalla vita pubblica (dal 1959 farà parte, per alcuni anni, del Cnel in rappresentanza della Cgil).

“Quando, attraverso un legale, ebbi preso visione della sentenza di annullamento - racconta lei stessa in Rivoluzionaria professionale - provai un tale rigurgito di disgusto e di amarezza da ammalarmi. Le ragioni addotte per ottenere quella sentenza erano non solo false, ma offensive per me e anche per i genitori di Longo, ai quali si attribuiva addirittura di avere imposto con la forza il nostro matrimonio; e infine per Gigi che ne sarebbe stato la causa prima. Non potevo comprendere né avallare col mio silenzio un’azione che, oltre a essere indegna nei miei confronti, era palesemente contraria alla linea politica del Partito comunista. Decisi di battermi ricorrendo alla Commissione centrale di controllo. Seppi che non tutti i compagni erano stati d’accordo con quel modo di procedere, così come non tutti furono d’accordo quando venne decisa, senza neanche portare la questione nei suoi veri termini al Comitato centrale, la mia eliminazione dalla Direzione del Partito. Era questo il mezzo più facile per cercare di mettere tutto a tacere. Il XX Congresso del Pcus non aveva ancora avuto luogo. Disgustata e ferita anche come militante del Partito, avrei voluto lasciare l’Italia per dimenticare quelle amarezze lavorando in altri Paesi e continuando a battermi per la classe operaia. Ne parlai a Di Vittorio, che sapevo essere stato uno dei compagni contrari alla posizione della Direzione e alla mia esclusione da questa. Di Vittorio cercò di dissuadermi. Se proprio fossi stata decisa, avrebbe allora appoggiato la mia richiesta di lavorare alla Federazione sindacale mondiale. Ma pensava che fosse mio dovere rimanere, nonostante tutto, in Italia, dove i quadri sindacali femminili erano così pochi. (…) Giunsi a un compromesso: me ne sarei andata per qualche tempo a Parigi. Tra le vecchie amiche del carcere, tra le compagne scampate con me ai campi della morte avrei trovato conforto. Forse avrei potuto dimenticare quello che era il più grave trauma, politico e personale, della mia vita. Grave e doloroso più del carcere, più della deportazione”.

Teresa Noce fu un ciclone di Resistenza - diceva di lei lo scorso anno su Buona memoria la presidente dell’Anpi Carla Nespolo - Attivissima antifascista dovette sopportare la clandestinità e la deportazione. Con il marito Luigi Longo - aderirono al Pci fin dalla sua fondazione nel 1921 - partì in Spagna per combattere, insieme a tanti altri volontari, in difesa della Repubblica dopo lo scoppio della guerra civile. Nel 1946 fu eletta nell’Assemblea costituente per lavorare alla definizione dell’ossatura dello Stato dopo il disastro della guerra e della criminalità fascista. Successivamente portò il suo instancabile entusiasmo civile anche alla Camera dove fu deputata per due legislature. Teresa fu un esatto profilo di donna pienamente consapevole della necessità di non voltarsi mai dall'altra parte di fronte alle aggressioni ai diritti e alle libertà. Un esempio di vita, di coerenza e di impegno democratico per le nuove generazioni”.

Diceva Guglielmo Epifani in occasione del passaggio del testimone e della elezione al ruolo di segretaria generale della Cgil di Susanna Camusso, prima donna a ricoprire la carica, nel novembre 2010: “Superiamo così un ritardo non accettabile, e insieme riconosciamo anche così il ruolo che nella storia delle classi lavoratrici italiane hanno avuto le donne, quelle che abbiamo rievocato e studiato nel corso del nostro centenario. Le braccianti, le tessili, le maestre, le impiegate, le operaie e tutte le altre fino ai giorni nostri. E le tante figure di questa storia: Argentina Altobelli, Lina Fibbi, Teresa Noce, Nella Marcellino, Donatella Turtura e voi che siete qui nei vostri ruoli e responsabilità. Vinciamo una prova importante, e diamo un segno a tutta la società italiana, alla continua sottovalutazione e discriminazione di genere, al ruolo, all’uso, all’abuso che si fa della donna e del suo corpo, ai quanti vogliono tornare indietro”.

Un riconoscimento postumo che Estella avrebbe apprezzato. Perché noi - tutte e tutti - a Estella dobbiamo molto, ma a Teresa dobbiamo delle scuse.