Il 29 ottobre del 1949 la celere apre il fuoco sui contadini di Melissa che avevano occupato il fondo detto Fragalà di proprietà del possidente del luogo, il barone Luigi Berlingeri. Tre persone rimangono uccise: Francesco Nigro, di 29 anni, Giovanni Zito, di 15 anni, e Angelina Mauro, di 23 anni, che morirà più tardi per le ferite riportate e che avrebbe dovuto sposarsi qualche giorno dopo. Molti saranno i feriti, anche gravi.

Melissa diventerà negli anni, per ragioni di solidarietà e di studio, meta di molti intellettuali. Ernesto Treccani, affascinato "dalle sue aride argille ineguali" tra il 1950 e il 1960 vi soggiornerà più volte. “Devo l’ispirazione più profonda al mio lavoro di pittore alla consuetudine di vita dei contadini della Calabria in particolare e di quel piccolo paese dell’antico marchesato di Crotone che ha il nome Melissa. In questo paese, voi ricordate, sono ormai quasi vent’anni, caddero sul feudo di Fragalà due contadini poveri e una giovane donna, in quel grande movimento di occupazione delle terre incolte, guidato dal Partito comunista, dal Partito socialista, dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori”, dirà nel 1973.

Il fatto è ricordato, tra gli altri, anche da Lucio Dalla in una strofa del brano Passato, presente, quarta traccia dell’album Il giorno aveva cinque teste, che recita: “Il passato di tanti anni fa, alla fine del quarantanove, è il massacro del feudo Fragalà sulle terre del Barone Breviglieri. Tre braccianti stroncati col fuoco di moschetto in difesa della proprietà. Sono fatti di ieri”.

Nell’ottobre del 1949 la notizia dell’eccidio si diffonde rapidamente e la Cgil proclama lo sciopero generaleL’Avanti! e l’Unità danno per primi la notizia ed anche la stampa internazionale registra l’avvenimento. La mattina del 2 novembre si svolgono solennemente i funerali di due delle vittime, sebbene i loro cadaveri si fossero dovuti seppellire il giorno dopo l’eccidio per lo stato in cui erano stati ridotti. Ai funerali partecipano alcuni parlamentari dell’opposizione, numerosissime rappresentanze dei contadini della zona, gli operai della Montecatini e della Tertusola, tutti gli abitanti di Melissa. Mancava il prete, al quale il vescovo aveva negato l’autorizzazione per i funerali religiosi.

Il corteo - racconterà l’onorevole Cacciatore - percorse le strade di Melissa, si snodò attraverso i viottoli in una teoria lunga e triste. Le donne procedevano tutte insieme, vestite a lutto, silenziose. Mai ho visto una popolazione in preda a un dolore così profondo. Lungo il cammino fino al cimitero si univano al corteo altri gruppi di uomini e donne. Queste ultime gridavano: - Vogliamo vendetta. - E gli uomini correggevano: - Vogliamo giustizia - . L’aspetto più doloroso di quel corteo lo davano i bambini con i loro piccoli volti pallidi, emaciati, con i ventri gonfi, con i segni della denutrizione. Giunti al cimitero, deposti i fiori sulle tombe, commemorati i morti, i contadini vollero recarsi nella tenuta Fragalà, sul posto dell’eccidio. Due ore di cammino lungo viottoli e mulattiere, e vedemmo con i nostri occhi la terra contesa, ormai consacrata al lavoro dei braccianti dal loro sangue”.

Aggiungerà Mario Alicata in un discorso da qualcuno definito "musicale": “A nome (…) di tutto il Senato della Repubblica italiana, voli a quei tumuli lacrimati l’omaggio devoto e imperituro. Il sangue non è stato versato invano, se esso varrà a seppellire la vecchia storia ed a forgiarne una nuova”. Un augurio purtroppo non realizzatosi. Tre mesi più tardi, il 9 gennaio 1950, a Modena si protesta contro i licenziamenti ingiustificati alle Fonderie Riunite.

Le forze dell’ordine sparano nuovamente sulla folla provocando la morte di sei lavoratori: Angelo Appiani, ucciso proprio davanti alle Fonderie; Renzo Bersani, colpito a morte lontano dagli scontri mentre cerca di fuggire; Arturo Chiappelli, raggiunto dai proiettili della polizia vicino alla Fonderia; Ennio Garagnani, colpito a morte lontano dagli scontri; Roberto Rovatti, colpito con i calci dei fucili della celere, gettato in un fosso e finito con un colpo sparato a distanza ravvicinata ed Arturo Malagoli, colpito davanti al passaggio a livello della vicina ferrovia.

Ai funerali, l’11 gennaio, l’Unità invia il poeta e scrittore Gianni Rodari, allora giovane cronista. Scriverà Rodari nell’articolo 300.000 lavoratori ai  funerali delle sei vittime: “La città gloriosa, ammutolita dal dolore e stretta intorno ai suoi assassinati del 9 gennaio si è riempita stamani di passi pesanti che popolavano le sue strade, le sue piazze … I sei avevano l’espressione contratta del dolore e dello spaventoso stupore in cui li sorprese la morte. Caduti allineati l’uno a fianco dell’altro nelle bare avvolte in bandiere. I tre ragazzi di 20 anni sembravano ancora vivi e la terribile espressione dei loro volti sembrava dovuta ad un sogno angoscioso e passeggero… Sulle fotografie i volti sembravano anche più giovani. Garagnani e Malagoli avevano una luce quasi infantile”.

“Le bare - prosegue Rodari - erano portate a spalla da operai, ferrovieri, tramvieri, braccianti. Su ognuna di esse un modesto cartello col nome e l’età del caduto: Appiani Angelo, anni 20; Bersani Renzo, anni 21; Garagnani Ennio, anni 21; Chiappelli Arturo, anni 43; Malagoli Arturo, anni 21; Rovatti Roberto, anni 36. Niente altro. Da tutti i muri della città le fotografie dei caduti rispondevano a quei cartelli. Dietro le bare camminavano i familiari composti nell’atroce dolore. Alcuni di loro, poche ore dopo la morte dei loro cari, sono intervenuti al comizio di protesta a cui ha partecipato tutta la città, e solo la parola «eroismo» può definire questa capacità di fondere un dolore personale alla grande voce di una protesta collettiva”.

“Si noti che tutti questi lavoratori (il riferimento è agli eccidi di Melissa, Torremaggiore e Montescaglioso oltre che di Modena) sono stati uccisi unicamente perché chiedevano di lavorare, gli uni sulla terra incolta, gli altri nella fabbrica serrata - tuonerà dalle colonne di Lavoro Giuseppe Di Vittorio dopo l’eccidio delle Fonderie Riunite - I lavoratori sono stanchi di piangere i loro morti e non sono affatto disposti a lasciar soffocare nel sangue i loro bisogni di lavoro o di vita. La Cgil con la sua forza e il suo prestigio è riuscita sinora a contenere in limiti normali la protesta popolare contro gli eccidi. Ma la storia insegna che, al di là di un tale limite, nessuna forza umana può garantire i confini entro i quali possa essere contenuta una collera popolare lungamente compressa”. Parole sulle quali, forse, sarebbe opportuno riflettere.