Il 16 ottobre del 1943 è il sabato nero del ghetto di Roma. I nazisti che occupano la capitale rastrellano l’area dell’antico ghetto ebraico e catturano più di 1.200 cittadini romani: donne, uomini, circa 200 bambini e bambine. Mille di loro saranno deportati ad Auschwitz. Solo 15 uomini e una donna ritorneranno a casa dalla Polonia.

Ricorderà anni dopo Settimia Spizzichino, l’unica donna sopravvissuta alla deportazione: “Fummo ammassati davanti a Sant’Angelo in Pescheria: i  camion grigi arrivavano, i tedeschi caricavano a spintoni o col calcio del fucile uomini, donne, bambini… e anche vecchi e malati, e ripartivano. Quando toccò a noi mi accorsi che il camion imboccava il Lungotevere in direzione di Regina Coeli… Ma il camion andò avanti fino al Collegio Militare. Ci portarono in una grande aula: restammo lì per molte ore. Che cosa mi passava per la testa in quei momenti non riesco a ricordarlo con precisione; che cosa pensassero i miei compagni di sventura emergeva dalle loro confuse domande, spiegazioni, preghiere. Ci avrebbero portato a lavorare? E dove? Ci avrebbero internato in un campo di concentramento? ‘Campo di concentramento’ allora non aveva il significato terribile che ha oggi. Era un posto dove ti portavano ad aspettare la fine della guerra; dove probabilmente avremmo sofferto freddo e fame, ma niente ci preparava a quello che sarebbe stato il lager”.

Ai deportati viene consegnato un foglietto con le indicazioni da seguire. “Insieme con la vostra famiglia - vi si legge - e con gli altri ebrei appartenenti alla vostra casa sarete trasferiti. 2. Bisogna portare con sé: a) viveri per almeno otto giorni; b) tessere annonarie; c) carta d’identità; d) bicchieri. 3. Si può portare via: a) valigetta con effetti e biancheria personale, coperte; b) denaro e gioielli. 4. Chiudere a chiave l’appartamento … 5. Ammalati, anche casi gravissimi, non possono per nessun motivo rimanere indietro. Infermeria si trova nel campo. 6. Venti minuti dopo la presentazione di questo biglietto la famiglia deve essere pronta per la partenza”.

“La schiavitù arrivò anche per noi - racconterà una sopravvissuto - Il nuovo faraone si chiamava Mussolini. Nel 1938 emanò le leggi che ci discriminarono. Eravamo considerati uomini di razza inferiore. Molti ebrei furono costretti ai lavori forzati lungo gli argini del Tevere e molti altri persero il lavoro … Il 16 ottobre 1943 ci svegliammo con i tedeschi alle porte che volevano portarci via. Per tutta la notte precedente c’erano stati tanti spari che ci eravamo detti: 'Ecco, stanno distruggendo il Tempio!'. In realtà era tutta una messinscena per costringere la gente a restare chiusa in casa. I tedeschi arrivarono dalla parte del teatro Marcello e si fermarono con le macchine e i camion vicino al tempio. In casa eravamo in otto e fummo avvertiti da una vicina. Pensavamo che i nazisti fossero venuti a prendere gli uomini, e quindi li facemmo scappare dal tetto. Poi ci accorgemmo che portavano via famiglie intere, e scappammo tutti. Quelle furie continuavano a spingere uomini, donne e bambini sui camion e chi di noi poteva provava a mettersi in salvo. La gente che passava e ci vedeva diceva: 'Questi so’ giudii che scappano'. Al termine della razzia deportarono ad Auschwitz oltre mille ebrei. Io mi salvai perché riuscii a scappare per strada e mentre cercavo un luogo per nascondermi un prete mi prese sottobraccio e mi condusse nella chiesa di Sant’Angelo in Pescheria, alle porte del ghetto. Per nove mesi fui ospitata in quel luogo insieme ad altri ebrei. Alcuni fedeli della chiesa e altri cattolici vennero a portarci il cibo. Mio padre invece non si salvò. Fu catturato dai tedeschi il 21 aprile 1944 e condotto in uno dei campi della morte con l’ultimo convoglio che partì a maggio”.

La razzia iniziò all’alba in tutta la città -  specifica Anna Foa - I nazisti avevano con sé le liste del censimento fascista del 1938, che incrociarono probabilmente con gli elenchi dei contribuenti - sembra che si trattasse di quello dei soli contribuenti, non di tutti gli iscritti - sottratti alla Comunità. Gli elenchi del 1938, originariamente in ordine alfabetico, erano stati riorganizzati per quartiere, strade, edifici, interni con la collaborazione della polizia italiana. Dannecker e i suoi stretti collaboratori lavorarono per una settimana, consegnando in caserma i poliziotti italiani per mantenere la più assoluta segretezza, anche se nella sua deposizione al processo Kappler sosterrà di averli mandati a casa per facilitare la fuga di notizie. L’operazione fu condotta esclusivamente dalle SS. Ci sono alcune testimonianze che sostengono di aver visto fascisti con loro, ma la storiografia è concorde nel negarlo, mentre la loro presenza è documentata nella razzia nazista avvenuta a Siena il 6 novembre, sempre ad opera di Dannecker e dei suoi uomini. Le liste usate dagli uomini di Dannecker erano quelle del censimento del 1938 completate dai documenti dell’autodenuncia imposta agli ebrei e dagli aggiornamenti presenti in tutta una serie di istituzioni, la Questura, la Prefettura, la Demorazza, molti commissariati fra cui il Commissariato Campitelli che aveva giurisdizione sul quartiere dell’ex ghetto. Sembra che sia stata usata la copia depositata presso la Questura”.

“Il 16 ottobre 1943 fu un sabato di orrore, da cui originò una scia ancor più straziante di disperazione e morte - diceva qualche anno fa il presidente della Repubblica Sergio Mattarella - La deportazione degli ebrei dal ghetto di Roma costituisce una ferita insanabile non solo per la comunità tragicamente violata, ma per l’intero popolo italiano. In questo giorno di memoria e raccoglimento la Repubblica si stringe alla Comunità ebraica italiana, ai parenti, ai discendenti dei deportati, poi torturati e uccisi, e rinnova il proprio impegno per rafforzare i valori della Costituzione, che si fonda sull’inviolabilità dei diritti di ogni persona e che mai potrà tollerare discriminazioni, limitazioni della libertà, odi razziali. Fu l’inizio anche in Italia, favorita dalle leggi razziali varate dal regime fascista, di una caccia spietata che non risparmiò donne e bambini, anziani e malati, adulti di ogni età e condizione, messi all’indice solo per infame odio. Oltre duemila italiani di origine ebraica scomparvero da Roma in pochi mesi, costretti nei treni della morte verso i campi nazisti. Davanti all’Olocausto - abisso della storia - torniamo a inchinarci”.

La politica antiebraica italiana provocherà tra emigrazione, fughe, uccisioni, deportazioni, un calo della popolazione ebraica del 48%. Se si considera solamente il tasso dei morti tra l’inizio del regime della Rsi e dell’occupazione tedesca e la fine della guerra, settembre 1943- aprile 1945, la perdita rappresenta il 22,5%. Meditiamo, perché questo è stato.