Era proprio il caso di aprire una crisi che riguarderà non solo la contingenza, cioè l’oggi, ma probabilmente anche la prospettiva, indebolendo il campo progressista e rafforzando quello delle forze sovraniste e populiste? Cosa ne ricaverà il Paese, nel confronto in Europa sul Recovery fund, in termini di autorevolezza? E ancora: un governo che sarà indiscutibilmente più debole, avrà la forza necessaria per governare una crisi, sociale ed economica, che aggredisce in modo pesante e inedito lavoratori e imprese?

Perdiamo dieci punti di Pil, 50 miliardi di export, l’indice di produzione industriale dell’Italia diminuisce (-4,2 per cento) rispetto al 2019, e solo del -0,6 per cento nell’Unione europea. Il mercato dell’auto, nella Ue, perde il 24 per cento sul 2019. Questo è il punto di partenza nella cosiddetta condizione standard (al netto di una purtroppo probabile terza ondata della pandemia o di un allungamento della seconda).

Un eventuale sblocco dei licenziamenti, non accompagnato da una forte ripresa dell’export e della domanda interna, e quindi in condizioni di recuperata normalità, sarebbe drammatico per i livelli occupazionali e non sopportabile per il Paese. È stato un buon affare avere dato fiato alle forze anti-euro, quelle che ancora inseguono il sogno di un’Italia isolata, egoista, rancorosa, mentre si erano aperte nuove prospettive per il rilancio di un welfare buono, di un nuovo e inedito rapporto tra Stato e mercato, di un’idea sana di sostenibilità ambientale?

Perché preoccuparci della sorte di un governo? Perché l’ispirazione europea e l’attenzione, che c’è stata, ovviamente con alti e bassi, al rischio di destabilizzazione sociale, sono stati punti fermi dell’azione sindacale e dell’ispirazione del governo attuale. A leggere il professor Monti, e Confindustria, l’idea di una “distruzione creativa” è invece un’opzione in campo nel breve e medio termine. Con quest’opzione dovremo misurarci purtroppo nei prossimi mesi.

Tutto questo ci dice che dovremo fronteggiare una fase inedita e pesante che presuppone una forte e credibile azione di un governo che intenda percorrere la strada di un compromesso sociale per la gestione di questa fase, innanzitutto centrata sulla difesa dai licenziamenti, stante il perdurare dell’emergenza, un sistema universale di ammortizzatori sociali, la lotta alla povertà e all’esclusione.

Inutile girarci attorno: si è determinato un clima di incertezza, per il Paese e per i più deboli. Sarà necessaria la migliore tenacia unitaria e la migliore convinzione del sindacato per governare una fase tra le più difficili del dopoguerra. Questa è la scommessa.