Dopo l’eccidio di Sant’Anna di Stazzema del 12 agosto 1944, inizia quella che viene ricordata come la marcia della morte, una scia di sangue e violenza che, attraversando Versilia e Lunigiana giungerà al bolognese. La strage di Marzabotto (dal maggiore dei comuni colpiti) o più correttamente eccidio di Monte Sole fu un insieme di stragi compiute dalle truppe nazifasciste in Italia tra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944, nel territorio dei comuni di Marzabotto, Grizzana Morandi e Monzuno che comprendono le pendici di Monte Sole in provincia di Bologna. Gli eccidi compiuti durante l’estate-autunno del 1944 causeranno complessivamente la morte accertata di 955 persone: in particolare nella strage del 29 settembre - 5 ottobre 1944 saranno comprovate 775 morti. Lo scopo dei nazisti agli ordini del feldmaresciallo Albert Kesselring era fare terra bruciata attorno alle formazioni partigiane nelle retrovie della linea gotica sterminando le popolazioni che le appoggiavano.

“Nelle giornate del 29 e 30 settembre - raccontava Maria Tiviroli, una sopravvissuta - eravamo nel rifugio, sopra alla nostra casa a Steccola. Sono arrivate le SS e ci hanno detto di andare verso Prunaro di Sopra, dove c’erano già le mitragliatrici a tre piedi. Ci hanno detto di camminare in fila lungo la cavedagna e poi ci hanno falciati lì. Eravamo in 16 o 17 tutte donne e bambini, unico uomo il nonno di 82 anni che fu subito buttato in un pagliaio in fiamme. Una bambina di 40 giorni sfollata da Bologna, fu portata via alla madre dalle SS,  buttata in alto e sparata come fosse un barattolo. Prima di fuggire nel bosco ho cercato mia sorella Gina di 12 anni e mio cugino Giuseppe di 11 anni. Gina era nel fosso, coperta d’acqua, ho visto solo i capelli, mentre Giuseppe, morto, era a sedere per terra con le mani in tasca. Aveva il vestito della cresima con la piccola croce sul taschino”.

“Il 29 settembre 1944 avevo 9 anni - le fa eco Fernando Piretti - Ero rifugiato dalle suore Orsoline nell’oratorio della chiesina di Cerpiano, insieme ai miei compagni di scuola e a 25 donne. Quando arrivarono le SS le maestre chiesero di lasciarci andare, ma quelli ci spinsero tutti dentro all’oratorio e dissero: - Tra cinque minuti, tutti Kaputt. Le SS posizionarono la mitragliatrice all’ingresso, sfasciarono degli involucri (forse bombe a mano) e iniziarono a sparare e a lanciare bombe. Mi ricordo che sono svenuto e mi sono svegliato il giorno dopo. Volevo scappare, ma ho visto la mia amica Paola Rossi, di cinque anni, ancora viva. Aveva una ferita a un occhio e le gambe imprigionate sotto pezzi di cadaveri (tutti quelli che erano vicini alla porta erano tutti tagliati a metà). Non sono riuscito a liberarla. Un uomo che era nel rifugio, venne a cercare la sua mamma e ci aiutò a liberare Paola. La signorina Benni era ferita a una gamba e io a una spalla. Morirono 25 donne, tra cui mia madre e 18 bambini, tra cui mia sorella Teresa, di 13 anni e gli altri di età compresi tra i due e quindici anni. Voglio ricordare i miei compagni di scuola: Anna Gherardi, la più piccola, della famiglia Pirini: Damiano, Giorgio, Giuseppina, Marta, Martino, Olimpia e Rosanna ; della famiglia Oleandri: Domenico, Franco, Giuseppe e Sirio; della famiglia Fabris Alfredo e Giovanni; della famiglia Valdisserra Antonietta e Mario, infine Rossi Giuseppe”. 

Lo sterminio degli innocenti che le SS compirono 76 anni or sono nelle terre attorno a Monte Sole - diceva pochi giorni fa il presidente della Repubblica Sergio Mattarella - ha impresso un segno così profondo e doloroso nella storia del popolo italiano che nulla e nessuno potrà mai cancellare. La Repubblica si inchina alla memoria di centinaia di donne e uomini, di bimbi e anziani, barbaramente uccisi secondo una logica di annientamento che travalicava persino gli orrori della guerra combattuta”.

In quelle terre, ricordava Mattarella, “sono piantate radici robuste della nostra Costituzione repubblicana, le quali alimentano i principi di convivenza, di libertà, di uguaglianza tra le persone, di giustizia sociale, da decenni patrimonio della comunità nazionale e motore del nostro modello civile. Al tempo stesso, quelle radici portano linfa alla comune casa europea, all’Europa unita nelle diversità, ma anche nella civiltà dei diritti inviolabili della persona, nella cooperazione, nella solidarietà, che deve sempre prevalere sui rigurgiti di egoismo. 800 morti, la più grande strage nazifascista in Italia. Un immane sterminio di donne, uomini, bambini e anziani. Una ferita che mai dimenticheremo. La memoria dovrà sempre guidarci per contrastare il neofascismo e l’odio”.

Nell’estate del 1994, Antonino Intelisano, procuratore militare di Roma, cercando documentazione su Priebke e Karl Hass scopre casualmente in uno scantinato della procura militare un armadio (l’armadio della vergogna) contenente 695 fascicoli “archiviati provvisoriamente”, riguardanti crimini di guerra commessi da tedeschi e repubblichini. Tra questi viene trovata anche della documentazione relativa alle stragi di Monte Sole, per le quali viene riaperta un’inchiesta che porterà a individuare alcuni dei responsabili. Nel 2006 ha inizio il processo contro 17 imputati, tutti ufficiali e sottufficiali della 16ima SS-Freiwilligen-Panzergrenadier-Division Reichsführer SS. Il 13 gennaio 2007 il Tribunale Militare di La Spezia condannerà all’ergastolo dieci imputati ritenuti colpevoli di violenza pluriaggravata e continuata con omicidio.