Il 20 ottobre 2008 moriva a Formia Vittorio Foa, politico, sindacalista, giornalista e scrittore. Un uomo che dagli esordi in Giustizia e libertà, passando per la Resistenza, la Costituente, la militanza nella Cgil ha attraversato l’intera storia della sinistra italiana. Amico di Leone Ginzburg, nel 1933 Vittorio si avvicina al gruppo antifascista di Giustizia e Libertà, collaborando con lo pseudonimo di ‘Emiliano’ agli omonimi quaderni pubblicati a Parigi.  Arrestato a Torino il 15 maggio 1935 su delazione dell’informatore dell’Ovra Pitigrilli resterà in carcere fino al 23 agosto 1943.

Nel 1998 deciderà di rendere pubbliche dopo sessant’anni le lettere spedite dal carcere ai genitori, unica scrittura che gli era consentita. “Mentre tutto il mondo cambiava attraverso guerre, stermini e odi razziali - si legge nella presentazione del volume - Foa affermava con le sue lettere, settimana dopo settimana, la volontà di dare comunque un senso alla propria vita e di costruire un futuro. Il carcere consentiva al giovanissimo cospiratore torinese di Giustizia e Libertà di approfondire la propria formazione, soprattutto attraverso lo studio con uomini come Riccardo Bauer e Ernesto Rossi. Fu un esercizio della mente come scelta radicale e assoluta: più stretta era la costrizione, più determinata la voglia di trovare nuovi percorsi. Nelle lettere del 1938-39 i commenti sulla campagna razziale italiana sono una singolare eccezione al silenzio imposto agli ebrei di quel tempo. Paradossalmente la sola libertà di giudizio venne dal fondo di un carcere”.

Con la caduta di Mussolini, Vittorio passa dal carcere all’illegalità nella Resistenza. Deputato alla Costituente darà un determinante contributo alla stesura degli art. 39 e 40 della carta costituzionale sulla libertà di organizzazione sindacale e sul diritto di sciopero. Deputato socialista per tre legislature, nel 1955 sarà nominato segretario nazionale della Fiom per passare, alla morte di Giuseppe Di Vittorio, alla segreteria della Cgil (nel 1970 deciderà di lasciare gli incarichi sindacali per dedicarsi agli studi. Dal 1987 al 1992 sarà senatore, eletto nelle liste del Pci e poi del Pds come indipendente).

“La Cgil è stata la sua casa”, diceva il giorno dei funerali l’allora segretario generale Guglielmo Epifani. “Se ne va uno dei grandi uomini del nostro sindacato. Dobbiamo ringraziarlo per tutto quello che ci ha dato e per il senso di libertà che ci ha lasciato. A volte la sua poteva sembrare una speranza disarmata, ma Vittorio ha sempre visto nel fare e nell’agire il legame tra la speranza e il cambiamento (…) Si considerava un operatore sindacale, e la sua più grande preoccupazione è sempre stata quella di avere un sindacato autonomo. Fino agli ultimi giorni aveva chiesto di vederci, di parlarci: non si considerava uno messo di lato, si considerava, ed era, uno di noi”.

A dare notizia della morte di Vittorio Foa sarà, per desiderio della famiglia, l’allora segretario del Pd Walter Veltroni: “È un immenso dolore per noi - dirà - per il popolo italiano, è un immenso dolore per gli italiani che credono nei valori di democrazia e libertà, per l’Italia che lavora, per il sindacato a cui Vittorio Foa ha dedicato la parte più importante della sua vita (…) È  un dolore per me personalmente perché Vittorio Foa incarnava ai miei occhi il modello del militante della democrazia, un uomo con una meravigliosa storia di sofferenza, di lotta e di speranza, un uomo della sinistra e della democrazia, mosso da un ottimismo contagioso e da un elevatissimo disinteresse personale (…) Penso che tutto il paese senta Vittorio Foa come uno dei suoi figli migliori”.

Aggiungerà l’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. “Partecipo con profonda commozione personale al generale cordoglio per la scomparsa di Vittorio Foa. Egli è stato senza alcun dubbio una delle figure di maggiore integrità e spessore intellettuale e morale della politica e del sindacalismo italiano del Novecento. La sua dedizione alla causa della libertà, cui pagò da giovanissimo un duro prezzo nelle carceri fasciste, la sua partecipazione alla Resistenza, il suo appassionato e illuminato impegno nell’Assemblea costituente e nel Parlamento repubblicano, la sua piena identificazione - da combattivo dirigente della Cgil e da studioso - con il mondo del lavoro, gli hanno garantito un posto d’onore nella storia dell’Italia repubblicana. Egli ha dato prove esemplari del suo disinteresse e del suo rigore e ha vissuto i suoi ultimi anni con riserbo e sobrietà, rompendo in rare occasioni il silenzio per trasmettere messaggi sempre lucidissimi di fede nei valori democratici e costituzionali”.

Sembrava che ridesse sempre - scriveva di lui Concita De Gregorio su l’Unità - anche quando parlava serio. Anche in questa foto qui sopra dove forse ride davvero, chissà, non è proprio un sorriso in effetti: è quel suo modo di stare al mondo con i pugni chiusi, la fronte alta, la coscienza limpida e nelle parole un dubbio, sempre. Alla fine di ogni frase una domanda, perpetua ricerca. Mai un lamento. Di tutti gli altissimi insegnamenti che Vittorio Foa, morto alla fine di un secolo irripetibile, ci lascia in dote questo che sembra un dettaglio mi pare stasera il più grande. Quel sorriso, diverso e lo stesso in tutte le foto e i ricordi. Ciò che in una vita come la sua un sorriso perpetuo significa: andare avanti, pensare agli altri, provare ancora, non chiudersi, non arrendersi”.

Pensare agli altri. Perché - come del resto in più di una occasione Foa stesso ci ha ricordato - è importante “Pensare agli altri oltre che a se stessi, al futuro oltre che al presente”. Perché - e mai come questo anno ce lo ha dimostrato - ci si salva e si va avanti solo tutti insieme, ce lo ha insegnato Enrico Berlinguer e noi non lo abbiamo mai dimenticato.