Nel 1969 sono interessati ai rinnovi dei contratti oltre 6 milioni di lavoratori: di questi 2.380.000 sono metalmeccanici, chimici ed edili. Ad essi si aggiungono 1 milione e mezzo di braccianti e salariati fissi. Per raccogliere e interpretare le spinte di base, le federazioni di categoria decidono di avviare una consultazione di massa sulle piattaforme contrattuali, disposte a modificare anche strategie sindacali radicate.

La Cgil propone agli altri sindacati tre temi da discutere col governo: casa e caro fitti, fisco, sanità. Ma si riesce a trovare un’intesa solo sul primo tema. Il 19 novembre 1969, lo sciopero generale nazionale per la casa ottiene un successo enorme, superiore anche a quelli per le pensioni e per le gabbie salariali (a Milano dove si tiene la manifestazione principale, dove muore purtroppo, in circostanze non chiarite, l’agente di polizia Antonio Annarumma).

 È  il quarto sciopero generale unitario dal luglio del 1948 dopo le due giornate di lotta per le pensioni del novembre 1968 e del febbraio 1969, lo sciopero contro le zone salariali e la fermata del lavoro di cinque minuti decisa dalle tre Confederazioni all’indomani dell’eccidio poliziesco di Battipaglia.

“Mai visto uno sciopero così - scriverà due settimane più tardi Rassegna Sindacale - Il 19 novembre, per 24 ore, l’Italia è rimasta paralizzata. Oltre venti milioni di lavoratori hanno aderito all’appello delle tre Confederazioni Cgil, Cisl e Uil per una giornata di lotta per una politica organica della casa e le riforme. Tutto fermo nell’industria, nella agricoltura, nel commercio; servizi pubblici bloccati, negozi chiusi anche nelle strade centrali, cinema spenti, servizi aeroportuali e Rai tv completamenti fermi. Una giornata di lotta indimenticabile, che testimonia la crescita di maturità e di peso del movimento sindacale italiano. È stato un monito al governo, dopo anni in cui i temi della casa, del fisco e della salute erano rimasti terreno di propaganda e di scontento”.

Scriveva Carlo Ghezzi in occasione del 40° anniversario dello sciopero:

Il 19 novembre 1969 viene proclamato da Cgil, Cisl e Uil lo sciopero generale per il diritto alla casa per tutti i cittadini, la giornata di lotta riesce pienamente e si registrano nel paese milioni di astenuti dal lavoro.
Nella tarda mattinata di quel giorno a Milano la polizia attacca operai e attivisti sindacali al termine di una manifestazione promossa da Cgil, Cisl e Uil tenutasi nel Teatro Lirico mentre si stanno avvicinando due cortei contrapposti, uno promosso dai fascisti e l’altro dai militanti del Movimento Studentesco. Gli scontri si estendono subito alla vicina Università Statale. Negli scontri un giovane agente di Pubblica Sicurezza, Antonio Annarumma, resta ucciso. Non verrà mai fatta completamente luce sulla sua morte. È tuttavia noto che durante una delle violente cariche della polizia, due gipponi della polizia medesima si sono scontrati frontalmente. 
Benché la stampa accetti senza riserve la versione ufficiale secondo cui l’agente sarebbe stato ucciso dai dimostranti esiste un film di un giornalista francese in cui la scena dello scontro è chiarissima. Ciò nonostante il presidente della Repubblica Giuseppe Saragat parla di assassinio e indica sostanzialmente nei “rossi’ i colpevoli. Il risultato delle cariche e dei tafferugli registra anche 63 feriti e 19 arrestati. Il fatto luttuoso e il drammatico carico di tensioni che quanto accaduto comporta non possono tuttavia nascondere la grandiosa riuscita dello sciopero generale unitario.
Le radici di quel grande sommovimento sono da ricercarsi in anni lontani. Dopo la sconfitta della Cgil alla Fiat nelle elezioni del 1955 e l’autocritica di Di Vittorio la Cgil ripensa le sue politiche rivendicative e, dopo una approfondita discussione nel suo 6° congresso che tiene a Milano, mette a punto le proprie politiche sullo stato sociale (pensioni, casa, sanità, fisco, trasporti). La ripresa dell’unità d’azione in azienda, come le prime riprese di confronto tra le tre grandi confederazioni nel corso di quella che gli storici chiamano “la riscossa operaia” che caratterizza gli anni sessanta, permettono di creare le condizioni per varare vertenze unitarie su queste tematiche. Il problema della casa è tra i più assillanti da diversi anni ed è particolarmente sentito nelle grandi città e nelle aree coinvolte da processi migratori di dimensioni bibliche che portano centinaia di migliaia di persone a lasciare il Mezzogiorno è il Triveneto per cercare lavoro nelle aree di più antica industrializzazione. Sotto la spinta delle maggiori categorie industriali e sotto la pressione di tantissimi lavoratori, sia da parte di coloro che ambivano ad acquistare la propria casa, sia di coloro che la cercavano in affitto, le confederazioni presentano al Governo Rumor una impegnativa piattaforma sul problema casa che sostengono con la proclamazione dello sciopero generale del 19 novembre del 1969. Il successo dello sciopero segna una svolta. Conclusi i rinnovi contrattuali che contrassegnano l’autunno caldo e le mobilitazioni sindacali che lo seguono, impegnate a contrastare le 14.000 denunce che hanno colpito lavoratori e sindacalisti nel corso delle lotte, Cgil, Cisl e Uil riprendono ad incalzare il Governo per ottenere riforme sociali che servono ad ammodernare ed a rendere più giusto il nostro paese. 

Riportava l’opuscolo Casa come servizio sociale, difesa della salute, meno tasse sui salari, a cura della Commissione stampa e propaganda della Cgil: “Le lotte contrattuali dell’autunno ‘69, che formano oggetto centrale del dibattito e dell’impegno del VII Congresso della Cgil e dei Congressi successivi della Cisl e della Uil, l’esplodere di grandi movimenti in molte parti del paese contro l’insostenibilità della situazione e della condizione civile di larghe masse lavoratrici e popolari, proprio in connessione con precise e ravvicinate scadenze nel regime di blocco dei fitti e di crisi degli enti preposti all’edilizia per i lavoratori, mentre si assiste ad una abnorme espansione dell’edilizia privata per i ceti più agiati, pongono sul tappeto una grande questione: bisogna costruire una nuova politica della casa, che soddisfi le esigenze ormai non più comprimibili, né rinviabili, delle masse lavoratrici ad accedere a prezzi e a canoni accessibili al bene dell’abitazione, ad usufruire realmente e adeguatamente dei servizi sociali, a vivere civilmente in una città che non le schiacci, che non le annulli e che non le emargini. In una parola, bisogna fondare una nuova condizione urbana per i lavoratori e per tutti i cittadini”.

Parole attuali sulle quali è opportuno riflettere e sulle quali continuare a lavorare anche oggi, soprattutto oggi.