Penso che questa sia la stagione in cui serve una grande responsabilità e anche una visione di medio e lungo periodo. Alla politica noi chiediamo uno scatto, quello che abbiamo chiamato “rivoluzione delle priorità”. Uno scatto che serve soprattutto adesso, perché abbiamo concomitanti due condizioni. Da un lato stiamo vivendo quella che probabilmente è la più grande crisi (nel senso di trasformazione) dal dopoguerra, una situazione che sta allargando ulteriormente le enormi disuguaglianze di cui discutevano anche prima della pandemia. Dall’altro, ci sono delle opportunità che questa crisi sta determinando nel cambiamento delle scelte espansive di alcune politiche da parte dell’Unione europea, nella disponibilità di risorse per provare a cambiare davvero il modello di sviluppo.

Nella rivoluzione delle priorità c’è la centralità del lavoro, non solo in termini di quantità dell’occupazione (il nostro Paese ha bisogno di generare nuova occupazione, opportunità di sviluppo per recuperare i divari), ma anche dal punto di vista della qualità del lavoro, ambito per il quale dobbiamo cambiare passo. Il progetto riformatore che potrebbe fondare un nuovo patto di legislatura dovrebbe riprendere temi molto importanti: la riforma degli ammortizzatori, le politiche attive con al centro il diritto soggettivo alla formazione e all’innalzamento delle competenze di tutti i lavoratori, ma anche un ragionamento sulla distribuzione e la riduzione degli orari di lavoro, sulla rappresentanza e rappresentatività per rendere forte il protagonismo nel lavoro e nelle scelte, per procedere alla bonifica dei contratti collettivi di lavoro che non devono essere uno strumento di dumping, capace di impoverire i lavoratori (come è adesso), ma luogo di distribuzione economica della ricchezza, della trasformazione dell’organizzazione del lavoro e delle competenze. Per fare tutto ciò ci vuole la riforma del mercato del lavoro di cui non si parla adeguatamente, per disboscarlo dalle forme di lavoro più precarie.
L’altro asse fondamentale è il ruolo dello Stato nell’economia e anche dei lavoratori pubblici rispetto a un cambiamento e miglioramento dei servizi ai cittadini e un protagonismo del lavoro pubblico.

Guardando all’immediato, invece, c’è la scadenza del blocco dei licenziamenti: siamo di fronte a una stagione particolarmente drammatica, perché la situazione pandemica non è superata e perché il superamento della crisi specie in alcuni settori sarà di lungo periodo. Abbiamo quindi bisogno di proteggere il lavoro che c’è dando continuità alle misure anche emergenziali di questi mesi, come la proroga del blocco dei licenziamenti e degli ammortizzatori da Covid, e avviare un ragionamento più strutturale di riforma degli ammortizzatori che superi divisioni ed esclusioni che nostro il sistema attuale determina. La riforma deve avere le caratteristiche di universalità e di solidarietà, cosa di cui abbiamo discusso al tavolo con la ministra Nunzia Catalfo, che ha presentato i primi tratti di un’idea di riforma di sistema di ammortizzatori e delle misure che dovrebbero trovare definizione nel decreto Ristori 5, particolarmente sostanzioso per lo scostamento di bilancio che determina.

C’è già uno scollegamento tra il Paese reale e la politica, oggi sarebbe incomprensibile non avere la possibilità di adottare meccanismi per dare continuità di reddito e di ristoro a causa di politiche ferme. Penso anche alle risorse del Recovery, utili per mettere in campo investimenti che rendano possibile una crescita pensata sul lavoro di qualità.